Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2772 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 02/02/2017, (ud. 21/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2772

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

D.A., in proprio e in qualità di socio accomandatario e

l.r. di (OMISSIS), rappr. e dif. dall’avv. Pietro Carlo Pucci,

elett. dom. in Roma, presso lo studio del medesimo in via Riccardo

Grazioli Lante n. 9, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) e di D.A. in proprio, in persona del

curatore fall. p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Perugia 17.6.2013, n. 215/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 21 dicembre 2016 dal Consigliere relatore dott. Massimo

Ferro;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

Soldi Annamaria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Il PROCESSO

D.A., in proprio e in qualità di socio accomandatario e l.r. di (OMISSIS) impugna la sentenza App. Perugia 17.6.2013, n.215/13 in R.G. 518/10, che respinse il proprio appello avverso la sentenza Trib. Spoleto 18.9.2009 a sua volta di rigetto della opposizione spiegata L. Fall., ex art. 18 avverso la sentenza dichiarativa di fallimento resa con sentenza 25.9.2001 dal medesimo tribunale, su istanza dei creditori Gubbiotti Paolo e Serrani s.p.a.

Rilevò la corte d’appello che la dichiarazione di fallimento era stata opposta L. Fall., ex art. 18 dal creditore Serrani s.p.a., affermando di aver desistito dall’originaria istanza, un altro creditore (Cocchioni s.r.l.), i falliti (che contestavano insolvenza e qualità di imprenditore non piccolo fallibile), mentre resistevano l’altro creditore istante (Gubbiotti) e la curatela. Il rigetto dell’opposizione (con la citata sentenza Trib. Spoleto 18.9.2009) era impugnato di appello da D. e dalla s.a.s., con citazione verso curatela e Gubbiotti, l’unico a costituirsi e in quel giudizio gli appellanti rinunciavano all’appello per la parte con cui era stata chiesta, per il caso di revoca del fallimento, la condanna del Gubbiotti alle spese, posto che simmetricamente Gubbiotti aveva nel frattempo, accettando detta rinuncia, a sua volta rinunciato alla istanza di fallimento: cosicchè la corte d’appello dichiarava l’estinzione del giudizio, nei limitati termini descritti, quanto all’appello e a spese compensate.

Nel merito, la sentenza ora impugnata ritenne per un verso che nessun rilievo andava ascritto alle affermazioni del tribunale in ordine al difetto di interesse dei creditori Serrani e Cocchioni s.r.l. all’opposizione, e ciò anche sul presupposto dei poteri di dichiarazione d’ufficio ancora sussistenti in capo al tribunale stesso, tenuto conto che nel frattempo quei soggetti non erano più parti del giudizio; per altro verso, precisò che in difetto di contestazione della qualità di imprenditore non piccolo, l’unica doglianza residua concerneva lo stato di insolvenza. Su tale secondo ed unico punto di gravame, la sentenza motivò la sussistenza dell’elemento oggettivo di cui alla L. Fall., art. 5, riferito alla data della dichiarazione di fallimento, facendo leva – per come possibile trarre direttamente dal fascicolo fallimentare e prefallimentare le relative circostanze – sia sulle risultanze dello stato passivo, sia sulla posizione creditoria, benchè contestata ma afferente a titolo giudiziale esecutivo, del Gubbiotti (cui non erano stati pagati canoni e danni da affitto aziendale per circa 115 milioni Lire e che risultava aver eseguito un pignoramento). La corte negò pertanto rilievo sia alla condotta del curatore circa la mancata coltivazione della domanda riconvenzionale già promossa dai falliti nel giudizio pendente contro quel creditore (l’unico istante), sia alla pretesa consistenza patrimoniale di falliti e fidejussori (non idonea ad escludere l’insolvenza, in difetto di liquidabilità a breve dei beni), sia della vicenda della rinuncia al credito da parte di Gubbiotti (essendo tale desistenza sopraggiunta solo in sede d’appello).

Il ricorso è affidato a sei motivi, con deposito successivo dei ricorrenti altresì di memoria finale.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione di legge ai sensi della L. Fall., art. 5, art. 132 c.p.c., comma 2, avendo erroneamente la corte d’appello sussunto nella nozione di insolvenza fatti non probanti, quali l’importo dello stato passivo e del credito di Gubbiotti, nè tenuto conto che i debiti bancari (verso MPS e Intesa) erano per finanziamento all’avvio dell’attività della società (OMISSIS) e poi vennero onorati, prima del concordato fallimentare, dai fidejussori, vi era stato un avanzo di liquidità del curatore e altri debiti non potevano essere computati, perchè gestiti con altre finalità dal curatore.

Con il secondo motivo, lamentano i ricorrenti l’erroneità della sentenza ove ha negato che fosse controversa la qualità di piccolo imprenditore commerciale della s.a.s., benchè piccola società commerciale, ragione d’impugnativa invece coltivata e ribadita tra i motivi d’appello.

Con il terzo motivo viene invocata la violazione dell’art. 2313 c.c., L. Fall., art. 5, avendo la sentenza dichiarato il fallimento nonostante la capienza patrimoniale del socio illimitatamente responsabile ed il supero di valore dei beni pignorati rispetto al credito azionato.

Con il quarto motivo, si invoca l’omessa pronuncia sulle spese, questione prospettata in via subordinata, laddove per la dichiarazione di fallimento in primo grado sono occorsi circa dieci anni e 18 mesi solo per la anteriore istruttoria, mentre le motivazioni di rigetto dell’opposizione vertevano su prove ancora diverse.

Con il quinto motivo viene invocato il vizio di motivazione circa la sussistenza della crisi di liquidità già prima del fallimento, mentre l’unico debito contestato era verso Gubbiotti e gli altri divennero insoluti solo con il fallimento.

Con il sesto motivo, si deduce il vizio di motivazione, assente sul punto della richiesta di c.t.u., non disposta dal giudice d’appello ed ivi reiterata sulla questione dell’insolvenza.

1. Il primo, terzo e quinto motivo del ricorso, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono inammissibili perchè si risolvono in una richiesta di rivisitazione dell’accertamento di fatto condotto dal giudice di merito intorno allo stato d’ insolvenza, ricostruito con puntuali indicazioni del percorso probatorio, nelle quali hanno assunto valenza decisiva fattori indizianti logicamente coerenti e di plausibile riconduzione al giudizio prognostico cui va ricollegata la disamina dell’elemento oggettivo ora contestato. Così la stessa sentenza dà conto che: a) il credito vantato dall’istante Gubbiotti, cospicuo per valore e sintomaticità della crisi aziendale (attenendo a canoni non pagati del ramo d’azienda dato in affitto e chiesto in restituzione per inadempimento), era consacrato in un titolo esecutivo giudiziale (Cass. 24789/2016); b) il conseguente pignoramento aveva un oggetto che non poteva alterare, per mero valore astratto di stima del bene, il predetto giudizio di sfavore sulla liquidità a breve della società, non essendo emerse prove di pronta possibile trasformazione in danaro del patrimonio staggito e destinazione satisfattiva al pignorante, considerazione estensibile anche al patrimonio dei fidejussori; c) la mera contestazione giudiziale e dunque la volontarietà dell’inadempimento non potevano superare la delibazione di fondatezza del credito stesso, per come condotta; d) le risultanze dello stato passivo – per le quali lo stesso ricorrente menziona la pregressa istanza di fallimento di Cocchioni s.r.l., poi rinunciata – evidenziavano “un importo notevolissimo”, per il quale l’affermazione che si trattasse di debiti cui i ricorrenti avrebbero ordinariamente fatto fronte se solo non dichiarati falliti, appare scollegata dal valore sintomatico del blocco delle attività d’azienda connesso al sequestro. Può dunque e comunque ripetersi, per un verso, che “lo stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore non è escluso dalla circostanza che l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili. In particolare, il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti della L. Fall., art. 5, deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonchè nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio. Il convincimento espresso dal giudice di merito circa la sussistenza dello stato di insolvenza costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione esauriente e giuridicamente corretta.” (Cass. 7252/2014). E parimenti, va ribadito l’indirizzo per cui “nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, la verifica, L. Fall., ex art. 5, dello stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale esige la prova di una situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, valutate nel loro complesso, in quanto già scadute all’epoca della predetta dichiarazione e ragionevolmente certe; ne consegue, quanto ai debiti, che il computo non si limita alle risultanze dello stato passivo nel frattempo formato, ma si estende a quelli emergenti dai bilanci e dalle scritture contabili o in altro modo riscontrati, anche se oggetto di contestazione, quando (e nella misura in cui) il giudice dell’opposizione ne riconosca incidentalmente la ragionevole certezza ed entità; quanto all’attivo, i cespiti vanno considerati non solo per il loro valore contabile o di mercato, ma anche in rapporto all’attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione – di regola – dell’operatività dell’impresa, salvo che l’eventuale fase della liquidazione in cui la stessa si trovi renda compatibile anche il pronto realizzo dei beni strumentali e dell’avviamento.” (Cass. 5215/2008). Ne consegue l’assorbimento del sesto motivo.

2. Il secondo motivo, in cui si denuncia l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. sul sesto motivo di appello e per il quale erroneamente la corte avrebbe affermato che la questione non era stata riproposta, è infondato: il giudice di appello correttamente ha invero omesso di pronunciare su motivo inammissibile e, nella concreta fattispecie, il motivo di gravame era invero privo di specificità in quanto – come espone lo stesso ricorrente a pag. 39 del ricorso – si era limitato a richiamare le argomentazioni svolte (addirittura) in sede prefallimentare. Infatti, l’onere di specificazione dei motivi di appello, imposto dall’art. 342 c.p.c., non può dirsi assolto con il semplice richiamo per relationem alle difese svolte in primo grado, perchè i motivi di gravame devono essere contenuti nell’atto d’impugnazione e, peraltro, la generica relatio a tutto quanto prospettato in prime cure finisce per eludere il menzionato precetto normativo, demandando inoltre al giudice ad quem un’opera d’individuazione delle censure che la legge processuale non gli affida (Cass. 1248/2013).

3 Il quarto motivo è infine infondato, poichè in primo luogo la sentenza d’appello non ha disposto la revoca del fallimento e, sul punto delle spese, non ha pronunciato alcuna condanna contro gli appellanti falliti, aderendo invece alla rinuncia accettata del Gubbiotti, dunque risultando gli appellanti stessi propriamente soccombenti. In ogni caso, si osserva, anche la dichiarazione di fallimento opposta non può dirsi originata da mala fede del creditore istante, nè estranea ad una volontaria resistenza all’accertamento della propria insolvenza, palesandosi invece riconducibile ad una condotta della stessa società debitrice che, consapevole della situazione debitoria per la quale stava subendo l’azione del creditore Gubbiotti, procedette nel proprio inadempimento e in quei termini affrontò l’istruttoria, per la quale altri vizi ai fini del motivo non risultano essere stati prospettati.

Il ricorso va dunque rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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