Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27715 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27715 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 21600-2010 proposto da:
BONINO FILIPPO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
PO 9, presso lo studio dell’avvocato NAPOLITANO
FRANCESCO giusta delega a margine;
– ricorrente contro
2013
2110

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controri corrente

avverso la sentenza n. 80/2009 della COMM.TRIB.REG. di

Data pubblicazione: 11/12/2013


TORINO, depositata il 18/12/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato MUCCARI delega

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto istanza Avvocatura dello Stato e in subordine
accoglimento del ricorso.

Avvocato NAPOLITANO che ha chiesto l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO.
1. In data 31.8.06, l’Agenzia delle Entrate notificava a
Bonino Filippo due avvisi di accertamento, con í quali
provvedeva a rettificare le dichiarazioni IVA presentate
dal medesimo per gli anni di imposta 1999 e 2000, recuperando a tassazione l’imposta addebitatagli in rivalsa,
relativamente a fatture per acquisti di beni strumentali
za di contratto di soccida, stipulato in data 20.3.97,
con il soccidante Bonetto Giuseppe & figli s.s. L’Ufficio
– muovendo dal rilievo secondo cui il Bonino (allevatore
dei capi di bestiame), con detto contratto, si era obbligato a prestare il lavoro occorrente per la custodia e
l’allevamento degli animali, che venivano ceduti a terzi
esclusivamente dal soccidante (proprietario dei capi), il
quale provvedeva a rimettere all’associato la quota di
accrescimento in denaro – riteneva, invero, indebitamente
detratta, ex art. 19, co. 2 d.P.R. 633/72, l’IVA per gli
anni in contestazione, non avendo il Bonino posto in essere alcuna fatturazione di vendite di suini e, quindi,
nessuna operazione imponibile ai fini IVA.
1.1. Gli atti impositivi venivano impugnati dal contribuente – con separati ricorsi – dinanzi alla CTP di Cuneo
che, dopo averli riuniti, li accoglieva. L’appello
dell’Agenzia delle Entrate veniva, peraltro, accolto dalla CTR del Piemonte, con sentenza n. 80/31/09, depositata
il 18.12.09.
2. La CTR – in riforma della decisione di primo grado riteneva, invero, che – non avendo il Bonino, nella sua
qualità di soccidario in forza del contratto di soccida
suindicato, compiuto operazioni soggette ad IVA – la detrazione operata dal medesimo sugli acquisti effettuati
per l’esercizio di detta attività di soccida, negli anni
1999 e 2000, fosse da considerarsi illegittima.
3. Per la cassazione della sentenza n. 80/31/09 ha proposto ricorso il Bonino articolando due motivi, ai quali
l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO.

all’attività di soccidario esercitata dal Bonino, in for-

1. Va rilevato, in via pregiudiziale, che, con istanza in
data 2.10.02, l’Amministrazione finanziaria – premesso
che il contribuente aveva provveduto a definire la controversia, in forza del disposto dell’art. 39 del d.l. n.
98/2011 – chiedeva dichiararsi l’ estinzione del giudizio, ai sensi dell’art. 16, co. 8 della l. n. 289/02.
L’istanza veniva accolta dal Presidente della Sezione,
depositato il 29.1.2013.
1.1. A detta istanza faceva, peraltro, seguito un successivo ricorso, con il quale il Bonino – sul presupposto
che la definizione condonale del giudizio aveva riguardato il solo anno 2000 – chiedeva che l’incardinato giudizio di legittimità proseguisse per la parte relativa
all’annualità di imposta 1999, che non aveva costituito
oggetto di definizione.
1.2. Tanto premesso, va osservato che l’art. 391, co. 3,
c.p.c., nel prevedere che il decreto presidenziale di
estinzione del processo abbia efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chieda la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione,
attribuisce alle parti in causa, che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato a seguito della rinunzia, la possibilità di chiedere
alla Corte di pronunciarsi sulla controversia, senza imporre l’onere di indicare i motivi di tale richiesta. Tale disposizione, infatti, non configura certamente uno
strumento di carattere impugnatorio, non essendo neppure
normativamente individuabili i vizi ai quali il medesimo
dovrebbe porre rimedio. Per il che esso – configurando
evidentemente un provvedimento inidoneo al giudicato consente alle parti di chiedere il passaggio ad una fase
successiva per un esame completo della controversia,
nell’ambito della quale la Corte può valutare se l’istanza di estinzione sia stata correttamente emanata dovendo,
in caso contrario, procedere all’esame del ricorso per
cassazione (cfr. Cass. 15817/09, 3352/10, 24433/11).

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con decreto ex art. 391 c.p.c., emesso in data 8.1.2013 e

1.3. Ebbene, nel caso di specie, dall’esame della documentazione allegata all’istanza del Bonino, si evince,
inequivocabilmente, che il condono ex d.l. 98/11, convertito dalla 1. n. 111/11, era stato proposto dal contribuente per la sola annualità di imposta 2000. Per cui, il
decreto presidenziale di estinzione dell’8.1.2013 va considerato inefficace per l’annualità di imposta 1999, per
proposto del contribuente.
2. Tutto ciò premesso, va osservato che, con il primo motivo di ricorso, Bonino Filippo denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere del ricorrente – a ritenere fondata la pretesa dell’Ufficio, sul
presupposto che il soccidario, in forza del contratto
stipulato con il soccidante non avesse posto in essere,
nell’anno 1999, operazioni imponibili ai fini IVA, e che
– di conseguenza – il diritto alla detrazione dell’ imposta assolta sugli acquisti di beni strumentali
all’attività in questione non fosse detraibile, ai sensi
dell’art. 19 d.P.R. 633/72.
2.2. Il giudice di appello avrebbe, per contro, dovuto
considerare che la quota monetaria ricevuta dal soccidario, rappresenterebbe una cessione di denaro ex art. 2,
co. 3, lett. a) del d.P.R. 633/72, operazione per la quale l’art. 19, co. 3, lett. c) prevede comunque il diritto
alla detrazione.
2.3. Il motivo è infondato.
2.3.1. E’ – per vero – incontroverso tra le parti che il
Bonino (soccidario ed allevatore del bestiame) ha detratto, per l’anno 1999, l’IVA sulle fatture per spese da lui
effettuate per acquisiti inerenti l’attività di soccidario, ossia per beni strumentali a tale attività. Tuttavia, a valle di tali acquisiti, non risultano effettuate
operazioni imponibili, in particolare cessioni di beni,
atteso che la vendita di suini risulta effettuata esclusivamente dal soccidante, che – in forza della convenzio-

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la quale, dunque, va dato corso all’esame del ricorso

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ne con il soccidario – ha dipoi attribuito al medesimo,
nell’anno in contestazione, una quota di utili,
nell’ambito del rapporto associativo agrario costituito
dalla soccida. Nel contratto di soccida del 20.3.97, trascritto – nei punti essenziali – nel ricorso ai fini
dell’ autosufficienza, le parti stabilivano, infatti, che
l’accrescimento sarebbe stato ripartito “nella proporziosoccidario”. E siffatta quota veniva, dal soccidante Bonetto Giuseppe & figli s.s., effettivamente corrisposta
al Bonino in denaro.
2.3.2. Ebbene, essendo la soccida un contratto associativo, è evidente che il soccidario vanta, al momento dello
scioglimento del rapporto – o anche al termine delle singole annualità, se in tal senso dispongono la convenzione, le norme o gli usi – i diritti, previsti dagli artt.
2183 e 2184 c.c., agli accrescimenti, ai prodotti e agli
utili (Cass. 21491/05). Con la conseguenza che le somme
versate, nella specie, dal soccidante al soccidario, a
titolo di rimborso dell’accrescimento del bestiame allevato, rappresenta soltanto la quota di utili a
quest’ultimo spettanti nell’ambito del rapporto associativo agrario in parola, secondo le previsioni della convenzione intercorsa tra le parti.
2.3.3. E’ di tutta evidenza, dunque, che, contrariamente
all’assunto del ricorrente, non ci si trova in presenza come questa Corte ha avuto modo di precisare di recente
(cfr. Cass. 8727/13) – di una cessione di denaro o di altro titolo di credito in denaro, come tale rilevante ai
fini della detrazione dell’IVA pagata a monte, ai sensi
dell’art. 19, co. 3, lett. c) d.P.R. 633/72. La cessione
in parola è da ritenersi, difatti, configurabile solo
quando le parti pongano in essere un trasferimento di denaro che passi in proprietà al cessionario, come nel caso
del mutuo o del deposito irregolare, nei quali – avendo
il contratto ad oggetto beni fungibili – insorge esclusivamente l’obbligo, per il mutuatario e per il depositario
che divengono proprietari della somma entrata nella loro

ne del 90% a favore del soccidante e del 10% a favore del

disponibilità, di restituire il tantundem eiusdem generis
et qualitatis (Cass. 7116/98, 17512/11).
2.3.4. Di conseguenza, è evidente che il Bonino, nella
sua qualità di soccidario, non ha posto in essere,
nell’anno 1999, a valle degli acquisti di beni strumentali alla sua attività, operazioni di cessioni di beni, come tali imponibili, e perciò rilevanti ai fini della detuata dal solo soccidante. E neppure può considerarsi assoggettabile ad IVA, come cessione di denaro, la corresponsione della percentuale di accrescimento, risolvendosi tale operazione – come dianzi detto – nel conseguimento, da parte del Bonino, di una quota di utile derivante
dal contratto di soccida, stipulato con il soccidante Bonetto Giuseppe e figli s.s.
Ne discende, che l’imposta relativa agli acquisti di beni
strumentali all’attività del contribuente, in quanto assolta per l’acquisto di beni afferenti ad operazioni
esenti, o comunque non soggette all’imposta, non poteva
essere detratta dal medesimo, ostandovi il disposto
dell’art. 19, co. 2 d.P.R. 633/72.
2.3.5. Il motivo in esame va, pertanto, disatteso.
3. Con il secondo motivo di ricorso, il Bonino denuncia
la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un
punto decisivo della controversia, in relazione all’art.
360 n. 5 c.p.c.
3.1. Il contribuente censura, invero, l’impugnata sentenza nella parte in cui, dopo avere considerato i beni acquistati come strumentali all’attività del Bonino, avrebbe, poi, del tutto contraddittoriamente affermato che il
medesimo non avrebbe offerto dimostrazione alcuna circa
l’inerenza di tali spese all’attività svolta.
3.2. Il motivo è infondato.
3.2.1. Ed invero, la CTR – dopo avere, correttamente e
con motivazione congrua e condivisibile, escluso la detraibilità dell’ imposta, ha – dipoi – soggiunto, per
completezza, che – ad ogni buon conto – il contribuente
non aveva neppure dimostrato che le spese che l’Ufficio

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trazione di imposta, essendo state tali operazioni effet-

aveva considerato inerenti all’attività di soccida fossero effettivamente strumentali all’intera attività agricola da lui svolta, e non solo a quella relativa
all’allevamento del bestiame.
3.2.2. Ebbene, siffatta argomentazione del giudice di appello non è stata contrastata dal ricorrente, mediante
indicazione delle prove – in ipotesi – effettivamente ofcon il generico riferimento a deduzioni effettuate, sul
punto, nei gradi di merito. Per cui il motivo si palesa,
a giudizio della Corte, del tutto destituito di fondamento e va, pertanto, disatteso.
4. Per tutti i motivi suesposti, il ricorso del Bonino
deve essere rigettato, con conseguente condanna del medesima al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida in C
9.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 22.4.2013.

ferte in giudizio, e pretermesse dal giudicante, ma solo

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