Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27734 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5955/2018 R.G. proposto da:

R.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Riccardo Ferniani;

– ricorrente –

contro

A.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Colucci e

dall’Avv. Paola Patuelli, con domicilio eletto presso lo studio del

primo in Roma, via Italo Carlo Falbo, n. 22;

– controricorrente –

e contro

AIG Europe Limited, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Stefano Giove

e Marco Ferraro, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma,

viale regina Margherita, n. 278;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 2796/2017,

depositata il 24 novembre 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Pronunciando nella causa promossa da R.F. nei confronti di A.M. per il risarcimento dei danni da dedotta responsabilità professionale – causa nella quale la convenuta aveva chiamato in garanzia la AIG Europe Limited – il Tribunale di Ravenna respinse la domanda principale, ritenendo assorbita quella proposta dalla convenuta nei confronti della propria assicuratrice.

La sentenza venne notificata ad istanza della terza chiamata in data 8/9/2016 e ad istanza della convenuta in data 27/9/2016.

L’attore, soccombente, propose appello con atto notificato il 19/10/2016.

2. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato inammissibile detto gravame poichè tardivo, ritenendo che il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c., dovesse farsi decorrere nei confronti di tutte le parti dalla prima delle dette notifiche; ciò per il principio della unitarietà del termine per proporre impugnazione in ipotesi di cause inscindibili, quali nella specie ha reputato essere quella tra l’attore e la convenuta e, rispettivamente, quella introdotta dalla chiamata in garanzia, in ragione del fatto che la terza chiamata “ha contestato il fondamento della domanda principale proposta dall’attore nei confronti della convenuta di cui ha negato la responsabilità, in tal modo creando una situazione di pregiudizialità-dipendenza tra cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di gravame”.

2. Avverso tale decisione R.F. propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo, cui resistono le intimate, depositando controricorsi.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 332 c.p.c., in relazione all’art. 325 c.p.c..

Sostiene in sintesi che, diversamente da quanto opinato dal giudice a quo, trattavasi nella specie di cause scindibili, stante la diversità e indipendenza dei titoli posti a base delle azioni esercitate dalle parti processuali.

Rileva che l’affermazione espressa in sentenza secondo cui l’inscindibilità delle cause discende dal fatto che la terza chiamata in causa non si è limitata a contrastare esclusivamente la domanda di garanzia nei suoi confronti proposta ma ha contestato anche la fondatezza della domanda principale, pur essendo “condivisibile in astratto”, non lo è in concreto, dal momento che siffatta contestazione nella specie non è stata opposta dalla compagnia assicurativa.

Rileva al riguardo che l’inadempimento contestato al notaio Argelli riguardava la mancata confluenza di alcuni beni immobili acquisiti a seguito di divisione ereditaria in un fondo patrimoniale già costituito nel 2003, la cui esistenza viene pacificamente riconosciuta sia dalla convenuta che dalla chiamata in causa; ciò che invece questa contestava era il conferimento di un nuovo incarico in capo al notaio da esplicarsi nella costituzione del nuovo fondo patrimoniale, sulla base di ciò argomentando l’inesistenza del dedotto inadempimento.

2. Il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., avendo il provvedimento impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e non offrendo l’esame dei motivi elementi per mutarne l’orientamento.

La Corte d’appello fa invero corretta applicazione di principi più volte affermati nella giurisprudenza di questa Corte quanto:

a) all’unitarietà del termine per proporre impugnazione quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale e di conseguente inscindibilità di cause ex art. 331 c.p.c. (v. da ultimo Cass. n. 14722 del 07/06/2018);

b) alla configurabilità di una situazione di inscindibiltà di cause tutte le volte che il terzo chiamato in garanzia non si limiti a contrastare la domanda nei suoi confronti proposta dal convenuto per ragioni inerenti al rapporto di garanzia, ma contesti la fondatezza della domanda proposta contro il proprio chiamante (v. Cass. 05/10/2018, n. 24574; 30/09/2014, n. 20552; 24/10/2013, n. 24132; 04/06/2007, n. 12942; 15/12/2003, n. 19181; 19/05/1997, n. 4443).

A ben vedere il ricorrente non muove obiezioni di sorta alle regole di giudizio così ricostruite, ma concentra la propria censura sull’accertamento, fattuale, della ricorrenza nella specie di tale ultima condizione.

Ciò fa però in termini, da un lato, palesemente inosservanti dell’onere di specifica indicazione degli atti su cui il ricorso si fonda imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, dall’altro, comunque, intrinsecamente contraddittori o comunque inconferenti.

3. Si argomenta infatti in ricorso circa quello che, secondo la tesi difensiva, sarebbe il reale contenuto delle difese svolte nel giudizio di merito dalla compagnia di assicurazioni chiamata in causa, senza tuttavia trascriverne il contenuto, nè tantomeno localizzare nell’incartamento processuale l’atto (comparsa di costituzione) richiamato.

Varrà rammentare al riguardo che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, anche in ipotesi di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone, comunque, l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto – in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale – non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata e ciò già anteriormente all’introduzione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. (cfr. ex plurimis Cass. nn. 5148 del 2003; 20405 del 2006; 21621 del 2007).

Con specifico riferimento alla vigenza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, merita, in particolare, rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo sull’esegesi del diverso onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, hanno confermato, anche per gli atti processuali, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità, del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (cfr. Cass. Sez. U. 03/11/2011, n. 22726) e, con più specifico riferimento alla deduzione dell’error in procedendo, hanno, altresì, puntualizzato che il Giudice di legittimità è bensì investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).

Tali oneri risultano inadempiuti nel caso di specie, palesando la censura, come detto, un contenuto meramente assertivo e del tutto astratto da ogni pertinente allegazione sul contenuto della comparsa di costituzione della terza chiamata in causa.

4. Sotto il secondo profilo, peraltro, non può non rilevarsi la scarsa chiarezza e perspicuità della tesi censoria esposta, evidenziata dal fatto che essa non arriva a smentire, ma anzi esplicitamente afferma, che la compagnia ebbe a dedurre l’insussistenza di “inadempimento alcuno da parte della Dott.ssa Argelli” (v. pag. 9 del ricorso, quarto rigo), ciò che di per sè – indipendentemente dalla fondatezza nel merito e pertinenza delle argomentazioni in tal senso svolte, rispetto ai fatti dedotti a fondamento della contrapposta pretesa – vale comunque ad integrare il presupposto indicato dalla giurisprudenza richiamata perchè abbia a configurarsi un rapporto di stretta interrelazione tra causa principale e causa accessoria di garanzia e, dunque, una situazione di inscindibilità di cause, per la quale debba applicarsi il principio di unitarietà del termine di impugnazione.

5. L’inconferenza della tesi censoria può comunque apprezzarsi, per così dire “a monte”, alla luce del principio affermato da Cass. Sez. U. 04/12/2015, n. 24707, seguito da numerose conformi pronunce delle sezioni semplici (v. Cass. 11/09/2017, n. 21098; 31/10/2017, n. 25822; 12/03/2018, n. 5876), secondo cui “in caso di chiamata in causa in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile, l’impugnazione esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale, di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, sia quella di garanzia da costui proposta – giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla qualificazione della garanzia come propria o impropria, che ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell’applicazione degli artt. 32,108 e 331 c.p.c., dovendosi comunque ravvisare un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l’efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell’accertamento relativo al rapporto principale, ma anche quando abbia, invece, allargato l’oggetto del giudizio, evenienza, quest’ultima, ipotizzabile allorchè egli, oltre ad effettuare la chiamata, chieda l’accertamento dell’esistenza del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l’attribuzione della relativa prestazione” (enfasi aggiunta).

Si ricava infatti da tale pronuncia un ormai generalizzato riconoscimento del nesso di inscindibilità di cause, a prescindere dal contenuto delle difese svolte in giudizio dal terzo chiamato in garanzia.

6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro Euro 4.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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