Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2772 del 06/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2772 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

ORDINANZA

divisione

c_AI,

sul ricorso proposto da:

Cr.

PECORA Cesare Antonio Vincenzo, rappresentato e difeso per
procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Sebastiano Papandrea, elettivamente domiciliato in Roma, Via
C.C. Rossini n. 26, presso lo studio dell’Avvocato Paolo
D’Urbano;
ricorrente –

contro
PECORA Tullio Gaetano e PECORA Dante Leonardo, rappresentati e difesi, per procura speciale in atti, dall’Avvocato
Elio Bosco, elettivamente domiciliati in Roma, via delle
Fornaci n. 43, presso lo studio dell’Avvocato Vincenzo
Scorsone;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 06/02/2014

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n.
1270/10 depositata in data novembre 2010.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10 dicembre 2013 dal Consigliere relatore

ro, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Aurelio Golia, che nulla ha osservato.
Ritenuto che Pecora Tullio Gaetano e Pecora Dante Leonardo, con atto di citazione notificato in data 9 ottobre
2003, convenivano in giudizio il loro fratello, Pecora Cesare Antonio, avanti il Tribunale di Catania, esponendo che
essi tre erano succeduti in quanto eredi legittimi alla
Sig.ra Adelaide Clara, loro madre, deceduta in data 26 agosto 2000; che l’asse ereditario era costituito da un unico
immobile sito in Catania; che detto appartamento era stato
occupato, alla morte della madre, dal convenuto; che era
loro interesse ottenere lo scioglimento della comunione,
attraverso divisione giudiziale e che avevano diritto alla
fruttificazione dell’immobile, nonché al rimborso delle
spese ordinarie del condominio, non assolte dal convenuto;
che il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione e per effetto assegnava agli attori congiuntamente
l’intero immobile, dopo che essi ne avevano fatto richiesta
in corso di causa, ponendo a carico degli stessi l’obbligo
di versare al convenuto, a titolo di conguaglio, una somma

Dott. Stefano Petitti, alla presenza del Pubblico Ministe-

pari alla differenza tra quanto al medesimo dovuto a titolo
di quota ereditaria e quanto dovuto ai fratelli a titolo di
fruttificazione dell’immobile;
che Pecora Cesare Antonio Vincenzo proponeva appello,

che la Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1270
del 2010, rigettava le richieste dell’appellante e confermava la sentenza di primo grado, tranne che per il capo 2,
che veniva riformato con la rideterminazione della somma
che essi appellati e appellanti incidentali avrebbero dovuto versare all’appellante principale;
che avverso questa sentenza Pecora Cesare Antonio Vincenzo ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi;
che gli intimati hanno resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle
doglianze proposte con ricorso principale;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta
relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è
stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Considerato

che il relatore designato ha formulato la

seguente proposta di decisione:
«E (…)] Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, lamenta la violazione dell’art. 720 cod. civ., in relazione
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte

chiedendo la riforma della sentenza di primo grado;

d’Appello erroneamente interpretato ed applicato le norme
in materia di divisione di immobili.
Con il secondo, denuncia la violazione dell’art. 292 cod.
proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc.

manda nuova proposta in corso di causa, senza che la stessa
fosse stata notificata personalmente al convenuto rimasto
contumace.
Con il terzo, deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ.,
ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la
Corte d’Appello erroneamente posto a carico dell’odierno
ricorrente l’onere di provare un fatto non avente natura
costitutiva della fattispecie fatta valere in giudizio.
Con il quarto, lamenta infine violazione e comunque errata
applicazione dell’art. 720 cod. civ., e la violazione
dell’art. 728 cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e
4, cod. proc. civ., per essere incorsa la Corte territoriale in errori di diritto nella determinazione della somma
dovuta a titolo di conguaglio.
Il ricorso è infondato rispetto al primo, al secondo ed al
terzo motivo. È inammissibile quanto al quarto motivo.
Il primo motivo di ricorso è volto a dimostrare l’asserita
violazione dell’art. 720 cod. civ., nella parte in cui la
Corte territoriale, con la decisione di assegnare l’immobile congiuntamente agli appellati, avrebbe violato il prin-

civ., per avere la Corte d’Appello pronunziato su una do-

cipio del

favor divisionis,

applicato dalla giurisprudenza

di legittimità in materia di divisione della comunione ereditaria.
In realtà, il precedente richiamato dal ricorrente è incon-

si è affermato che l’attribuzione dell’unico bene indivisibile al gruppo di comunisti, le cui quote superano la singola, viola il summenzionato principio del

favor divislonis

(Cass. n. 1566 del 1999), aveva ad oggetto una vicenda essenzialmente differente da quella oggetto del presente giudizio. In quel caso, infatti, si era in presenza di più domande di assegnazione dell’immobile, mentre nel presente
giudizio l’odierno ricorrente non ha mai avanzato una tale
domanda nella fase di merito.
Per cui il giudice ha compiuto un’applicazione corretta e
lineare dell’art. 720 cod. civ., nella parte in cui prevede
la possibilità di attribuire congiuntamente l’immobile indivisibile ai coeredi aventi diritto alla quota maggiore.
A ciò si aggiunga che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il potere di attribuzione dell’immobile previsto
dall’art. 720 cod. civ. è un potere discrezionale che la
legge riserva al giudice di merito, col solo limite della
indicazione dei motivi che inducono il giudicante a preferire uno piuttosto che un altro condividente (Cass. n.
11641 del 2010). Da ciò discende che il ricorrente avrebbe

ferente rispetto al caso in esame. La sentenza con la quale

potuto contestare la sentenza impugnata sul punto in esame,
solo censurando una motivazione insufficiente o illogica
rispetto alla decisione del giudice sull’assegnazione, mentre egli ha lamentato esclusivamente la violazione di leg-

Il secondo motivo di ricorso è infondato perché la domanda
di assegnazione dell’immobile ex art. 720 cod. civ., avanzata dagli attori in corso di causa, non può configurarsi
come una domanda nuova che, ai sensi dell’art. 292, primo
comma, cod. proc. civ., deve essere notificata personalmente al contumace nel termine assegnato dal giudice istruttore. Essa piuttosto, come correttamente ritenuto dalla Corte
territoriale, costituisce una specificazione della domanda
principale (divisione della comunione ereditaria) avanzata
nell’atto di citazione, in quanto tale proponibile per la
prima volta anche, eventualmente, nel giudizio di appello
(in tal senso, Cass. n. 5392 del 1999 richiamata anche nella sentenza della Corte d’appello, ma anche Cass. n. 319
del 1999 che ne sancisce la natura di mera eccezione e non
di domanda).
Il terzo motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente ritiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto porre a carico dei coeredi l’onere della prova della mancanza del loro consenso all’esclusivo utilizzo del bene da parte del
fratello, poiché si sarebbe trattato di elemento costituti-

ge.

vo della fattispecie che essi avevano fatto valere in giudizio con l’atto di citazione. Dalla sentenza impugnata emerge che gli attori avevano fornito la prova dell’utilizzo
esclusivo dell’immobile da parte dell’odierno ricorrente e

eredi era stato allegato dal convenuto per sostenere il rigetto della domanda attorea. Correttamente, dunque, la Corte d’Appello ha ritenuto gravasse sul ricorrente l’onere
della prova di questo fatto, in quanto egli dalla morte
della madre usò in via esclusiva l’immobile in assenza di
titolo giustificativo.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure svolte dal ricorrente non palesano né errori di
diritto, né nullità del procedimento rispetto alla determinazione dell’ammontare del conguaglio deciso dalla Corte
d’Appello. Le censure svolte dal ricorrente sfociano in una
richiesta di rideterminazione della somma dovutagli a titolo di conguaglio: attività che esula dall’ambito del giudizio di legittimità, attenendo strettamente al merito della
vicenda.
In virtù dei motivi sopra esposti, si ritiene sussistano i
presupposti di cui all’art. 375, n. 5, per la trattazione
del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380
bis cod. proc. civ., per essere il ricorso manifestamente

infondato»;

che, solo nelle comparse conclusionali, il consenso dei co-

che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla quale, del resto, non sono state rivolte critiche di
sorta;
che quindi il ricorso deve essere rigettato, con conse-

pio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00
per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il
10 dicembre 2013.

guente condanna del ricorrente, in applicazione del princi-

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