Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27732 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/10/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27732

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4744/2018 R.G. proposto da

N.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Federico De Geronimo;

– ricorrente –

contro

Groupama Assicurazioni S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv.

Salvatore Barresi, con domicilio eletto in Roma, via A. Bertoloni,

n. 55, presso lo studio dell’Avv. Filippo Corbò;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 2187/2017,

depositata il 24 novembre 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2019 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dalla Groupama Assicurazioni S.p.A., nella contumacia di V.R.S., dalla prima assicurato per la r.c.a., ha rigettato la domanda nei suoi confronti proposta da N.A. volta a ottenerne la condanna, in solido con il V., al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di sinistro stradale.

Ha infatti ritenuto inidonea a supportare la pretesa la dichiarazione confessoria resa dal V., avendo questa valore non di prova legale ma di elemento liberamente apprezzabile dal giudice, e non trovando essa alcun positivo e/o valido riscontro negli altri elementi di prova acquisiti, nè nelle risultanze del separato procedimento penale instaurato su denuncia della compagnia assicurazione e definito in primo grado con sentenza – che la Corte territoriale ha escluso poter far stato nel giudizio in quanto non passata in giudicato – di condanna dello stesso N. e del Viglianesi per il reato di truffa ai danni della Groupama.

2. Avverso tale decisione il N. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste la Groupama Assicurazioni S.p.A., depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

E’ pervenuta, a mezzo posta, memoria di sola costituzione di nuovi difensori del ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 295 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d’appello dato ingresso alla sentenza penale di condanna, in primo grado, di esso ricorrente e del V. per il reato di truffa ai danni della compagnia assicuratrice, benchè la stessa non fosse ancora passata in giudicato, perchè impugnata.

Sostiene che, “quanto meno, se la Corte riteneva che potesse essere rilevante, avrebbe dovuto sospendere il procedimento di appello in attesa della definizione di quello penale”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia poi, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo del giudizio”, in tesi rappresentato dal risarcimento, operato dalla stessa Groupama, dei danni subiti dal mezzo da lui condotto in occasione del sinistro, in favore del proprietario, V.G.: assume che tale circostanza comportava il riconoscimento della responsabilità del sinistro, poi inspiegabilmente negata nei confronti del conducente dello stesso mezzo.

3. Occorre preliminarmente rilevare che la memoria di costituzione di nuovi difensori, fatta pervenire a mezzo posta nell’interesse di parte ricorrente, è da considerarsi irrituale, giusta il consolidato principio di diritto secondo cui: “L’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito delle memorie di cui all’art. 378 c.p.c., art. 380-bis c.p.c., comma 2, e art. 380-bis c.p.c., sia perchè tale previsione, per la sua natura speciale rispetto alle normali attività di deposito degli atti nel giudizio di cassazione, è da reputarsi insuscettibile di applicazione analogica, sia, gradatamente, perchè, essendo il detto deposito diretto esclusivamente ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo rispetto alla udienza di discussione e negli altri due rispetto all’adunanza della Corte, ritenuto necessario dal legislatore, l’applicazione del citato art. 134, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare detto scopo” (v. in termini, ex multis, Cass. 22/10/2018, n. 26551; e anteriormente Cass. 10/04/2018, n. 8835; 19/04/2016 n. 7704; 04/01/2011, n. 182; 04/08/2006, n. 17726).

4. Il primo motivo è inammissibile.

Esso propone due censure.

La prima, relativa alla violazione dell’art. 345 c.p.c., quand’anche possa ritenersi che la Corte abbia argomentato dalla produzione della sentenza penale (in realtà lo fa manifestamente ad abundantiam o comunque in modo non decisivo, come reso evidente dalla locuzione utilizzata in apertura del brano: “per completezza” e lo fa dopo avere proceduto ad enunciare una motivazione pienamente esaustiva nel disattendere le prove espletate), sarebbe comunque manifestamente priva di pregio, trattandosi di fatto sopravvenuto

La seconda, concernente la violazione dell’art. 295 c.p.c., in ordine alla mancata sospensione, risulta del tutto generica, non essendo precisato se ricorrevano le condizioni per una sospensione, che andavano verificate sulla base delle norme del c.p.p., nemmeno evocate.

5. Può peraltro rilevarsi che la doglianza è riferita a documento (la detta sentenza penale) cui la Corte d’appello, all’opposto di quanto assume il ricorrente, espressamente non annette alcuna rilevanza.

Si osserva infatti in sentenza che, anzitutto, non essendo passata in giudicato, essa “non fa stato in questo giudizio”: con ciò chiaramente intendendo che non è la condanna in primo grado del N. per il reato di truffa a produrre nel giudizio civile effetti vincolanti sulla valutazione (negativa) degli elementi di prova offerti a supporto della sua domanda di risarcimento.

Si soggiunge poi che, comunque, quella sentenza non offre nemmeno, all’opposto, elementi idonei a corroborare la dichiarazione confessoria del V. e a supportare dunque detta pretesa risarcitoria “dal momento che anche in quella sede le deposizioni dei testi escussi hanno evidenziato le stesse contraddizioni intrinseche ed estrinseche, tanto che il giudice penale a proceduto alla trasmissione degli atti nel loro confronti per il reato di falsa testimonianza”.

In buona sostanza la Corte territoriale esclude che quel documento abbia alcun rilievo nè a favore della tesi dell’attore/appellato (il che del resto non è nemmeno sostenuto in questa sede dal ricorrente), nè contro di essa, essendo in tal senso, anzitutto, priva di alcun effetto vincolante di giudicato, e, comunque, nella sostanza, offrendo al più elementi di valutazione (circa l’inattendibilità delle prove testimoniali addotte) conformi a quelle già autonomamente e motivatamente espresse dalla stessa Corte d’appello.

6. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

6.1. Anzitutto perchè si fa riferimento a un documento (atto di quietanza relativo alla liquidazione stragiudiziale del danno subito dal proprietario del motoveicolo condotto dall’odierno ricorrente in occasione del sinistro) senza osservare l’onere di specifica indicazione del suo contenuto e della sua localizzazione nel fascicolo processuale imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

6.2. Inoltre, la circostanza di cui si lamenta l’omesso esame (ossia detta liquidazione stragiudiziale del danno al mezzo) appare non decisiva ai fini del giudizio, non implicando necessariamente riconoscimento della fondatezza della pretesa risarcitoria, ben potendo perseguire obiettivi meramente conciliativi onde evitare l’alea del giudizio reputata meno conveniente della liquidazione dell’importo richiesto per danno patrimoniale, peraltro di modesta entità.

Varrà al riguardo rammentare che una dichiarazione è qualificabile come confessione ove sussistano un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di ammettere e riconoscere la verità di un fatto a sè sfavorevole e favorevole all’altra parte, ed un elemento oggettivo, che si ha qualora dall’ammissione del fatto obiettivo, il quale forma oggetto della confessione escludente qualsiasi contestazione sul punto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e, al contempo, un corrispondente vantaggio nei confronti del destinatario della dichiarazione (così Cass. Sez. U. 25/03/2013, n. 7381; Cass. 19/11/2010, n. 23495 ed altre conformi).

L’offerta dell’assicuratore per la responsabilità civile auto non ha portata cognitiva o ricognitiva di un fatto o di un rapporto preesistenti, quindi, non è una dichiarazione confessoria nè di riconoscimento dell’importo del debito risarcitorio (Cass. 27/11/2015, n. 24205).

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile; esito che rende ultroneo il rilievo del difetto di integrità del contraddittorio, per non essere stato il ricorso notificato nei confronti di V.R., litisconsorte necessario presente nel giudizio di merito.

Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106).

8. Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento, nei confronti della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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