Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27723 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 30/10/2018, (ud. 23/04/2018, dep. 30/10/2018), n.27723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13635/2017 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BERNARDO MUCCI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TERMOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 25, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA COCCO, rappresentato e difeso dall’avvocato

ELVIRA DANIELA SABETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2017 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/04/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione dell’11 novembre 2008, A.G. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Larino, Sezione Distaccata di Termoli, il Comune omonimo per sentir dichiarare la responsabilità esclusiva dell’ente pubblico nella causazione del sinistro del (OMISSIS) verificatosi nel piazzale antistante l’ufficio del Giudice di Pace di Termoli, deducendo che l’attore, mentre scendeva dalla propria autovettura, era finito con il piede sinistro in una buca che si trovava sulla zona destinata a parcheggio. Si trattava di buca profonda e scarsamente visibile in quanto collocata parzialmente al di sotto dell’autovettura regolarmente parcheggiata. L’amministrazione comunale eccepiva il difetto di legittimazione passiva e imputava, comunque, la responsabilità del sinistro, in via esclusiva o concorsuale, allo stesso attore;

il Tribunale di Larino, Sezione Distaccata di Termoli, con sentenza n. 1 del 2012 rigettava la domanda e dichiarava compensate tra le parti le spese di lite;

avverso tale decisione proponeva appello con atto di citazione del 22 marzo 2012 A.G. deducendo la erronea valutazione delle risultanze istruttorie. In particolare il fatto storico non sarebbe stato oggetto di contestazione e perciò doveva ritenersi pacifico. Sotto altro profilo, la decisione appariva censurabile per la mancata escussione del teste D.F. e l’omesso espletamento della consulenza tecnica. Si costituiva il Comune chiedendo il rigetto della impugnazione;

la Corte d’Appello di Campobasso con sentenza del 21 marzo 2017 rigettava l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A.G. affidandosi a due motivi. Resiste in giudizio con controricorso il comune di Termoli. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello di Campobasso, violando la prima disposizione aveva ritenuto che prima della introduzione della L. n. 69 del 2009, non ricorresse un onere di specifica contestazione da parte del convenuto. Al contrario la giurisprudenza precedente la mini-riforma del 2009 aveva già affermato il principio di non contestazione. Nel caso di specie, la contestazione dell’amministrazione comunale si limitava ad una locuzione di stile. In particolare, la difesa dell’amministrazione comunale riguardava il difetto di titolarità passiva o di legittimazione;

con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 208,101,183 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. In particolare, la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di espletamento della prova testimoniale riferita alla posizione di D.F.C. sulla base di una argomentazione non condivisibile. Inoltre, avendo l’attore indicato la prova e ottenuto l’iniziale ammissione, non era onerato di reiterare la richiesta di espletamento. Conseguentemente non poteva configurarsi un’implicita rinunzia alla assunzione della prova;

il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo il ricorrente omesso di trascrivere il contenuto dell’atto di citazione al fine di dimostrare la specificità della deduzione del fatto storico e il contenuto della comparsa di costituzione e delle successive memorie di controparte al fine di documentare l’omessa specifica o generica contestazione. Va, infatti, ribadito che l’onere di contestazione, anche prima della modifica dell’art. 115 c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, andava rapportato alla specificità della deduzione del fatto storico contenuta nell’atto introduttivo. Pertanto, non ricorre alcun onere di contestazione specifica nell’ipotesi in cui la deduzione di colui che intende far valere un proprio diritto è comunque generica;

pertanto, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, dell’ipotesi di non contestazione richiede l’allegazione di due elementi: i fatti che dovrebbero essere contestati (ciò attiene alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti) e la prova dell’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza attraverso la specifica indicazione del contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto. Nel caso di specie è assolutamente inidonea la trascrizione di alcune parole dell’atto di costituzione al fine di dimostrare la genericità della contestazione da parte dell’amministrazione comunale;

va ribadito che il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, nè tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi. (Sez. 3, Sentenza n. 22055 del 22/09/2017, Rv. 646016-01);

il secondo motivo è inammissibile ricorrendo l’ipotesi di implicita rinunzia alla richiesta istruttoria conseguente alla mancata riproposizione dell’istanza di prova testimoniale e ricadendo sulla parte l’onere di documentare di avere citato tempestivamente il testimone non comparso all’udienza. Sotto tale profilo la doglianza non si confronta con la puntuale motivazione del giudice di appello il quale ha sottolineato la mancata esplicita richiesta di prosieguo prova e l’omessa citazione del teste. Peraltro, la decisione è in linea con l’orientamento della Corte di legittimità secondo cui nell’ipotesi di richiesta di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni ad opera della parte che abbia originariamente formulato istanze istruttorie, ricorre l’ipotesi di tacita rinunzia alla audizione del teste (Cass. 23 luglio 2015, n. 15537);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 23 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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