Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2772 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 04/02/2011), n.2772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 574 – 2008 proposto da:

V.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA APRICALE 31, presso lo studio dell’avvocato VITOLO MASSIMO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORDANO BRUNO M.,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SELLA HOLDING BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76,

presso lo studio dell’avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONINO GIOVANNI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/06/2007 R.G.N. 1472/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato VITOLO MASSIMO;

udito l’Avvocato BONINO GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9.6.2005 il Tribunale di Milano ha respinto la domanda proposta in data 29.3.2004 da V.C. A., dipendente della Banca Sella spa (oggi Sella Holding Banca spa), volta ad ottenere l’accertamento della illegittimita’ del licenziamento intimatogli per motivi disciplinari in data 12.2.2002, con condanna della societa’ alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18, nonche’ l’accertamento della nullita’ del contratto di formazione e lavoro con cui era stato assunto dalla predetta societa’ e del diritto all’inquadramento nella terza area professionale del c.c.n.l. di settore, con condanna della societa’ al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

Il licenziamento faceva seguito ad una contestazione disciplinare (in data 30.1.2002) concernente una assenza, ritenuta ingiustificata, del dipendente dal posto di lavoro, assenza che si era protratta dal giorno 8.1.2002 (e quindi per oltre venti giorni) e che il lavoratore riteneva, invece, giustificata dalla frequenza di un corso di specializzazione post laurea, per il quale aveva chiesto nel settembre dell’anno precedente un periodo di aspettativa non retribuita, ricevendo dall’azienda risposta negativa solo alla fine del mese di dicembre dello stesso anno.

La sentenza del Tribunale e’ stata parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano, che ha accolto la domanda del lavoratore volta ad ottenere l’accertamento della nullita’ del contratto di formazione e lavoro e del diritto all’inquadramento superiore, confermando nel resto la sentenza impugnata.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione V.C. A. affidandosi ad un unico motivo cui resiste con controricorso la Sella Holding Banca spa..

La societa’ ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione sollevata dalla societa’ resistente nel corso della discussione in ordine alla ritualita’ della procura conferita per la proposizione del ricorso per cassazione. Al riguardo, e’ sufficiente osservare che, per giurisprudenza costante di questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. 11741/2007, Cass. 10539/2007, Cass. 8060/2007, Cass. 7084/2006, Cass. 5481/2006, Cass. 4980/2006, Cass. 16736/2005, Cass. 14011/2005 – la procura rilasciata in calce o a margine del ricorso per cassazione, formando un corpo unico con questo, esprime di per se’ il necessario riferimento all’atto impugnatorio, assumendo cosi’ il carattere di specialita’ richiesto dagli artt. 365 e 371 c.p.c., indipendentemente dalle espressioni adoperate nella redazione dell’atto ed anche se formulata senza uno specifico riferimento al giudizio di legittimita’, dovendo valorizzarsi, in tal caso, la posizione topografica della procura, idonea al tempo stesso a conferire la certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a dar luogo alla presunzione di riferibilita’ della procura stessa al giudizio cui l’atto accede.

2.- Con l’unico motivo di ricorso il V. denuncia:

“violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 300 del 1970, artt. 7, 18 e 35, art. 48 ccnl di categoria in relazione all’art. 1362 c.c., art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

3. – Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

4. – Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto. Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilita’, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Cio’ comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Al riguardo, inoltre, non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

5. – Questa Corte ha piu’ volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non puo’ ritenersi sufficiente – perche’ possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, ne’ che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui e’ invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. e’ chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, ha inteso valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008). E’ stato altresi’ precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico – giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non puo’ consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regala iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite 27368/2009).

6. – D’altra parte, e’ giurisprudenza costante che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie (documenti, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto, anche mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, e di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (cfr. ex plurimis Cass. 4205/2010, Cass. 15952/2007, Cass. 6679/2006, Cass. 4840/2006, Cass. 10598/2005, Cass. 17369/2004, Cass. 9711/2004, Cass. 1170/2004, Cass. 3004/2004). Allo stesso modo, qualora in sede di giudizio di legittimita’ vengano denunciati vizi della sentenza impugnata relativi all’interpretazione di clausole della contrattazione collettiva, il ricorrente ha l’onere, in forza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riportarne il contenuto, a pena di inammissibilita’ del ricorso, ed ha altresi’ l’onere di specificare i canoni ermeneutici in concreto violati, nonche’ il punto e il modo in cui il giudice si sia da essi discostato (Cass. 4678/2002, Cass. 3912/2002, Cass. 10520/2001, Cass. 4717/2000, Cass. 10359/2000).

7. – Nella specie, il ricorso e’ del tutto carente sotto il profilo della formulazione del quesito di diritto, sostituito, prima ancora dell’esposizione delle censure contenute nell’unico motivo di ricorso, dalla (preliminare) richiesta di affermazione di un “principio di diritto” del seguente tenore: “La mancata affissione del codice disciplinare L. n. 300 del 1970, ex art. 7, comporta la nullita’ del licenziamento; il datore di lavoro e’ obbligato a concedere aspettativa non retribuita per motivi di studio e/o di formazione professionale (art. 48 ccnl di categoria); la mancata risposta del quesito formulato dal lavoratore per ottenere permessi non retribuiti per motivi di studio, 3 mesi dopo la richiesta equivale ad accettazione della stessa”.

8. – E’ evidente che una formulazione siffatta non risponde ad alcuno dei requisiti che sono stati sopra indicati. La richiesta cosi’ formulata, inoltre, non e’ coerente con i motivi di impugnazione, poiche’ nella parte dedicata specificamente alla esposizione delle censure non vi e’ alcun riferimento alla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, ne’ viene spiegato perche’, sulla base della disposizione contrattuale, il datore di lavoro dovrebbe ritenersi “obbligato” a concedere aspettativa non retribuita per motivi di studio. Anche l’ultima affermazione contenuta nella richiesta come sopra formulata dal ricorrente non e’ sorretta da adeguata illustrazione nei motivi di impugnazione. Mancano, infine, “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria”, ovvero l’esposizione delle “ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione “(nel senso sopra specificato).

7.- Fermo restando il rilievo assorbente delle considerazioni che precedono, va rilevato poi che il ricorrente non ha riportato il contenuto dei documenti che non sarebbero stati valutati o sarebbero stati insufficientemente valutati dalla Corte territoriale, non offrendo cosi’ la possibilita’ di un riscontro effettivo della decisivita’ dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione rispetto ad essi. Non sono, inoltre, stati indicati i canoni ermeneutici che sarebbero stati eventualmente violati dai giudici di appello nell’interpretazione dell’art. 48 del contratto collettivo (se non attraverso un generico richiamo all’art. 1362 c.c.), ne’ risultano adeguatamente illustrati il punto e il modo in cui i giudici di appello si sarebbero da tali canoni discostati.

8.- Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

9.- Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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