Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27715 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. I, 03/12/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 03/12/2020), n.27715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29429/2018 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in Roma, in Largo Somalia n.

53, presso lo studio dell’avvocato Guglielmo Pinto, che lo

rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Maria Cristina

Tarchini, giusta procura allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

26/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 da Dott. VALITUTTI ANTONIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, S.D., cittadino del (OMISSIS), chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata al medesimo dalla competente Commissione territoriale. Con Decreto n. 3368 del 2018, depositato il 26 agosto 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.

2. Il giudice adito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento allo straniero dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando, ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non attendibili le dichiarazioni del richiedente circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, nonchè insussistente, nel Paese di origine, uno stato di pericolo diffuso, e rilevando che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso S.D. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo e secondo motivo di ricorso, S.D. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto – ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – non attendibile la narrazione dei fatti che lo avrebbe determinato a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere esposto a violenze da parte di gruppi di jihadisti – che si sarebbero addirittura spinti ad assaltare in forze la sua casa ed a picchiare lui ed i suoi familiari – per essersi il medesimo rifiutato di ritornare nella madrassa (scuola coranica) nella quale si insegnavano la Jihad (guerra santa) e l’uso delle armi.

1.2. I motivi sono inammissibili.

1.2.1. Ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass., 07/08/2019, n. 21142).

In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

1.2.2. Nel caso di specie, il giudice adito ha ampiamente ed adeguatamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili, e comunque non idonee a fondare la domanda di protezione internazionale, le dichiarazioni del richiedente, non essendo verosimile che il medesimo avesse frequentato la madrassa all’età di 22 anni, e non – come di norma – in età scolare, che il medesimo – sebbene fosse rimasto “scioccato” dalla visita fatta ad un campo di addestramento – avesse deciso, nondimeno, di iscriversi proprio a quella scuola, che gli fosse stato consentito di abbandonare liberamente il campo di addestramento jihadista, e che gli fossero stati concessi perfino dei giorni di vacanza. Del pari è parso, al giudice di merito poco credibile che il padre si fosse preoccupato di consigliare al figlio – al fine di evitare un possibile rapimento, finalizzato a ricondurlo alla madrassa – di non uscire di sera, quando il sequestro ben avrebbe potuto essere effettuato di giorno, non avendo la famiglia dell’istante l’abitudine di chiudere la porta di casa, ed essendo l’abitazione circondata solo da un muro di cinta agevolmente scavalcabile. Quanto al preteso assalto all’abitazione, il giudice di merito ha accertato numerose contraddizioni nelle diverse narrazioni dell’episodio (in sede amministrativa e giudiziaria), perfino in ordine al numero degli aggressori (dapprima tre, poi dieci/quindici), rilevando, altresì, l’inverosimiglianza del fatto che questi ultimi – sebbene l’istante fosse stato in condizioni di divulgare notizie riservate sul campo di addestramento – si sarebbero limitati a picchiare lui ed i familiari, senza ucciderli, e che sarebbero stati messi in fuga facilmente dai vicini sopraggiunti.

A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame si traducono, in concreto, in una richiesta – peraltro del tutto generica – di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Cass., 04/04/2017, n. 8758).

1.2.3. E neppure è stato ritenuto credibile il ricorrente laddove ha affermato di essersi rivolto alle autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. c), contrastando tale assunto con le risultanze degli accertamenti espletati dal Tribunale su fonti internazionali, dalle quali è, per contro, emerso che il governo pakistano – sebbene esiti nel chiudere le madrasse – ha, tuttavia, messo in campo forze di polizia, ranger e reparti antiterrorismo, per contrastare gli assalti degli jihadisti. Va, pertanto, esclusa in radice – attesa la non credibilità dello straniero – la concessione al medesimo dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

1.2.4. Quanto alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del Decreto succitato, va osservato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197). Pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

Nel caso concreto, i fatti allegati nel giudizio di merito non attengono a situazioni di violenze indiscriminate, derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, trattandosi di circostanze relative ad una vicenda personale del richiedente, in relazione alla quale il medesimo è stato, peraltro, ritenuto inattendibile. In ogni caso, il giudice adito ha accertato – sulla base di fonti internazionali aggiornate citate nel provvedimento, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – che le uniche forme di violenza sussistenti nel Paese di provenienza del ricorrente sono limitate agli scontri tra le milizie talebane e quelle governative. Per contro, da tali informazioni, non è emersa la sussistenza di “un conflitto armato generatore di una diffusa violenza indiscriminata” per un numero indeterminato di cittadini. A fronte di tali motivati accertamenti in fatto, il motivo di ricorso si sostanzia, per contro, in generiche deduzioni circa il regime giuridico della forma di protezione in esame, nonchè nell’allegazione di circostanze fattuali e di valutazioni di merito.

1.3. Per tutte le ragioni esposte, le censure, poichè inammissibili, non possono trovare accoglimento.

2. Con il terzo motivo di ricorso, S.D. denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale non abbia inteso concedere al medesimo neppure la protezione umanitaria temporalmente applicabile, nel testo precedente il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, alla fattispecie concreta (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461) – sebbene sussistessero, nella specie, evidenti ragioni di vulnerabilità del richiedente.

2.2. Il mezzo è inammissibile.

2.2.1. Il giudice territoriale ha, invero, motivato il diniego di tale forma di protezione in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale. Del resto l’accertata non attendibilità della narrazione dei fatti operata dal medesimo e la mancato allegazione di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., 13/11/2019, nn. 29459, 29460, 29461). Nè il ricorrente – al di là di un riferimento del tutto generico all’inserimento nel tessuto sociale italiano ed alla riproposizione di temi di indagine già sottoposti al giudice a quo – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di merito, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.

2.2.2. La censura deve essere, di conseguenza, dichiarata inammissibile.

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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