Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27733 del 11/12/2013
Civile Sent. Sez. 1 Num. 27733 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO
SENTENZA
sul ricorso 2548-2007 proposto da:
D.C.
C.L.
Data pubblicazione: 11/12/2013
PEZZANO GIANCARLO, che li rappresenta e difende,
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
2013
1488
contro
UNICREDIT BANCA S.P.A.
(C.F.
12931320159),
già
CREDITO ITALIANO S.P.A., in persona del legale
1
rappresentante
pro
tempore,
elettivamente
I
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE l, presso
l’avvocato CIROTTI VITTORIO, rappresentata e difesa
dall’avvocato CHIAPPETTA MARIO, giusta procura in
calce al controricorso;
contro
BANCA POPOLARE DEL CASSINATE SOC. COOP. A R.L.;
– intimata –
sul ricorso 5165-2007 proposto da:
BANCA POPOLARE DEL CASSINATE COOP. A R.L. (C.F.
00121930606), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
E. GIANTURCO 5, presso l’avvocato CARBONI SANDRO,
che la rappresenta e difende unitamente agli
avvocati CARBONI GIORGIO, D’AGUANNO DANTE, giusta
procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale condizionato;
– controrícorrente e ricorrente incidentale –
– controricorrente –
contro
UNICREDIT BANCA S.P.A.
(C.F.
12931320159),
già
CREDITO ITALIANO S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE l, presso
l’avvocato CIROTTI VITTORIO, rappresentata e difesa
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dall’avvocato CHIAPPETTA MARIO, giusta procura in
calce al controricorso a ricorso incidentale
condizionato;
– controricorrente al ricorso incidentale contro
– intimati –
avverso la sentenza n. 3944/2006 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/11/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
PIETRO LAMORGESE;
udito,
per i ricorrenti,
l’Avvocato GIANCARLO
PEZZANO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
principale, rigetto dell’incidentale;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato VITTORIO
CIROTTI, con delega, che ha chiesto il rigetto dei
ricorsi;
udito,
per
la
controricorrente
e
ricorrente
C.D., C.L.;
incidentale Banca del Cassinate, l’Avvocato GIORGIO
CARBONI che ha chiesto l’accoglimento del proprio
ricorso;
udito, il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per, previa riunione, il rigetto del
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ricorso principale con l’assorbimento del ricorso
incidentale; spese compensate per metà.
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Svolgimento del processo
Con separati atti di citazione i sig.ri C.D e
C.L. convenivano in giudizio, dinanzi al
Tribunale di Cassino, la Banca Popolare del Cassinate
Calabria di San Marco Argentano-BANC, ora Unicredit
Banca). Esponevano di essere, la prima, socia e, il
secondo, socio amministratore delle società Starter s.p.a.
e s.r.1.; il sig. De Angelis Carlo, amministratore delle
società In Auto e Auto In, a saldo di forniture effettuate
dalla Starter, consegnò vari assegni di conto corrente
tratti presso la BPC al sig. C.L., il quale li
girò per l’incasso alla BANC; quest’ultima diede più volte
la disponibilità delle somme, consegnando assegni
circolari versati sul conto corrente della Starter, ciò
che portò il CC a ritenere che la richiesta di
benefondi fosse stata positiva; successivamente il
direttore della BCP restituì un gruppo di assegni insoluti
(e non protestati con varie motivazioni) alla BANC, la
quale vanamente ne chiese l’immediata copertura alla BCP,
lamentando l’irregolarità del suo comportamento in
relazione alla negoziazione e al mancato protesto dei
titoli; successivamente la BANC ottenne decreto
ingiuntivo, per l’importo di £. 1.773.022.377, e iscrisse
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(BPC) e il Credito Italiano (già Banca Agricola Nord
.
ipoteca nei confronti delle società Starter, cui seguì il
loro fallimento.
Tanto premesso, C.D deduceva di essere
estranea alle predette vicende, per effetto delle quali,
in quanto fideiussore (insieme a C.L.) delle
tre miliardi di lire, di avere subito azioni civili e
penali e ogni sorta di umiliazioni, tanto da abbandonare
l’attività lavorativa, e chiedeva la condanna di BPC e
BANC al risarcimento dei danni patrimoniali, esistenziali
e alla vita di relazione. Analoghe conclusioni erano
formulate da C.L., il quale rappresentava, tra
, l’altro, di avere visto azzerare la sua partecipazione
sociale, perduto la carica di amministratore e la
possibilità di gestire la società, nonché di intrattenere
rapporti di conto corrente e di svolgere attività
economica.
La sentenza del tribunale, che rigettò le domande attoree
e ritenne assorbita la domanda di garanzia avanzata dalla
BPC verso la BANC e C.L., è stata impugnata in
appello dai CC e, in via incidentale, da BPC.
La Corte di appello di Roma, con sentenza 19 settembre
2006, ha rigettato l’appello dei Colella, dichiarato
assorbito quello incidentale della BCP e condannato gli
attori alle spese processuali.
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due società, si era trovata ad essere debitrice di circa
Ad avviso della corte, i danni lamentati dagli attori,
soci e fideiussori delle società, erano causalmente
riconducibili a comportamenti dei due istituti di credito
convenuti “che avevano inciso essenzialmente sul
patrimonio delle due società Starter” e, quindi,
direttamente dalle stesse società, fallite per effetto
delle condotte illecite dei convenuti, né era ravvisabile
un danno risarcibile in favore dei ricorrenti quali
fideiussori delle società. La corte, per effetto della
decisione negativa sulla titolarità del diritto al
risarcimento, ha ritenuto precluso l’accertamento della
. concreta sussistenza dei danni e ha dichiarato assorbito
il motivo di appello incidentale spiegato in via
subordinata dalla BCP.
Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione i sig.ri
CC mediante tre motivi, cui resistono la BANC e la
BCP; quest’ultima propone ricorso incidentale cui resiste
l’Unicredit. Le parti hanno presentato memorie
illustrative.
Motivi della decisione
1.- Nel primo motivo del ricorso principale r i sig.ri
CC , nel denunciare violazione e falsa applicazione
degli artt. 2043, 2350, 2377, 2395, 2484 c.c., 99, 100,
112 e 116 c.p.c., 41 e 42 c.p. e vizio di motivazione,
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costituivano mera conseguenza di danni patrimoniali subiti
chiedono di dare risposta positiva al quesito se i soci di
società di capitali
(nella specie,
assoggettate a
fallimento) siano legittimati a chiedere ai terzi
responsabili il risarcimento dei pregiudizi subiti alla
loro partecipazione sociale, nonché il risarcimento degli
attività economiche e per la chiusura dei conti correnti
personali, nonché alla vita di relazione, in conseguenza
delle sofferenze personali subite.
Nel secondo motivo del ricorso, che denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 c.c., 99, 100,
112 e 116 c.p.c., 41 e 42 c.p. e vizio di motivazione, i
ricorrenti chiedono di dare risposta positiva al quesito
se due istituti bancari, che abbiano posto in essere
comportamenti illeciti nei confronti di due società,
devono rispondere dei danni arrecati alla sfera giuridica
dei soci. In particolare, quanto a C.L., per la
perdita della carica di amministratore delegato ricoperta
nelle società e dei relativi emolumenti, di ogni
possibilità lavorativa e della stessa possibilità di
intrattenere rapporti bancari (stante la segnalazione alla
Centrale Rischi), nonché per i danni personali subiti
anche all’immagine e all’identità personale, ecc.; quanto
a C.D, per la perdita della possibilità di
intrattenere rapporti bancari e per lo sconvolgimento
della propria vita, avendo dovuto abbandonare la
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ulteriori danni per la impossibilità di intraprendere
professione forense fino ad allora svolta per dedicarsi,
dopo tre anni di depressione e di inattività, alla
professione di insegnante, e per il pregiudizio alla vita
di relazione, in conseguenza delle gravi afflizioni subite
e della perdita della serenità familiare.
perché connessi tra loro, sono fondati nei limiti di cui
si dirà.
Questa Corte ha da tempo affermato che i soci di una
società di capitali non hanno titolo per avanzare pretese
risarcitorie nei confronti del terzo che con il suo
comportamento illecito abbia danneggiato la società, con
conseguente depauperamento del patrimonio personale degli
stessi soci, per la perdita del capitale investito nella
società e della possibilità di incassare utili di
gestione, atteso che la perfetta autonomia patrimoniale
inerente alla personalità giuridica della società comporta
la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello
personale dei soci, dalla quale derivano l’esclusiva
imputazione alla società stessa dell’attività svolta in
suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali
passive, essendo la responsabilità del socio limitata al
bene conferito, e l’esclusiva legittimazione della società
all’azione risarcitoria nei confronti del terzo che con la
propria condotta illecita abbia recato pregiudizio al
patrimonio sociale; mentre gli effetti negativi
9
1.1.- I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente
sull’interesse economico del socio (riduzione del valore
della quota e compromissione della redditività
dell’investimento) costituiscono mero riflesso di detto
pregiudizio e non conseguenza diretta ed immediata
dell’illecito (v. Cass. n. 17938 del 2005; sez. un., n.
Di questo principio – che rappresenta il naturale
completamento del divieto (posto dall’art. 2395 c.c. con
riferimento agli “atti colposi o dolosi degli
amministratori”) di risarcire al socio il cd. danno
riflesso nel caso in cui l’autore del danno sia un terzo la corte romana ha fatto erronea applicazione, senza
indagarne la
ratio
e verificarne la integrale
applicabilità nella fattispecie, in relazione alla
concreta tipologia dei danni dedotti dai ricorrenti.
La ratio sottesa a quel principio è stata così enucleata
da questa Corte: “se si ammettesse che i soci di una
società di capitali possano agire per ottenere il
risarcimento dei danni procurati da terzi alla società, in
quanto
incidenti
sui
diritti
derivantigli
dalla
partecipazione sociale, non potendosi negare lo stesso
diritto alla società, si finirebbe con il configurare un
duplice risarcimento per lo stesso danno” (Cass. n. 27346
del 2009 cit.). La dottrina ha messo in evidenza le
incongruenze cui darebbe luogo la possibilità per il socio
di agire a tutela del proprio patrimonio individuale, a
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27346 del 2009).
fronte di illeciti che, colpendo il patrimonio comune,
postulano che l’azione risarcitoria sia di pertinenza
della società, in quanto rimedio funzionale ad un
vantaggio collettivo, poiché gli effetti positivi della
reintegrazione del patrimonio sociale devono riguardare
È vero che il danno sofferto dal patrimonio della società
è per lo più destinato a ripercuotersi anche sui soci,
incidendo negativamente sul valore o sulla redditività
della loro quota di partecipazione; ma – fatte salve le
limitate eccezioni oggi introdotte dall’art. 2497 c.c.
(come modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003), in tema di
responsabilità dell’ente posto a capo di un gruppo di
imprese societarie, che qui non rilevano – il sistema del
diritto societario impone di tener ben distinti i danni
direttamente inferti al patrimonio del socio (o del terzo)
da quelli che siano il mero riflesso di danni sofferti
dalla società. Dei danni diretti, cioè di quelli prodotti
immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del
socio e che non consistano nella semplice ripercussione di
un danno inferto alla società, solo il socio stesso è
legittimato a dolersi; di quelli sociali, invece, solo
alla società compete il risarcimento, di modo che per il
socio anche il ristoro è destinato a realizzarsi
unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è
prodotto il suo pregiudizio.
11
tutti i soci in misura paritaria.
..
A questa seconda categoria di danni appartengono quelli
derivanti dalla perdita della redditività e del valore
della partecipazione (v. Cass. n. 6364 del 1998) e della
possibilità di conseguire gli utili (v. Cass. n. 6558 del
2011), nonché dalla perdita del capitale sociale “che è un
2010, n. 10271 del 2004, n. 9385 del 1993) e delle
potenzialità reddituali della stessa, ecc. Poiché a questa
tipologia appartengono i danni dedotti prevalentemente nel
primo motivo, in particolare quelli arrecati alla loro
partecipazione sociale, intesa come coacervo di diritti
gestori, amministrativi e liquidatori, bene ha fatto la
•
sentenza impugnata ad escluderne la risarcibilità in
favore dei soci ricorrenti uti singuli.
Tuttavia, come si evince in parte dallo stesso primo
motivo e, soprattutto, dal secondo, i ricorrenti avevano
dedotto anche danni ulteriori, patrimoniali e
(soprattutto) non patrimoniali, che la corte del merito ha
giudicato anch’essi come indiretti, senza fornire però
alcuna spiegazione circa la possibilità – in relazione
alla quale soltanto si spiega la preclusa ammissibilità
dell’azione diretta dei soci – di rivendicarli come propri
da parte della società, alla luce della illustrata ratio
del principio richiamato dalla medesima corte, che è
quella di evitare l’esposizione del danneggiante ad una
duplice richiesta risarcitoria. Ci si riferisce ai danni
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bene della società e non dei soci” (v. Cass. n. 15220 del
..
patrimoniali che i ricorrenti deducono di avere subito
come persone, prima che come soci, sul piano dell’attività
economica e a quelli non patrimoniali per le ripercussioni
negative sulla loro vita personale e di relazione.
Questa Corte ha avuto occasione di affermare che l’ente
diretta (nei confronti degli amministratori della società,
dinanzi al giudice contabile) per il risarcimento del
danno all’immagine che può prodursi “immediatamente” in
capo ad esso, “per il fatto stesso di essere partecipe di
una società in cui quei comportamenti illegittimi si siano
manifestati, e che non s’identifica con il mero riflesso
. di un pregiudizio arrecato al patrimonio sociale,
indipendentemente dall’essere o meno configurabile e
risarcibile anche un autonomo e distinto danno
all’immagine della medesima società” (Cass., sez. un., n.
26806 del 2009).
Ciò dimostra che un danno non è dipendente o
“giuridicamente” riflesso per il solo fatto che uno
analogo possa essere subito anche dalla società o, al
limite, da tutti i soci, occorrendo invece che costituisca
esattamente una porzione di quello stesso danno subito
dalla (e risarcibile alla) società, la cui reintegrazione
a favore del socio sarà (e potrà essere) indiretta. Quando
questa possibilità non sussiste, in presenza di danni
arrecati alla sfera personale (all’immagine,
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pubblico socio di una società di capitali ha azione
all’onorabilità, ecc.) e patrimoniale del socio (si pensi
alla perdita di opportunità economiche e lavorative o alla
riduzione del cd. merito creditizio), il danno rimane pur
sempre diretto e, quindi, risarcibile al socio dal terzo
responsabile.
falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 1936-1957 c.c.,
116 c.p.c., 41 e 42 c.p. e vizio di motivazione, è
corredato da un quesito nel quale si chiede se il terzo
che ha danneggiato con la sua condotta il patrimonio del
debitore principale e ne ha provocato il dissesto,
determinando conseguentemente l’obbligo del fideiussore di
pagare i debiti non soluti, sia tenuto a risarcire al
fideiussore il danno determinato dall’attivazione della
garanzia, che in mancanza dell’illecito non sarebbe
avvenuta.
2.1.- Il motivo è fondato.
Si legge nella sentenza impugnata che, a seguito del
fallimento delle società, i ricorrenti erano rimasti
obbligati ad adempiere senza subire un incremento
dell’obbligazione garantita, cioè “con le stesse modalità
e per i medesimi importi garantiti”, con conseguente
esclusione di un danno risarcibile in loro favore.
In tal modo, tuttavia, la corte del merito, non avendo
valutato che il dissesto delle società Starter era stato,
in tesi, causato dal comportamento delle banche convenute
e
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2.- Il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione e
nel giudizio, da cui era derivata l’attivazione delle
fideiussioni che non vi sarebbe altrimenti stata, non si è
avveduta che l’azione proposta dai ricorrenti (quali
fideiussori) aveva natura extracontrattuale, a norma
dell’art. 2043 c.c., facendo essi valere un danno ingiusto
qualsiasi lesione di interessi giuridicamente rilevanti)
causato dal comportamento imputabile al creditore, non
inerente ai rapporti diretti tra creditore e fideiussore a
norma degli artt. 1944-1948 c.c., ma alla violazione degli
obblighi nascenti dal rapporto contrattuale tra creditore
e debitore principale (v. Cass. n. 18086 del 2013).
. 3.- La BCP propone ricorso incidentale condizionato
avverso la statuizione con cui la sentenza impugnata ha
dichiarato assorbito (a suo avviso, erroneamente)
l’appello incidentale da essa spiegato in via subordinata
in caso di accoglimento del gravame principale, al fine di
conseguire il riconoscimento del proprio diritto di
rivalsa (nei confronti di BANC e di C.L) dalle
conseguenze dannose derivanti dalla eventuale condanna al
risarcimento in favore degli attori Colella.
3.1.- Esso è inammissibile, trattandosi di un ricorso
incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa
solleva questioni che il giudice di appello non ha deciso
in senso ad essa sfavorevole avendole ritenute assorbite,
in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del
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(nell’ampia nozione, generalmente accolta, comprensiva di
ricorso principale, possono essere riproposte davanti al
giudice di rinvio (tra le tante, Cass., sez. un., n. 14382
del 2002).
4.-
In
conclusione,
in
accoglimento
del
ricorso
principale, la sentenza impugnata è cassata con rinvio
composizione, dovrà riesaminare la vicenda processuale
alla luce dei principi sopra esposti, valutando nel merito
le domande risarcitorie che siano ammissibili, nonché
liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte,
riuniti i ricorsi,
accoglie il ricorso
principale e dichiara inammissibile quello incidentale;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello
di Roma, in diversa composizione, cui demanda la
liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Roma, 10 ottobre 2013.
Il 1.ny:iy
4
. est.
alla Corte di appello di Roma che, in diversa