Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27716 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. II, 12/10/2021, (ud. 31/03/2021, dep. 12/10/2021), n.27716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19797/2016 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELL’AMBA

ARADAM, 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GRILLO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIMAVO

12, presso lo studio dell’avvocato ANGELO ANGELONI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2046/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/03/2021 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.M.P. ebbe ad avviare lite, avanti il Tribunale di Viterbo sez. dist. di Montefiascone, avverso la germana B.A. assumendo d’aver, ad esito della divisione di un terreno, concordato con la germana la realizzazione di una servitù reciproca su strada mai realizzata per indisponibilità di questa; che la convenuta aveva realizzato una scala coperta, afferente il suo stabile, non a distanza legale e che la stessa aveva invaso, con le fondazioni del muretto di confine, il suo predio.

L’attrice quindi chiedeva che la germana fosse obbligata ad ottemperare all’impegno di realizzare la strada, su cui esercitare la servitù reciproca, ad arretrare il muretto entro il suo predio e la scala sino alla distanza di legge. Resistette B.A., contestando a fondatezza dell’azione avversaria e proponendo, a sua volta, domanda riconvenzionale sempre in relazione al mancato rispetto delle distanze legali in relazione a costruzioni realizzate dalla sorella M.P. sul suo predio.

Il Tribunale di Viterbo-Montefiascone accolse parzialmente entrambe le domande reciprocamente proposte – e per quanto ancora interessa – ordinò ad B.A. di arretrare la scala coperta sino a distanza di legge, mentre rigettava la sua pretesa di abbattimento del muro di contenimento realizzato sul suo fondo dalla germana M.P..

B.A. propose gravame principale avanti la Corte d’Appello di Roma ed anche B.M.P. espose gravame incidentale, ed all’esito la Corte capitolina rigettò l’impugnazione principale in toto, mentre accolse quella incidentale, confermando la statuizione di arretramento della scala coperta ed il rigetto della domanda diretta all’abbattimento del muro di contenimento in quanto a distanza illegale.

Osservava il Collegio romano con relazione alla scala coperta come le norme del P.R.G. del Comune di Montefiascone avevano natura integrativa del precetto ex art. 873 c.c., siccome insegnava costantemente il Supremo Collegio, e come il muro oggetto di domanda riconvenzionale, eretto da B.M.P., aveva la finalità di contenimento di scarpata naturale eppertanto non poteva considerarsi costruzione.

Avverso detta sentenza B.A. ha proposto ricorso per cassazione, strutturato su tre motivi, illustrato anche con nota difensiva.

Ha resistito con controricorso B.M.P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso proposto da B.A. s’appalesa infondato e va rejetto.

Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente denunzia violazione della norma ex art. 873 c.c., in quanto la Corte capitolina aveva erroneamente ritenuto integrativa della norma codicistica la previsione portata nel P.R.G. del Comune di Montefiascone e, comunque, non aveva tenuto conto della deroga alle distanze prevista da norma portata nella L. n. 21 del 2009, della Regione Lazio in relazione agli ampliamenti di stabili esistenti.

La censura s’appalesa siccome infondata sotto entrambi i profili proposti.

Anzitutto la censura afferente la natura integrativa della norma ex art. 873 c.c., della previsione, in tema di distanza tra fabbricati e dai confini, presente nella norma regolamentare comunale, appare meramente apodittica poiché solo enunciata senza anche il confronto con la puntuale statuizione assunta sul punto dal Collegio romano, per giunta in adesione a costante insegnamento di questo Supremo Collegio.

Quanto poi alla questione – novità di questo giudizio – dell’applicabilità nella specie della disciplina derogatoria in tema di distanze, portata nella L.R. Lazio n. 21 del 2009, basta osservare come il motivo pecchi, da un lato, di non autosufficienza e, dall’altro, di novità non risultando proposta nelle sedi di merito.

Difatti, posto che la questione non risulta esaminata in sede d’appello, parte ricorrente non può limitarsi a richiamare la norma regionale, ma ha pure l’onere di illustrare per quale ragione la sua costruzione trovasse legittimazione in sanatoria in base alla normativa regionale richiamata – già esistente quando il procedimento fu trattato nei gradi di merito -, che appare articolata e prevede casi specifici di sua applicabilità in ragione di situazioni fattuali date.

Inoltre la questione risulta sollevata, ex novo, in questa sede di legittimità ed un tanto è bensì possibile – Cass. sez. L n. 25863/18, Cass. sez. 3 n. 26906/14, Cass. sez. L n. 11792/03 – poiché si fonda sull’applicazione di una norma di diritto, ma ciò non deve importare anche un necessario esame dei presupposti di fatto per l’applicazione di detta nuova regola giuridica nel caso di specie.

E, come dianzi chiarito, dalla lettura della complessiva disciplina – e non parcellizzata come fatto in ricorso – portata dalla citata legge regionale, appare evidente che la deroga alla disciplina in tema di distanze risulta conseguenza di una serie di condizioni fattuali afferenti alle specifiche caratteristiche dell’intervento edilizio da realizzare, si configura quindi nella specie l’esigenza di valutare la situazione di fatto per accertare se la norma regionale trova applicazione, ossia esattamente la questione giuridica regolata dagli arresti di legittimità dianzi citati.

Con la seconda doglianza B.A. lamenta violazione dell’art. 873 c.c. – con riguardo al rigetto della sua domanda di inosservanza delle distanze da parte della resistente nell’erigere suo manufatto – la Corte distrettuale ebbe malamente a ritenere che la scarpata contenuta dal muro sito sul fondo della resistente a distanza illegale fosse naturale, mentre risultava provato in causa che era il prodotto di lavori di sbancamento condotti dalla germana, sicché era da ritenere costruzione.

Con la terza ragione d’impugnazione la ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto il Collegio romano ha omesso di valutare la congruità delle conclusioni elaborate dal consulente tecnico, poiché non riportata, nell’elaborato e nemmeno nella risposta ai chiarimenti, la distanza dal confine del suo fondo del magazzino seminterrato realizzato da controparte.

Inoltre la ricorrente lamenta che la Corte capitolina rigettò la sua domanda di ripristino delle quote originarie del terreno, alterate dai lavori disposti dalla germana, nonostante le prove versate in atti circa la realizzazione artificiale della scarpata sostenuta dal muro da ritenersi, così, non di contenimento ma vera e propria costruzione.

Le due censure sopra sunteggiate appaiono intimamente correlate, sicché risulta opportuna la loro trattazione unitaria e sono prive di fondamento giuridico.

Difatti la Corte capitolina ha puntualmente messo in rilievo come il muro in questione non può esser ritenuto costruzione – e di conseguenza sono logicamente e giuridicamente irrilevanti le distanze al riguardo ed il loro omesso esame – poiché ha la funzione di contenere scarpata naturale, siccome insegna costantemente questo Supremo Collegio.

Quindi ha esaminato gli elementi probatori, introdotti in causa dalla ricorrente a supporto della sua affermazione che la scarpata è il risultato dei lavori di sbancamento eseguiti nel 1994 dalla sorella, ed ha motivatamente ritenuto gli stessi non adeguati a supportare detto accertamento.

Pertanto la mera elaborazione di opzione valutativa di detti dati probatori alternativa rispetto all’apprezzamento fattone dal Collegio romano si risolve nell’inammissibile sollecitazione a questo Giudice di legittimità di procedere ad apprezzamento sul merito della controversia.

Al rigetto del ricorso segue la condanna di B.A. al pagamento in favore di B.M.P. delle spese di questa lite di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e rimborso forfetario siccome precisato in motivazione.

Concorrono in capo alla ricorrente le condizioni processuali di legge per l’ulteriore pagamento del contributo unificato, ove dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a B.M.P. le spese di questo giudizio di legittimità, che tassa in complessivi Euro 3.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario secondo la tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

 

 

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