Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27735 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5003/2018 R.G. proposto da:

C.C. e C.V., rappresentati e difesi

dall’Avv. Marco Francesco Angeletti;

– ricorrenti –

contro

M.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea V.A.

Speciale;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 135/2017,

depositata il 30 gennaio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Ancona, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da C.R. nei confronti di M.P.: danni che secondo l’attore erano stati cagionati al proprio immobile dal transito, su disposizione del M., e nonostante il suo espresso divieto, di grossi mezzi di cantiere.

I giudici d’appello hanno infatti ritenuto che gli elementi acquisiti non offrissero prova sufficiente del nesso causale tra la condotta del convenuto e i danni lamentati, osservando in particolare che:

– dall’istruttoria espletata in primo grado “è chiaramente emerso che lungo il tratto di strada in questione, a ridosso del fabbricato per cui è causa, sono transitati negli anni numerosi e svariati mezzi pesanti, riferibili non soltanto all’attività del M., bensì anche a quella di altri soggetti, tra cui lo stesso appellato”;

– il c.t.u. “evidenzia la possibilità che le lesioni riscontrate siano originate dal transito di mezzi di cantiere particolarmente pesanti, senza peraltro riuscire a precisare l’epoca delle lesioni, non potendosi così escludere che le stesse siano piuttosto risalenti nel tempo”.

2. Avverso tale pronuncia C.C. e V., quali eredi di C.R., deceduto nelle more del giudizio di secondo grado, propongono ricorso per cassazione con unico mezzo, cui resiste l’intimata, depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043,1223 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, nonchè degli artt. 40 e 41 c.p..

Lamentano in sintesi il travisamento ovvero l’errata percezione, da parte dei giudici d’appello, del materiale probatorio con la conseguente violazione dei principi che sovrintendono l’accertamento del nesso causale e del danno conseguente alla condotta illecita ex art. 2043 c.c..

In particolare rilevano che, nel fare riferimento esclusivamente alla ivi affermata impossibilità di risalire all’epoca di formazione delle crepe, ha travisato il contenuto della consulenza, dal momento che questa aveva con certezza positivamente affermato l’indubbia correlazione tra passaggio dei mezzi pesanti di cantiere e aggravamento delle lesioni e, comunque, tra detto passaggio e il danneggiamento della strada, dei pilastri e dei pavimenti, tra l’altro omettendo di verificare il rilievo quantomeno concausale della condotta ascritta al convenuto/appellante.

Analogo travisamento i ricorrenti lamentano con riferimento alla deposizione dei testi, evidenziando che nessuno di essi aveva mai affermato che sui luoghi fossero transitati mezzi di cantiere particolarmente pesanti, come era successo soltanto in concomitanza dei lavori eseguiti dal M..

2. La censura si appalesa inammissibile.

Lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delle fattispecie astratte recate dalle norme di legge richiamate, i ricorrenti allegano un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (peraltro per lo più richiamate con sostanziale inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo questi compiutamente localizzati nel fascicolo processuale di cassazione e comunque risolvendosi detto richiamo nell’estrapolazione di alcune valutazioni o frasi sovente mediate da una eccessiva o soggettiva sintesi): operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. 26/03/2010, n. 7394; 30/12/2015, n. 26110), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, sollecitando essi propriamente una rinnovata lettura degli elementi istruttori ovvero l’attribuzione di un diverso ordine di preferenza, in ultima analisi nell’auspicio di un diverso esito valutativo.

Ed invero, diversamente da quanto iteratamente argomentato in memoria, quello prospettato non è un vizio di c.d. sussunzione (o falsa applicazione) delle norme indicate nel motivo, soprattutto sotto il profilo del nesso di causalità, postulandosi in realtà prima una diversa ricostruzione della questione di fatto rispetto a quella affermata dalla sentenza impugnata (come rende manifesto il ripetuto riferimento ad un presunto “travisamento” delle prove, dedotto però in termini che chiaramente si riferiscono all’esito valutativo complessivo delle stesse) e solo all’esito di tale inammissibile sollecitazione a rivalutare la quaestio facti si sostiene la violazione delle norme di diritto.

Al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti.

Si tratta, dunque, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

In tal senso, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053-8054; Id. 22/09/2014, n. 19881), ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva – peraltro nemmeno dedotta – dell’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Può peraltro soggiungersi che la doglianza non sembra cogliere appieno l’effettiva ratio decidendi, la quale per vero non oblitera affatto l’indicazione rinveniente dalla espletata c.t.u. secondo cui la causa delle lesioni è possibilmente da ascrivere al transito di mezzi di cantiere particolarmente pesanti, ma rileva che il consulente non è tuttavia riuscito a precisare l’epoca delle lesioni, escludendo anche che elementi sufficienti in tal senso potessero desumersi dalle prove testimoniali.

3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento in favore del controricorrente delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in Euro Euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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