Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27716 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27716 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 10956-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
2111

contro
SOCIETA’ ROITZ SRL in persona del Consiglio di
Amministrazione pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA LUIGI LUCIANI 42, presso lo studio
dell’avvocato LORENZA ROBERTA LEONE c/o studio
SALUSTRI E ASSOCIATI, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 11/12/2013

dall’avvocato LEONE GREGORIO giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 17/2011 della COMM.TRIB.REG. di
TRIESTE, depositata il 10/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato CAPUTI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato LEONE che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del 2 ° motivo del
ricorso, rigetto restanti.

udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO

I

RITENUTO IN FATTO.
1. Con tre avvisi di accertamento suppletivo e di rettifica emessi in data 20.11.06, l’Agenzia delle Dogane disponeva l’applicazione ed il recupero dei dazi addizionali non corrisposti in relazione a 112 dichiarazioni di
importazione effettuate dalla Roitz s.r.l. nel corso
dell’anno 2004, nella qualità di dichiarante doganale ai
(Codice Doganale Comunitario, in prosieguo CDC), per conto della società COMAG LTD di Londra. Da indagini espletate dalla Guardia di Finanza di Trieste emergeva, invero, la sussistenza di una vasta frode nell’importazione
di partite di zucchero da Paesi terzi (Polonia e Brasile), posta in essere mediante la presentazione in dogana,
all’atto dell’importazione, di fatture attestanti un valore dello zucchero non corrispondente a quello reale, ma
aumentato in misura sufficiente ad escludere l’ applicazione del dazio addizionale.
1.1. Ed invero, a norma degli artt. 2, lett. a) e 3, par.
2 del Regolamento CE n. 1423/95, il dazio addizionale
sull’importazione di zucchero da Pesi terzi (all’epoca
dei fatti anche la Polonia non era aderente alla CE) deve
trovare applicazione ogni qual volta il prezzo di vendita
della merce importata sia inferiore alla soglia di C
47,79 per 100 Kg., stabilita dal predetto Regolamento.
Ebbene, dalle indagini effettuate, risultava che la Roitz
s.r.1., nella predetta qualità, aveva presentato in dogana fatture emesse dalla SIDEC s.a. di Lugano quale venditrice, nei confronti della COMAG LTD, quale acquirente,
che indicavano un prezzo di vendita di C 48,30 per 100
kg., per lo zucchero importato dalla Polonia, e di e
49,80 per 100 kg., per lo zucchero importato dal Brasile,
prezzi appena sufficienti a superare la soglia di C 47,79
per 100 kg., al di sopra della quale non deve essere applicato il dazio addizionale di cui al Reg. CE 1423/95.
1.2. Il carattere fittizio ed ingiustificato del prezzo
esposto nelle suddette fatture e, dunque, l’artificiosità
dell’intera operazione, emergeva, ad avviso dell’Ufficio,

sensi dell’art. 201, par. 3 del Regolamento CE n. 2913/92

da due circostanze essenziali: l) dal reperimento, nel
corso di una perquisizione eseguita presso la sede della
Roitz dalla Guardia di Finanza, su incarico dell’autorità
giudiziaria, dei contratti con i quali la SIDEC s.a.
(venditrice della COMAG LTD) aveva, a sua volta, acquistato zucchero polacco dalla società KRAJOWA SPOLKA
CUKROVA s.a. al prezzo di C 235,00 per 1000 kg. (C 23,5
COMMODITIES INVESTIMENTS LTD, al prezzo di 211 per 1000
kg.

(e

21,1 per 100 kg.); 2) dal fatto che gli accerta-

menti esperiti dalla Guardia di Finanza avevano rivelato
che la pretesa venditrice SIDEC s.a. era, in realtà, proprietaria al 100% della apparente compratrice COMAG LTD.
Tali circostanze evidenziavano, invero, che la SIDEC s.a.
aveva praticato un ricarico superiore al 100%„ rispetto
al prezzo di acquisto a suo tempo corrisposto, nella rivendita dello zucchero importato nei confronti di una società ad essa appartenente al 100%; sicchè – nella sostanza – si trattava, a parere dell’Ufficio, di una rivendita operata a sé stessa, all’evidente fine di elevare
il prezzo di importazione, onde superare la soglia al di
sotto della quale doveva essere applicato il dazio addizionale sullo zucchero importato.
1.3. Ne conseguiva l’emissione dei suddetti avvisi di accertamento in rettifica nei confronti del dichiarante doganale, ai sensi dell’art. 201, par. 3 CDC.
2. Gli atti impositivi suindicati veniva, quindi, impugnati dalla Roitz s.r.l. dinanzi alla CTP di Gorizia, che
accoglieva il ricorso. L’appello proposto dall’Agenzia
delle Dogane veniva rigettato dalla CTR del Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 17/10/11, depositata il
10.3.11
2.1. La CTR – confermando la decisione di primo grado riteneva, invero, non comprovata, nei confronti dello
spedizioniere Roitz s.r.1., l’artificiosità del prezzo
esposto nelle fatture allegate alla dichiarazione
all’importazione, e che avevano giustificato l’esclusione
del dazio addizionale, ed – in ogni caso – sussistente

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per 100 kg.), nonché zucchero brasiliano dalla società

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l’esimente comunitaria della buona fede, prevista
dall’art. 220 del Regolamento CE 2913/92.
3. Per la cassazione della sentenza n. 17/10/11 ha proposto ricorso l’Agenza delle Entrate, affidato a quattro
motivi, ai quali la Roitz s.r.l. ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO.
denuncia la violazione degli artt. 19 e 24, co. 2 d.lgs.
n. 546/92, e la conseguente nullità dell’impugnata sentenza, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.
1.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR
abbia consentito alla Roitz s.r.l. di dedurre, nella memoria integrativa, motivi aggiunti di ricorso non giustificati, a norma dell’art. 24, co. 2 d.lgs. 546/92, da
produzioni documentali, da parte dell’Amministrazione,
tali da comportare un ampliamento del

thema decidendum.

La prova documentale prodotta dall’Ufficio sarebbe stata,
difatti, relativa alla circostanza del controllo totale
della COMAG LTD da parte della SIDAC s.a., già ampiamente
nota alla contribuente, poiché esplicitata negli atti di
causa.
2. Con il secondo terzo e quarto motivo di ricorso – che,
per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Dogane denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 201, par 3 e 4,
punto n. 18) CDC, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere non responsabile del mancato pagamento dei dazi addizionali la
Roitz s.r.1., per il solo fatto che la medesima non fosse
l’importatore dei beni, ma solo il dichiarante doganale.
Il giudice di appello non avrebbe, invero, considerato a parere della ricorrente – che, in forza delle disposizioni summenzionate, oltre che il dichiarante in nome
proprio, anche il rappresentante indiretto, o qualsiasi
altro soggetto che comunque si inserisca nel procedimento
di importazione, sebbene non proprietario dei beni importati, rispondono dei dazi all’importazione, laddove la

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1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Dogane

loro mancata riscossione sia dovuta ai dati forniti dai
medesimi soggetti suindicati.
2.2. I motivi, secondo terzo e quarto sono fondati e vanno accolti, restandone assorbito il primo motivo di ricorso.
2.2.1 Va osservato, infatti, che nell’ordinamento comunitario – nel quale non è contemplata la rappresentanza fid.P.R. 633/72, ma è prevista dall’art. 5 CDC la possibilità di farsi rappresentare presso l’autorità doganale,
nelle forme della rappresentanza diretta ed indiretta
(Cass. 7261/09) – una responsabilità per i dazi doganali
inevasi può sorgere, in forza del combinato disposto degli artt. 201 e 4, punto n. 18) CDC, anzitutto sul dichiarante in nome proprio, o sulla persona in nome della
quale è effettuata una dichiarazione di importazione in
dogana. Una responsabilità di tal fatta può – inoltre cogere, in forza delle medesime disposizioni succitate,
anche a carico del rappresentante indiretto, il quale agendo in nome proprio, sia pure nell’interesse altrui acquista diritti ed obblighi che è tenuto a ritrasmettere
al rappresentato.
2.2.2. Ma deve ritenersi che anche il soggetto che si sia
in, qualsiasi modo, ed anche di fatto, obiettivamente ingerito nell’ operazione doganale di importazione, sia tenuto in solido con il proprietario delle merci al pagamento dei dazi doganali. Ed invero, a norma dell’art.
201, co. 3, CDC, quando una dichiarazione è resa in base
a dati che determinano la mancata riscossione totale o
parziale dei dazi dovuti per legge, le persone che hanno
fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione
e che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della
erroneità, possono essere parimenti considerati debitori
conformemente alle vigenti disposizioni doganali. Ed
inoltre, in linea con la regolamentazione comunitaria
succitata, l’art. 38 del d.P.R. n. 43/73 vincola all’obbligazione tributaria tutti coloro comunque ingeritisi,

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scale, disciplinata in tema di IVA dall’art. 17, co. 2

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sia pure in via meramente fattuale, nell’operazione di
importazione (cfr. Cass. 29585/11, 1574/12).
2.2.3. Orbene, nel caso di specie, dall’esame degli atti
del presente giudizio, si evince che la ragione sociale
della Roitz s.r.l. era presente in tutte le dichiarazioni
di importazione di zucchero oggetto di revisione da parte
dell’Ufficio doganale; circostanza – questa – chiaramente
qualità di dichiarante. Ma poi, la medesima, oltre ad
avere effettuato le dichiarazioni in dogana per conto
della COMAG LTD, aveva, altresì, presentato all’Ufficio
le relative fatture, recanti l’indicazione di un prezzo
spropositato rispetto a quello della vendita a monte a
favore della SIDEC s.a., venditrice diretta della COMAG.
Per di più, nel corso di una perquisizione – avvenuta,
come affermato dalla stessa resistente nel controricorso,
in data 30.6.04 presso la sede della Roitz – la Guardia
di Finanza aveva reperito i contratti tra la SIDEC e le
società, polacca e brasiliana, originarie cedenti del
prodotto importato, recanti l’indicazione di prezzi inferiori di più della metà, rispetto al prezzo di rivendita
operato dalla SIDEC alla COMAG.
Ebbene, non v’è chi non veda come – alla stregua degli
elementi suindicati – sia l’inserzione della Roitz s.r.l.
(giuridica e fattuale) nelle operazioni doganali in discussione, che la consapevolezza, da parte della medesima, dell’erroneità delle dichiarazioni all’importazione
sia, nella specie, conclamata dagli atti del presente
giudizio.
2.2.4. Né può ritenersi condivisibile, a giudizio della
Corte, l’assunto della CTR – fondato, peraltro, su un
percorso motivazionale del tutto carente – secondo cui
sussisterebbe, in ogni caso, l’esimente comunitaria della
buona fede ex art. 220, lett. b) CDC, considerato
l’errore attivo della dogana, che non avrebbe richiesto
il documento DV1 all’atto dell’immissione della merce importata in libera pratica.

indicativa della sua partecipazione alle operazioni in

2.2.4.1. Ed invero, secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte – in linea con quella della Corte di Lussemburgo – in tema di imposizione fiscale delle importazioni, l’esenzione prevista dall’art. 220, comma secondo,
lett. b), CDC, che preclude la contabilizzazione “a posteriori” dell’obbligazione doganale in presenza di un
errore dell’autorità doganale e della buona fede dell’odebitore circa la fondatezza degli elementi che intervengono nella decisione di recuperare o meno i dazi. Per essere applicata, essa richiede un compiuto esame da parte
del giudice sulla ricorrenza della buona fede, che va dimostrata dal soggetto che intende avvalersi dell’agevolazione, attraverso la prova di tutti i presupposti necessari perché resti impedito il recupero daziario: a) un
errore imputabile alle autorità competenti; b) un errore
di natura tale da non poter essere riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, ed in ogni caso determinato da un comportamento
attivo delle autorità medesime, non rientrandovi quello
indotto da dichiarazioni inesatte dell’operatore; c)
l’osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni previste per la sua dichiarazione in dogana dalla
normativa vigente (ex plurimis, Cass. 15297/08, 7702/13).
2.2.4.2. Ebbene, nel caso concreto, non può ritenersi, a
giudizio della Corte, che siffatti presupposti per
l’applicazione dell’esimente in parola possano considerarsi sussistenti. Ed invero, ai sensi dell’art. 178,
par. l, del Regolamento CE n. 2454/93, la dichiarazione
doganale effettuata per le merci importate, quando sia
necessario determinarne il valore in dogana, deve essere
accompagnata da una “dichiarazione degli elementi relativi al valore in dogana (dichiarazione del valore) compilata su un modulo D.V. l”. Inoltre, ai sensi del par. 2
dello stesso art. 178, “la dichiarazione del valore di
cui al paragrafo l dovrà essere compilata solo da una
persona che risieda o svolga la sua attività nel territo-

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peratore, intende tutelare il legittimo affidamento del

rio doganale della Comunità e sia in possesso delle relative informazioni”.
Dalle disposizioni succitate si evince, dunque, con chiara evidenza, che la presentazione di tale dichiarazione
di valore costituisce un obbligo dell’importatore, che è
tenuto – nei casi previsti – a redigerla ed a consegnarla
unitamente alla dichiarazione di valore.
che, per un verso, la mancata presentazione di tale dichiarazione non può integrare – ai fini del riscontro
dell’esimente comunitaria della buona fede – “un errore
imputabile alle autorità competenti”, per altro verso,
che non risulta integrato l’altro presupposto per il riconoscimento di tale esenzione, rappresentato dall’ “osservanza da parte del debitore di tutte le disposizioni
previste per la sua dichiarazione in dogana dalla normativa vigente daziaria”, risultando integrata – nella specie – la violazione dell’art. 178 del Regolamento
2454/93.
2.3. Per tali ragioni, pertanto, le censure suesposte devono essere accolte.
3. L’accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di
ricorso, assorbito il primo, comporta la cassazione
dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1
c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico del resistente soccombente, nella misura
dì cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il secondo terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il primo; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo
nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contri-

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2.2.4.3. Ne discende, con riferimento al caso concreto,

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buente; condanna il resistente alle spese del presente
giudizio che liquida in C 20.000,00, oltre alle spese
prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le
spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Se-

zione Tributaria, il 17.6.2013.

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