Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27741 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 27741 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3620 del Ruolo Generale degli
affari civili dell’anno 2010, proposto:
DA
CARMELA SANTORO, CANIO PIETRAFESA E SALVATORE PIETRAFESA,

elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio
Titomanlio alla Via Terenzio n. 7, con gli avv.ti Raffaele
De Bonis Cristalli e Orazio Abbamonte, che li rappresentano
e difendono anche disgiuntamente, per procura a margine del
ricorso notificato il 2 febbraio 2010.

Data pubblicazione: 11/12/2013

RICORRENTI PRINCIPALI
CONTRO
COMUNE DI POTENZA,

in persona del

sindaco p.t.,

Brigida Pignatari dell’Ufficio legale dell’ente, presso il
quale elettivamente domiciliano in Potenza, alla Contrada S.
Antonio La Macchia, come da procura a margine del
controricorso notificato a mezzo posta il 5 marzo 2010.
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE
avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza n.
56/09, del 27 gennaio – 28 febbraio 2009, non notificata.
Udita, all’udienza del 5 novembre 2013, la relazione del
Cons. dr. Fabrizio Forte e sentiti l’avv. Orazio Abbamonte
per i ricorrenti e il P.M., in persona del sostituto
procuratore generale dr. Immacolata Zeno, che conclude per
l’inammissibilità del primo motivo del ricorso principale e
l’accoglimento del secondo motivo di esso, con assorbimento
degli altri motivi di detto ricorso e con il rigetto del
primo motivo di quello incidentale che comporta assorbimento
degli altri motivi.
Svolgimento del processo
Con citazione notificata 1’11 febbraio 1987, Pietrafesa
Rocco, marito e padre degli attuali ricorrenti, premesso di
2

rappresentato e difeso dagli avv.ti Concetta Matera e

avere ceduto a titolo gratuito al Comune di Potenza con atto
del 23 luglio 1982, un suolo edificabile in Potenza di mq.
3.630 in Catasto Terreni a F. 19, P.la 402 e che tale

conveniva in giudizio l’ente locale dinanzi al Tribunale
della stessa città perché, dichiarata la nullità che
precede, condannasse il comune convenuto a risarcire
l’attore del danno subito per tale condotta.
Il risarcimento chiesto ammontava al valore venale dell’area
occupata senza titolo dall’ente locale e alla perdita di
valore del reliquato, avendo il Comune di Potenza utilizzato
..
e trasformato solo in parte detto suolo con alloggi per i
terremotati del sisma del 1980 in Basilicata.
Il Comune di Potenza si costituiva, deducendo di avere
corrisposto all’attrice, per la cessione del suolo, la
facoltà di edificare sul residuo suolo e il locale
Tribunale, con sentenza non definitiva del 30 novembre 1991,
dichiarava nulla la cessione di cui alla citazione, perché
priva di causa, affermando che il comune doveva restituire
agli attori le aree di cui sopra ovvero pagare il valore
dell’area occupata, liquidato in £ 68.080.000 (mq. 1702 X £
40.000 a mq., pari all’arricchimento di cui si era giovato
il comune e all’indennità di espropriazione che questo

contratto era nullo perché privo dei requisiti di legge,

avrebbe dovuto pagare.
Con pronuncia definitiva del 31 dicembre 1997, lo stesso
tribunale stabiliva che la somma da pagare doveva liquidarsi

credito ritenuto di valore, fissava in £. 166.115.2000 la
somma rivalutata alla data della decisione (1997) con
coefficiente 2,44, in base a un prezzo di circa £ 97.000 a
mq., da corrispondere agli attori, con gli interessi di
legge dalla domanda al saldo.
Gli attori proponevano appello contro la sentenza di cui
sopra, deducendo che il prezzo fissato in primo grado era
ragguagliato ad un indice di edificabilità inferiore a
quello effettivo e che il terreno aveva valore maggiore di
quello deciso dal tribunale, mentre l’ente locale era tenuto
a pagare anche il suolo non occupato con la costruzione
degli alloggi di cui sopra.
Anche il Comune di Potenza impugnava la sentenza del
Tribunale e, chiesta la riunione dei due giudizi, eccepiva
l’inammissibilità

per

tardività

dell’avverso

gravame

principale, ai sensi degli artt. 325 e 326 c.p.c. e,
contestata l’esistenza di un indebito oggettivo a base della
domanda della controparte, che avrebbe dovuto chiedere solo
il risarcimento del danno per occupazione illecita del suo
4

nell’arricchimento fruito dal comune e per la natura di tale

terreno, affermava che alla controparte spettava meno di
guanto proposto dal c.t.u., essendo errate le conclusioni di
questo sul valore venale delle aree occupate e non dovendosi

per lo stato di dissesto del comune nelle more da questo
dichiarato.
La Corte d’appello di Potenza, con sentenza n. 56 del 28
febbraio 2009 non notificata, accoglieva parzialmente gli
appelli riuniti delle parti e condannava il Comune di
Potenza a pagare alla controparte E 31.470,30, con
rivalutazione monetaria dal 30 giugno 1984 al saldo e gli
interessi legali sulle somme via via rivalutate e su E
41.745,00 dal luglio 1982 al 30 giugno 1984 al tasso di
legge vigente, dovuta per la maggiore superficie occupata
per i lavori, compensando in parte le spese di causa tra le
parti, e ponendole nel resto a carico del Comune di Potenza.
Nulla era riconosciuto a favore della Santoro e dei
Pietrafesa per l’area rimasta in loro proprietà e non
utilizzata dall’ente locale, e la sentenza, rilevato che il
Comune aveva precisato che la sua domanda di rimborso delle
somme versate in eccesso alle controparti per l’occupazione,
era divenuta, con l’appello delle controparti di
risarcimento del danno per occupazione illecita del loro
5

agli appellanti gli interessi riconosciuti in primo grado,

terreno, per essere illegittimo il procedimento ablatorio in
assenza dei termini di durata del procedimento e dei lavori
(art. 13 della L. n. 2359 del 1865), per cui l’azione era da

illecita, usurpativa o senza titolo.
Affermato che in tal modo si era avuta un’ammissibile
mutamento della domanda originale di risarcimento del danno
da occupazione appropriativa o per pubblica utilità in
quella da occupazione usurpativa, la Corte di merito
riconosceva il danno da risarcire nel valore venale delle
aree occupate senza titolo, che in primo grado si erano
ritenute edificabili erroneamente, mentre tali non erano, in
quanto solo per il vincolo preordinato all’esproprio, esse
erano state destinate alla realizzazione di alloggi per i
terremotati del 1980, ai sensi della legge n. 219 del 1981.
Tale vincolo, anche se conformativo e idoneo a dar luogo ad
una destinazione edificabile dei terreni, non poteva
assumere rilievo nel caso, per qualificare edificabili
suoli occupati e per determinare il risarcimento dovuto,
rilevando solo a tal fine la loro destinazione urbanistica
anteriore all’occupazione e all’intervento ablatorio.
Il danno è stato quindi liquidato nel valore delle aree come
non edificabili, entro i limiti e modi già indicatii
6

fer la

ritenere avere la sua causa petendi in una occupazione

cassazione di tale sentenza, la Santoro e i Pietrafesa in
epigrafe meglio individuati, propongono ricorso in via
principale di quattro motivi notificato il 2 febbraio 2010,

marzo successivo e illustrato da memoria, il Comune di
Potenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai sensi dell’art. 335 c.p.c., devono in via preliminare
riunirsi i due ricorsi proposti contro la stessa sentenza.
1.

Sul

piano

logico

è preliminare

l’eccezione di

inammissibilità dell’appello degli attuali ricorrenti, già
proposta dal Comune di Potenza in secondo grado in via
incidentale e ripetuta da questo con il primo motivo del suo
ricorso per cassazione.
Su tale eccezione nulla ha deciso la Corte d’appello, per
rigettata, con

cui la stessa può ritenersi

statuizione che il Comune considera errata e da riformare.
L’eccezione denuncia una pretesa violazione del termine
breve di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. dal Comune di
Potenza, per avere l’ente locale proposto il suo appello con
atto notificato il 12 febbraio 1999, oltre i trenta giorni
dalla notificazione in forma esecutiva della sentenza al
sindaco della città in persona propria, avvenuta il 29
7

cui replica, con controricorso notificato a mezzo posta il 5

maggio 1998.
La sentenza era stata notificata personalmente al sindaco,
quale organo del Comune e non al difensore dell’ente locale

Potenza, la predetta notificazione non poteva che aver dato
luogo alla decorrenza del termine breve di trenta giorni per
impugnare violato dalla controparte, che non aveva proposto
gravame entro tale termine.
Come deduce lo stesso comune ricorrente incidentale, la
giurisprudenza è stata sempre costante nell’affermare che la
notificazione del provvedimento da impugnare alla parte
personalmente, invece che al difensore, è inidonea a far
decorrere 3.1 termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. per
l’impugnazione; si chiede quindi di modificare detto
indirizzo ermeneutico e qualificare la notifica della
sentenza alla parte personalmente idonea a dar luogo alla
decadenza dal gravame, per violazione del termine breve.
Aderendo all’indirizzo interpretativo costante di questa
Corte (cfr. di recente in tal senso S.U. 13 giugno 201,1 n.
(4.
og
io
12898 e Cass. 11 febbraio 2013 n. 4384),
della esigenza che la opportunità dell’impugnazione sia
valutata dal difensore tecnico, non può che confermarsi che
solo la notificazione della sentenza all’avvocato della
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ai sensi dell’art. 170 c.p.c. e, ad avviso del Comune di

parte, può far decorrere il termine breve per impugnare di
cui all’art. 325 c.p.c., rendendo conoscibile la decisione
al solo soggetto tecnicamente abilitato a rilevare la

Pertanto l’appello era nella fattispecie ammissibile, non
rilevando la notifica della sentenza personalmente alla
parte ai fini della decorrenza del termine per appellare, e
l’eccezione di tardività del detto gravame è da ritenere
implicitamente rigettata con statuizione corretta, che
comporta il rigetto del primo motivo di ricorso incidentale,
perché infondato, consentendo di valutare nel merito gli
altri motivi di esso e il ricorso principale.
2.1. Il primo motivo del ricorso principale della Santoro e
dei Pietrafesa deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. dalla
Corte potentina, per avere i ricorrenti chiesto alla stessa
di liquidare “í danni subiti dagli appellati entro i limiti
di giustizia, con applicazione dei criteri di cui all’art.
3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662” e solo
successivamente domandato il risarcimento del danno da
occupazione illecita del suolo dall’ente locale.
La Corte di merito, d’ufficio, ha affermato che l’originaria
domanda, fondata su una occupazione per causa di pubblica
utilità o appropriativa, era divenuta azione risarcitoria da
9

opportunità di proporre l’impugnazione.

occupazione usurpativa, e così ha rilevato la modifica del
titolo a base delle richieste delle parti private, senza
dichiarare preclusa la domanda nuova di queste per la

Il quesito conclusivo chiede di dichiarare illegittima la
decisione di merito che, di ufficio, ha trasformato la
domanda originaria di risarcimento da occupazione
appropriativa in quella, diversa, da occupazione usurpativa,
non rilevando la inammissibilità della nuova richiesta.
1.2. Il secondo motivo del ricorso principale della Santoro
e dei Pietrafesa censura la sentenza, per violazione
dell’art. 2909 c.c., per avere violato il giudicato della
pronuncia non definitiva del Tribunale di Potenza del 1991,
che aveva riconosciuto la natura edificabile dell’area
occupata, violando in tal modo anche l’art. 112 c.p.c.
Il tribunale aveva qualificato il suolo con “potenzialità
edificatorie”, affermando che l’indennità di espropriazione
doveva liquidarsi ai sensi dell’art. 39 della legge n. 2359
del 1865 nel valore venale dell’area; tale statuizione non
era stata impugnata dal Comune di Potenza e quindi la
pronuncia di appello che ha qualificato, di ufficio,
“agricola” o inedificabile la medesima superficie e
liquidato il risarcimento del danno in base a tale natura,
10

mutatio libelli da loro operata.

ha violato il giudicato su tale punto decisivo ed è andata
oltre l’appello, in contrasto con l’art. 112 c.p.c.
1.3. Si lamenta, in terzo luogo, la violazione degli artt.

865 del 1971, perché la Corte d’appello non ha riconosciuto
il danno prodotto al reliquato, con la occupazione parziale
delle aree dei ricorrenti,

in rapporto alla natura

edificabile dell’intera superficie e alla riduzione di
cubatura realizzabile sull’area rimasta ai danneggiati, da
considerare anche essa occupata sul presupposto che, anche a
considerare acquisito lo stesso reliquato al comune, di esso
mai era stata chiesta dai proprietari la restituzione.
In tal modo la decisione impugnata non ha motivato nel
merito sulla domanda dei ricorrenti di risarcimento del
danno da occupazione illecita,

liquidabile ai sensi

dell’art. 16 della legge n. 865 del 1971 e dell’art. 2043
c.c., in 1/12 del valore dell’area per ogni anno in cui la
stessa era stata illecitamente detenuta dal comune, oltre
accessori.
1.4. Si deduce poi, con il quarto motivo di ricorso, la
omessa pronuncia sulla domanda d’interessi anatocistici
proposta dal ricorrente principale, anche con il gravame
alla Corte d’appello, che doveva riconoscere tali accessori
11

360 n. 5 e 112 c.p.c., oltre che dell’art. 16 della legge n.

almeno dalla data di notifica dell’appello dei danneggiati.
2.1. Il controricorso del Comune di Potenza replica ai
motivi del ricorso principale e, in via incidentale, dopo

in questa sede già ritenuta infondata al n. l della presente
sentenza, denuncia omessa motivazione o mancata pronuncia
sulla domanda di restituzione di quanto pagato in eccesso,
dall’ente locale con la somma di E 164.800,48, versata con
la rivalutazione per l’illecito, in esecuzione della
pronuncia di primo grado e in base a una qualifica data dal
Tribunale delle aree come “edificabili”, corretta in secondo
grado con il riconoscere la loro destinazione agricola, pur
non essendovi censura sul punto della decisione di primo
grado.
Valutare i terreni occupati per costruire alloggi da
destinare ai terremotati della Basilicata del 1980 in
relazione alla edificabilità loro attribuita con il vincolo
per l’esproprio è stato errato ad avviso del ricorrente
incidentale.
L’ente locale chiede se vi sia stata omessa pronuncia sulla
domanda di restituzione delle somme versate in eccesso
rispetto a quanto riconosciuto dovuto in appello ovvero se
basti il riconoscimento in motivazione della “possibilità”
12

avere ripetuto l’eccezione di inammissibilità dell’appello

per l’ente locale, di ripetere dette somme da esso versate
agli odierni ricorrenti in più del dovuto, per ritenere
riconosciuto il diritto del Comune di Potenza al rimborso

valore delle aree stesse.
2.2. Si lamenta ancora, dal comune ricorrente incidentale,
violazione degli artt. 194, comma 1, c.p.c. e 90, comma l,
dísp. att. c.p.c., oltre che degli artt. 90 e 91 c.p.c., per
l’errore

della Corte di merito di avere rigettato

l’eccezione di nullità delle operazioni del c.t.u., che non
aveva dato avviso al consulenti di parte e ai difensori del
comune, delle operazioni da esso iniziate, per consentire la
partecipazione alle stesse di detti difensori tecnici
dell’ente locale.
La Corte di appello ha ritenuto tardiva la deduzione delle
indicate nullità, da prospettarsi al più tardi nella prima
udienza successiva alla mancata convocazione dei difensori o
al massimo nella prima difesa dopo il deposito della
relazione dell’ausiliare, seguita alla irregolarità che si
denuncia a carico del c.t.u., mentre nel caso il difensore
aveva chiesto, subito dopo le pretese irregolarità della
consulenza, il rinvio di una udienza in attesa del deposito
della relazione dall’ausiliare, senza denunciare tali
13

di quanto pagato in eccesso alle controparti, rispetto al

illegittime condotte del consulente e domandando solo se era
illegittima la condanna delle parti alle spese di consulenza
da ritenere nulla per la quale alcunché doveva ritenersi

3.1. Il primo motivo del ricorso principale della Santoro e
dei Pietrafesa è inammissibile, come del resto già rilevato
dalla sentenza di questa Corte 21 dicembre 2012 n. 3424, che
s’è pronunciata sulla stessa impugnazione in altra causa su
ricorso di altro privato danneggiato da occupazione di
un’area vicina a quella di cui al presente giudizio dello
stesso Comune di Potenza, nel medesimo procedimento
espropriativo nel post-terremoto del 1980 in Basilicata.
Detto motivo di ricorso è precluso per difetto di interesse
dei ricorrenti a denunciare il mutamento della propria
domanda originale, in quanto dalla nuova causa petendi
dell’occupazione usurpativa accertata dalla Corte di appello
in luogo di quella originaria, nessun danno è derivato ai
Brienza, avendo comportato in concreto tale nuova
qualificazione dell’azione, effetti sostanzialmente identici
a quelli della domanda risarcitoria da occupazione
appropriativa (così Cass. 16 luglio 2010 n. 16750), con
mancanza di danni per i ricorrenti.
Anche a non rilevare l’inammissibilità del ricorso che
14

dovuto all’ausiliare.

denuncia una condotta contra legem della stessa ricorrente,
la recente giurisprudenza di questa Corte è ormai orientata
nel senso che non comporti preclusione da domanda nuova il

del danno da occupazione per pubblica utilità in quella di
risarcimento da occupazione usurpativa, ai sensi dell’art.
2043 c.c. (così, cfr. Cass. 5 dicembre 2011 n. 25959 e la
citata n. 16750 del 2010).
Il primo motivo di ricorso principale è quindi, prima che
infondato e da rigettare, precluso, perché nel merito vi è
stata la sostanziale accettazione del contraddittorio sulla
nuova domanda della ricorrente da parte del comune.
3.2. Il secondo motivo del ricorso principale è stato
ritenuto fondato dalla sentenza citata del 2012, che
richiama espressamente analoga soluzione adottata in altri
casi, relativi a sentenze che avevano pronunciato su
antecedenti logici della decisione con efficacia di
giudicato, come accaduto nella fattispecie in ordine alla
rilevata natura edificabile delle aree occupate in primo
grado, non impugnata dalle parti (con Cass. 17 febbraio 2011
n. 3909, ricordata nella sentenza n. 3424 del 2012, cfr.
pure Cass. 16 marzo 2012 n. 4821).
Anche se il tribunale s’è pronunciato su una ripetizione di
15

mutamento della causa petendi dell’azione di risarcimento

indebito contestata dal ricorrente in questa sede, la
domanda con il gravame degli attuali ricorrenti principali
era stata trasformati da questa in azione risarcitoria e in

all’ente locale sarebbe stata diversa, in caso di decisione
difforme sul punto pregiudiziale della natura, edificabile o
agricola, delle aree occupate.
Pertanto il secondo motivo di ricorso deve essere accolto,
dovendosi negare che la Corte d’appello potesse discostarsi
dalla qualificazione urbanistica agricola o inedificabile
dell’area occupata, già riconosciuta in via definitiva, dato
che la pronuncia sul punto del tribunale, non era stata
censurata da alcuna delle parti e costituiva quindi
giudicato.
Deve ritenersi precluso il terzo motivo di ricorso,
potendosi presumere che la liquidazione del risarcimento nel
merito abbia compreso tutti i danni subiti per l’occupazione
e quindi anche la eventuale perdita di valore del reliquato
se sussistente, nulla altrimenti spettando per tale titolo
al danneggiato.
L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale
comporta la cassazione della sentenza in relazione al motivo
accolto, con necessità di riliquidare il danno, per cui
16

primo grado la liquidazione della somma da restituire

assorbe il quarto motivo del medesimo ricorso, relativo agli
accessori della liquidazione, da rimettere al giudizio in
sede di rinvio.

respinto perché infondato, mentre resta assorbito il secondo
motivo di tale ricorso, attinente alla liquidazione del
risarcimento, che dovrà avvenire come già detto in sede di
rinvio, nel corso del quale non potrà non tenersi conto di
quanto versato dal Comune di Potenza in corrispettivo delle
aree in favore di controparte, somme che la sentenza
impugnata ritiene di misura maggiore di quanto spettante ai
danneggiati, con implicito riconoscimento del diritto del
comune a ripetere quanto pagato in eccedenza, ai privati
danneggiati.
Deve poi dichiararsi assorbito dall’accoglimento parziale
del secondo motivo del ricorso principale, anche l’ultimo
motivo di ricorso incidentale relativo alla pretesa nullità
delle operazioni del c.t.u. rilevanti ai fini della
quantificazione del dovuto, che dovrà operarsi in sede di
rinvio.
4. In conclusione riuniti i ricorsi, va accolto il secondo
motivo

del

ricorso

principale,

dovendo

dichiararsi

inammissibili il primo e il terzo motivo di tale
17

:

3.4. Il primo motivo del ricorso incidentale s’è già

impugnazione, mentre va rigettato il primo motivo di ricorso
incidentale, con assorbimento degli altri motivi di entrambi
i ricorsi.

relazione al motivo accolto, con rimessione della causa alla
Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, perché
si pronunci sulla domanda, applicando i principi enunciati
in questa sede e decidendo anche sulle spese del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi, accoglie il secondo motivo di
quello principale e dichiara inammissibile il primo e terzo
motivo di questo, rigetta il primo motivo dell’incidentale,
con assorbimento dei residui motivi dei due ricorsi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rimette la causa alla Corte d’appello di Potenza in diversa
composizione, anche per le spese del presente giudizio di
cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio della l^ sezione
civile della Corte suprema di Cassazione il Studitmbr9 , 2013.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in

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