Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2774 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 06/02/2020), n.2774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18054-2018 proposto da:

F.A.G. e R.S., rappresentati e difesi

dall’avvocato MICHELE IDOLO CASALE e domiciliati presso la

cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

C.G., rappresentato e difeso dall’avvocato LINO

MAESTRELLO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1768/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 19/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 1.12.2009 Ru.An., R.S. e F.A.G., quali eredi beneficiati dell’avv. Luigi R., evocavano in giudizio C.G. innanzi il Tribunale di Brescia per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 21.627 a saldo delle prestazioni professionali svolte, in favore del predetto convenuto, dal loro dante causa.

Si costituiva il C. resistendo alla domanda ed eccependo la prescrizione del diritto di credito, poichè le prestazioni in relazione alle quali veniva rivendicato il saldo si erano concluse oltre dieci anni prima della notificazione dell’atto di citazione.

Il Tribunale, con sentenza n. 923/2014, rigettava la domanda per intervenuta prescrizione del diritto di credito.

Interponevano appello gli originari attori, argomentando che il C. avesse eccepito, nelle sua comparsa di costituzione in prime cure, non già la prescrizione ordinaria decennale del diritto di credito, ma solo quella presuntiva; di conseguenza il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato l’eccezione come di prescrizione ordinaria.

La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza oggi impugnata n. 1768/2017, rigettava il gravame ritenendo che sin dal primo scritto difensivo il convenuto avesse eccepito la prescrizione ordinaria, dovendosi intendere il riferimento all’art. 2957 c.c. – operato dal C. nei suoi scritti difensivi – come un mero refuso.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione F.A.G. e R.S., affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso C.G.. Ambedue le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 ed agli artt. 2934,2957 e 2959 c.c., perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto l’eccezione formulata dal C. come di prescrizione ordinaria e non invece di prescrizione presuntiva.

La doglianza è infondata.

Merita, sul punto, di essere ribadito il principio posto da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 10/02/2017, Rv.642857, secondo cui è ammissibile la qualificazione, anche d’ufficio, della domanda o eccezione di prescrizione in termini diversi da quelli proposti dalla parte, anche quando ciò comporti l’applicazione di un differente termine prescrizionale. Nel caso di specie la Corte territoriale ha fornito idonea motivazione circa l’interpretazione dell’eccezione in esame, dando atto che “… già nel primo atto, comparsa di costituzione e risposta (17 marzo 2010) appare evidente che il convenuto fa riferimento alla prescrizione ordinaria e non a quella presuntiva…” e che nella successiva memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la predetta eccezione sia stata meramente richiamata”(cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 167 c.p.c., 2697, 2934, 2935 e 2957 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di rilevare che il debitore non aveva fornito la prova specifica del momento determinante ai fini dell’inizio del termine di prescrizione.

Con il terzo motivo, lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2957 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte bresciana non avrebbe considerato che il decorso della prescrizione sarebbe stato interrotto da diversi atti di costituzione in mora provenienti dal loro dante causa.

Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte lombarda avrebbe dovuto apprezzare la circostanza che il C. avesse già parzialmente onorato il proprio debito, ravvisando in tale comportamento un implicito riconoscimento della debenza.

Le tre censure in esame, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto esse si risolvono in una richiesta di riesame nel merito preclusa in Cassazione (Cass. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790) e non si confrontano comunque con la ratio della decisione impugnata, secondo la quale era onere degli attori, odierni ricorrenti, fornire la prova circa la data di conclusione dell’attività professionale resa dal loro dante causa, anche al fine di consentire la verifica della non decorrenza della prescrizione o della sua tempestiva interruzione. Nei motivi in esame i ricorrenti non affrontano in modo adeguato il punto relativo al difetto, ravvisato dalla Corte territoriale, di tale duplice prova, tanto sul dies a quo per il calcolo della prescrizione che sui presunti atti interruttivi del suo decorso, il che evidenzia anche un deficit di specificità delle censure.

Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697,2792 c.c., degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello non avrebbe considerato che la prova dell’attività svolta dal loro dante causa sarebbe da individuare, in via presuntiva, nelle parcelle allegate all’atto di citazione dal medesimo originariamente notificato al C., in seguito al quale costui avrebbe parzialmente adempiuto al proprio debito. La censura è infondata.

Il principio posto da Cass. Sez. U, Sentenza n. 14699 del 18/06/2010, Rv.613539, invocato dai ricorrenti a sostegno della doglianza in esame, attribuisce la presunzione di veridicità alle singole voci esposte nella parcella del professionista soltanto in assenza di specifiche contestazioni del cliente. Nel caso di specie, sia dalla sentenza di appello che da quella di prime cure, allegata al fascicolo, risulta che il C. aveva contestato la pretesa degli attori, il che esclude – proprio alla stregua degli insegnamenti di questa Corte – che si possa attribuire una qualsiasi valenza presuntiva alle voci esposte dal professionista in una parcella oggetto di contestazione da parte del cliente che ne è destinatario.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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