Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2772 del 08/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/02/2010, (ud. 16/10/2009, dep. 08/02/2010), n.2772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16216/2008 proposto da:

D.V.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FERRARA Raffaele, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DIVA CERAMICHE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIRCUMVALLAZIONE NOMENTANA N.

414 SC 4/19, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA SAIARDI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PICCIRILLO Francesco, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8890/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

6/12/07, depositata il 14/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel giudizio promosso da D.V.T. nei confronti della sua ex datrice di lavoro Diva Ceramiche s.r.l. perchè fosse dichiarata la nullità del licenziamento orale intimatole dalla società il (OMISSIS) e l’illegittimità di un secondo licenziamento comunicatole con lettera del 29 luglio 2002, giudizio nel quale la convenuta aveva spiegato domanda riconvenzionale per la condanna della lavoratrice al pagamento della indennità di preavviso, fondata sull’assunto delle dimissioni della dipendente rassegnate in tronco e senza giusta causa, la Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 14 febbraio 2008, ha affermato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, così riformando la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda dell’attrice.

Dopo avere rilevato la mancanza di prove in ordine alla sussistenza sia del licenziamento orale sia delle dimissioni opposte dall’azienda, il giudice del gravame ha concluso per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, in considerazione del comportamento delle parti quale evidenziato da alcuni testi escussi nelle deposizioni (uno dei testimoni aveva riferito la frase rivolta dalla lavoratrice all’amministratore della società: “Dammi i soldi che non ci torno più”; e altri due avevano dichiarato che la lavoratrice dopo avere ritirato lo stipendio nell’ufficio dell’amministratore, aveva detto che non sarebbe più andata a lavorare).

Avverso questa pronuncia la D.V. ha proposto ricorso per cassazione.

La società ha resistito con controricorso.

Essendosi ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio è stata redatta la relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata ai difensori delle parti costituite e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente nei tre motivi, nei quali è articolato il ricorso, tutti con relativo quesito di diritto, ha lamentato a) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendo stata dedotta da alcuna delle parti la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; b) la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., unitamente a vizio di motivazione, sotto il profilo della non corretta valutazione della situazione fattuale accertata e dell’omessa considerazione sia dell’offerta della prestazione comunicata per iscritto dalla lavoratrice sia della contestazione disciplinare da parte della società; C) violazione dell’art. 1372 cod. civ., in quanto l’asserita risoluzione del rapporto è basata non sul comportamento delle parti, ma su “supposte circostanze riferite .. da terzi”.

Come già osservato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., il primo motivo di ricorso è manifestamente fondato alla stregua del principio di diritto affermato da Cass. 17 giugno 2000 n. 8266, secondo cui “nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia chiesto in giudizio la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli ed il datore di lavoro abbia chiesto il rigetto della domanda eccependo le dimissioni del dipendente, incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, d’ufficio, dichiari la cessazione del rapporto lavorativo per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 cod. civ.”.

Il Collegio non ignora le pronunce di diverso contenuto richiamate in proposito dalla sentenza impugnata (Cass, 24 maggio 2007 n. 12075, Cass. 22 novembre 2006 n. 24802, Cass. 11 luglio 2003 n. 10935), ma ritiene di dover condividere il primo orientamento innanzi riportato (che affermato tra le altre da Cass. 29 marzo 1982 n. 1939, è stato poi ribadito da Cass. 18 marzo 2005 n. 5918, e più di recente da Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, la quale ha qualificato come eccezione in senso proprio, da formulare nella memoria di costituzione di cui all’art. 416 cod. proc. civ., la deduzione da parte del datore di lavoro convenuto per l’accertamento della conversione del rapporto a tempo indeterminato a seguito di illegittima apposizione del termine, che il rapporto di lavoro medesimo si è risolto per mutuo consenso).

A parte infatti l’esattezza o meno della qualificazione della risoluzione consensuale del contratto come eccezione in senso stretto, si deve osservare che i fatti estintivi, impeditivi e modificativi che abbiano automaticamente prodotto i loro effetti devono essere rilevati di ufficio dal giudice sempre che siano stati allegati dalla parte.

Tanto invece non risulta dalla sentenza impugnata, che invece ha evidenziato come la società nel costituirsi nel giudizio di primo aveva contestato di avere intimato il licenziamento, sostenendo la cessazione del rapporto di lavoro alla data del (OMISSIS) per dimissioni della lavoratrice, e spiegando anzi domanda riconvenzionale per la condanna della lavoratrice al pagamento dell’indennità di preavviso in quanto le dimissioni erano state rassegnate senza che ricorresse una giusta causa.

Del resto la stessa società nel richiamare nel corso dell’esposizione dei fatti di causa riportata nel controricorso i motivi di appello, ha asserito di avere impugnato la decisione di primo grado per l’errata valutazione dei fatti di causa, avendo il primo giudice ritenuto la risoluzione del rapporto di lavoro non per dimissioni della dipendente ma per licenziamento, di modo che deve escludersi che la società nelle proprie difese svolte nelle pregresse fasi di merito avesse fatto riferimento alla risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Accolto il primo motivo, restano assorbiti gli altri due e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla stessa Corte di appello, in diversa composizione, la quale procedendo a nuovo esame della controversia si atterrà al principio di diritto innanzi esposto e proVVederà, inoltre, al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri due; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2010

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