Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2773 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 04/02/2011), n.2773

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23158 – 2007 proposto da:

ITALAVORI S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 12, presso lo studio

dell’avvocato TORTORICI GIOVANNI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI

95, presso lo studio dell’avvocato EPIFANI BIANCA, rappresentata e

difesa dall’avvocato PASQUALINI ADRIANA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1043/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/09/2006 r.g.n. 1641/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato TORTORICI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26.5.2004 il Tribunale di Cosenza ha respinto la domanda proposta da F.M., dipendente della Ital Lavori srl con mansioni di addetta alle pulizie, volta ad ottenere l’accertamento della illegittimita’ del licenziamento intimatole per motivi disciplinari in data 30.10.1999, con condanna della societa’ alla reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

A sostegno della domanda, la ricorrente aveva dedotto che il licenziamento aveva, in realta’, carattere ritorsivo, avendo fatto seguito ad altra vicenda giudiziaria tra le stesse parti, che si era conclusa con esito favorevole per la ricorrente, ed era comunque privo di giusta causa, non essendo le mancanze nella pulizia dei locali addebitabili ad essa ricorrente, quanto piuttosto ad una carenza organizzativa del datore di lavoro, che l’aveva incaricata di provvedere da sola alla pulizia di immobili di notevoli dimensioni.

La sentenza del Tribunale e’ stata riformata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che ha accolto l’originaria domanda dichiarando la nullita’ del licenziamento sul rilievo del carattere ritorsivo del medesimo (desumibile anche dal fatto che la ricorrente era stata addetta, da sola, alla pulizia di ambienti che solitamente richiedevano la prestazione di due persone) ed ha ordinato la reintegrazione della F. nel posto di lavoro con le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Ital Lavori srl affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso F. M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la societa’ ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 4, e art. 2697 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto provato l’intento ritorsivo, nonche’ omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente affermato che non vi era prova che la F. provvedesse da sola alle pulizie di un intero dipartimento e, nello stesso tempo, che era certo che essa provvedeva alla pulizia di un intero edificio. I giudici di appello avrebbero, inoltre, erroneamente ritenuto che fosse stata data la prova dell’intento ritorsivo alla base del licenziamento e non avrebbero fornito, sul punto, sufficiente e adeguata motivazione.

2. – Con il secondo motivo di ricorso la societa’ deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 38 c.c.n.l. servizi di pulizia e dell’art. 2119 c.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto la nullita’ del licenziamento, nonche’ omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. La sentenza impugnata risulterebbe viziata in punto di esatta applicazione e interpretazione della normativa contrattuale, nonche’ in punto di coerente e sufficiente motivazione del decisum, per quanto riguarda in particolare la valutazione della gravita’ degli addebiti contestati alla lavoratrice e della proporzionalita’ della sanzione applicata dal datore di lavoro nei confronti di quest’ultima.

3. – Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

4. – Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto. Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilita’, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Cio’ comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Al riguardo, inoltre, non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

5. – D’altra parte, e’ giurisprudenza costante che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie (documenti, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto, anche mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, e di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (cfr. ex plurimis Cass. 4205/2010, Cass. 15952/2007, Cass. 6679/2006, Cass. 4840/2006, Cass. 10598/2005, Cass. 17369/2004, Cass. 9711/2004, Cass. 1170/2004, Cass. 3004/2004). Allo stesso modo, qualora in sede di giudizio di legittimita’ vengano denunciati vizi della sentenza impugnata relativi all’interpretazione di clausole della contrattazione collettiva, il ricorrente ha l’onere, in forza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riportarne il contenuto, a pena di inammissibilita’ del ricorso, ed ha altresi’ l’onere di specificare i canoni ermeneutici in concreto violati, nonche’ il punto e il modo in cui il giudice si sia da essi discostato (Cass. 4678/2002, Cass. 3912/2002, Cass. 10520/2001, Cass. 4717/2000, Cass. 10359/2000).

6. – Nella specie, il ricorso e’ del tutto carente sotto il profilo della formulazione del quesito di diritto (per ciascuno dei motivi di ricorso). Mancano, inoltre, “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria”, ovvero l’esposizione delle “ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione “(noi senso sopra specificato).

7.- Fermi restando i rilievi che precedono, e che assumono gia’ valore decisivo e assorbente ai fini dell’ammissibilita’ del ricorso, va rilevato poi che la ricorrente si e’ limitata a riportare solo in parte il contenuto delle deposizioni testimoniali e dei documenti che non sarebbero stati valutati o sarebbero stati insufficientemente valutati dalla Corte territoriale, non offrendo cosi’ la possibilita’ di un riscontro effettivo della decisivita’ dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione rispetto ad essi (aggiungendosi che non e’ comunque concretamente riscontrabile la dedotta contraddittorieta’ della motivazione sulla base soltanto dei passi delle deposizioni testimoniali riportate dalla societa’ ricorrente). Non e’ stato, infine, riportato in ricorso il contenuto dell’art. 38 del contratto collettivo, ne’ sono stati indicati i canoni ermeneutici che sarebbero stati eventualmente violati dai giudici di appello nell’interpretazione della suddetta disposizione.

8. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

9. – Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 11,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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