Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27714 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 29/10/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 29/10/2019), n.27714

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13103/2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’Avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA AMBROZ;

– ricorrente –

contro

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. DEPRETIS

86, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CAVASOLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIERANGELA BISCONTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1050/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/11/2016 r.g.n. 938/2015.

La Corte, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA

che:

il sig. G.R. aveva convenuto in giudizio POSTE ITALIANE S.p.A. davanti al giudice del lavoro di Modena per sentir dichiarare la nullità del suo trasferimento dall’ufficio postale di (OMISSIS), presso il quale era assegnato alla sede di (OMISSIS), trattandosi di provvedimento ontologicamente disciplinare, oltre che ritorsivo poichè non giustificato da ragioni tecniche riproduttive, con conseguente richiesta di risarcimento del danno per l’illegittimità del provvedimento. Il giudice adito rigettava la domanda con sentenza pubblicata il 13 aprile 2015, avverso la quale il soccombente interponeva gravame, in seguito accolto per quanto di ragione dalla Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1050 in data tre – 24 novembre 2016, riformando la gravata pronuncia con declaratoria d’illegittimità dell’impugnato trasferimento, condannando per l’effetto la società convenuta a riammettere in servizio l’appellante presso l’ufficio postale di (OMISSIS) con ogni conseguenza di legge, disattendendo tuttavia la pretesa risarcitoria azionata, poichè la relativa domanda non risultava espressamente contenuta nell’impugnazione ed era ad ogni modo sfornita di prova. Le spese di lite venivano compensate relativamente ad entrambi i gradi del giudizio;

la sentenza d’appello è stata impugnata mediante ricorso per cassazione da POSTE ITALIANE S.p.A. con atto notificato il 19/23 maggio 2017, affidato a tre motivi, cui ha resistito il G. con controricorso notificato il 3 luglio 2017 tramite posta elettronica certificata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli accordi sindacali in data 27 luglio e 8 ottobre 2010 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui per una evidente negligenza del datore di lavoro il G., pur all’epoca solo temporaneamente assegnato all’Ufficio postale di (OMISSIS), non era stato inserito nelle relative graduatorie a punteggio del 18 maggio 2011, sia di quelle relative al CDM di (OMISSIS), che di quelle del CPD di (OMISSIS), ciò che gli aveva certamente impedito di concorrere con altri colleghi di livello B, perdenti posto, nella fase ricollocativa della riorganizzazione dei servizi. L’affermazione risultava erronea a causa di interpretazione non corretta e coerente dei molteplici accorsi intervenuti. In proposito è stato evidenziato che il G. al pari di due altri colleghi adibiti a mansioni capoturno presso l’ex centro logistico recapito di (OMISSIS) rientrava nel personale eccedentario. Le graduatorie stilate nel maggio 2011 riportavano distinte per livello di inquadramento tutte le risorse perdenti posto che in quel momento risultavano essere ancora effettivamente applicate al settore eccedentario. Nelle graduatorie in questione tra i dipendenti di livello B non risultava il nominativo del G., il quale, pur essendo egli stesso in posizione eccedentaria, non era effettivamente applicato nel maggio 2011 all’ex Centro Logistico Recapito di (OMISSIS) poi confluito nel Centro di Distribuzione Postale di (OMISSIS), ma assegnato temporaneamente presso altra struttura operativa, ossia presso l’ufficio postale di (OMISSIS). La ricostruzione dei fatti operata dalla ricorrente consentiva quindi di evidenziare l’erroneità dell’assunto ritenuto dalla Corte territoriale, alla luce dei menzionati accordi sindacali, laddove il giudice del gravame aveva ritenuto che parte datoriale avrebbe dovuto ricercare concordemente in sede territoriale idonee soluzioni riallocative coerenti con la categoria professionale di appartenenza. Dagli accordi sindacali e dalle dichiarazioni rese dai testimoni escussi emergeva infatti che il Centro Logistico di Recapito di (OMISSIS) era stato soppresso, che il personale non ricollocabile presso il nuovo Centro Primario di Distribuzione di (OMISSIS) era stato posto da ultimo in mobilità, assicurando agli interessati l’assegnazione ad un ufficio o stabilimento più prossimo a quello di chiusura e in coerenza con il livello di inquadramento di profilo professionale acquisito nell’ambito sempre della macrodivisione servizi postali, che a seguito della soppressione del CLR di (OMISSIS) erano risultati posti in esubero con la qualifica B nel settore di competenza del G., che tutti gli altri lavoratori aventi la qualifica B in servizio presso l’ex CLR di (OMISSIS) erano stati trasferiti al CMP senza che fossero intervenuti accordi specifici ed individuali con i lavoratori in esubero, non previsti dalla procedura di mobilità volontaria di ricollocazione nell’ambito dei servizi postali per i perdenti posto, contrariamente a quanto in proposito ritenuto dalla Corte d’Appello. Pertanto, nel caso specifico il G. non era stato inserito nella graduatoria non perchè non fosse anch’egli in posizione soprannumeraria, o in quanto già considerato trasferito nella divisione mercato privati, ma solo perchè si trovava in assegnazione temporanea all’ufficio postale di (OMISSIS) in vista di un suo possibile consolidamento. Ad ogni modo, in base alle acquisite risultanze istruttorie il G., anche se inserito nelle graduatorie, non avrebbe potuto ottenere una collocazione nel settore servizi postali, cui apparteneva, nella provincia di (OMISSIS). Tutti i dipendenti di livello B, capoturno, provenienti dall’ex CRL in posizione eccedentaria erano perdenti posto e quindi destinati al trasferimento al CMP di (OMISSIS). Di conseguenza, venuta meno l’assegnazione temporanea all’ufficio di (OMISSIS), il dipendente trovandosi come tutti gli altri colleghi di livello B in posizione soprannumeraria non poteva che essere trasferito nella sede più prossima a quella dove aveva lavorato fino ad allora, ossia al Centro di (OMISSIS). Quindi, il trasferimento presso detto Centro sarebbe stato ugualmente disposto anche allorchè il dipendente fosse stato inserito in graduatoria a prescindere dal punteggio, mancando a (OMISSIS) posti disponibili. Dunque, il vizio sottoposto all’attenzione della Corte di legittimità sussisteva nel ragionamento del giudice di merito come si evinceva dalla sentenza impugnata in ragione di una fallace esegesi degli accordi sindacali. Non si trattava perciò di riesaminare il merito della causa, ma di controllare il profilo logico formale del ragionamento seguito dal giudice del gravame che lo aveva portato a ritenere e a fondare il proprio convincimento su fatti decisivi insussistenti. Occorreva pertanto controllare, sotto il profilo della correttezza e della coerenza logico-formale la motivazione fornita dalla Corte territoriale per la valutazione degli elementi scrutinati quali comportamenti delle parti e sulle argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui spettava in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito dell’insindacabile selezione e valutazione delle fonti del proprio convincimento, tenuto conto che il denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, emergeva dal ragionamento svolto dal giudice di merito laddove si rinveniva traccia evidente del lacunoso e/o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalla società ricorrente;

con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione al tipo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo sugli uffici presso cui ricollocare del G. della provincia di (OMISSIS) e sull’incapacità dello stesso a rivestire l’incarico di collaboratore presso l’ufficio di (OMISSIS), nonchè l’omessa disamina degli accordi sindacali e delle prove testimoniali. In proposito è stata contestata l’affermazione secondo cui il G. avrebbe potuto essere impiegato in mansioni diverse anche nell’ambito del settore mercato privati, non avendo in proposito la società convenuta fornito alcuna prova in ordine alla asserita incapacità del lavoratore a rivestire detto incarico presso l’ufficio postale di (OMISSIS). Per contro, la ricorrente ha sostenuto di aver fornito tutto un corredo probatorio in ordine alla incapacità del G. a rivestire il ruolo assegnatogli presso l’ufficio di (OMISSIS), laddove il predetto era stato assegnato a sua richiesta fino al 7 novembre 2011 in via temporanea, finalizzata alla messa in prova del lavoratore per verificare la capacità e le sue attitudini al nuovo ruolo, nella specie di collaboratore del direttore dell’ufficio. La società all’esito della prolungata assegnazione aveva ritenuto di interromperla e di assegnare il G. alla struttura dei servizi postali del CMP di (OMISSIS), ovvero alla struttura/divisione dove sarebbe andato ad espletare le mansioni svolte negli anni precedenti. Come riferito dal teste T., all’esito dei due colloqui avuti con il responsabile di risorse umane del centro-nord, erano stati evidenziati risultati negativi della sua attività lavorativa, sicchè egli sarebbe stato trasferito al Centro di (OMISSIS), perchè presso (OMISSIS) non vi era attività coerente con il suo inquadramento professionale. Quindi, il datore di lavoro nell’esercizio dei propri poteri organizzativi aveva disposto la revoca dell’assegnazione temporanea dall’ufficio di (OMISSIS) nel pieno rispetto degli accordi sindacali, che prevedevano una valutazione di compatibilità del profilo professionale del lavoratore con le nuove mansioni. Le prove testimoniali espletate, ma non esaminate dalla Corte territoriale, comprovavano che il G. non poteva essere impiegato in mansioni proprie nell’ambito della divisione mercato privati, sicchè non poteva essere applicato nè all’ufficio postale di (OMISSIS) nè a quello di (OMISSIS). Dunque, era stata dimostrata l’inidoneità del G. allo svolgimento delle nuove mansioni proprie di un impiegato di livello B addetto ad un ufficio postale, per cui la valutazione negativa aveva comportato necessariamente la riallocazione del predetto nell’ambito della divisione servizi postali. Era da presumersi che la Corte territoriale avesse confuso le diverse procedure di ricollocazione del personale in esubero, avendo ritenuto la necessità di programmi di ricollocazione individuale nell’ambito della procedura di mobilità collettiva dei servizi postali, mentre tale ricollocazione individuale era stata prevista e disciplinata nell’ambito della divisione mercato privati. La struttura argomentativa posta a sostegno della decisione impugnata appariva affetta da un vizio particolarmente grave da tradursi in una sostanziale omissione e non già in una diversa valutazione delle risultanze istruttorie. Se la Corte distrettuale avesse valutato tali circostanze, ossia l’anzidetta inidoneità, avrebbe dovuto ritenere legittimo il trasferimento disposto il 28 ottobre 2011 presso il CMP di (OMISSIS), suffragato da ragioni di carattere organizzativo, poichè il dipendente, valutato negativamente, non poteva rimanere nell’ufficio di (OMISSIS), nè essere assegnato ad altro ufficio di mercato privati, non avendo le capacità e il profilo professionale di idonei. Dunque, la Corte d’Appello aveva omesso di esaminare un fatto decisivo, cioè che l’applicazione al mercato privati del G. doveva essere subordinata ad una congrua positiva verifica del datore di lavoro nel caso di specie non avvenuta;

con il terzo motivo la società ricorrente ha dedotto la sussistenza di un vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su di un punto decisivo della controversia – omesso esame di un fatto decisivo, ossia l’effettiva capienza dell’ufficio CMP di (OMISSIS) rispetto ai lavoratori qualifica B trasferiti dal centro primario di distribuzione di (OMISSIS), contrariamente pertanto a quanto ritenuto dalla Corte territoriale sul punto, tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi T., C. e A., mentre l’informatrice Ca., cui avevano fatto riferimento i giudici d’appello, aveva altresì parlato di problemi organizzativi che le erano stati prospettati (dal diretto interessato, secondo la versione sostenuta da parte ricorrente). Il fatto in questione (carenza di personale di livello B presso il centro di meccanizzazione postale di (OMISSIS)) – ad avviso di Poste Italiane – per la sua diretta inerenza ad uno degli elementi costitutivi del provvedimento di trasferimento impugnato era dotato di sua intrinseca valenza tale da non poter essere tacitamente escluso dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta decisione della lite. Sussisteva, dunque, vizio di motivazione poichè nel caso di specie si era in presenza di un rapporto di causalità tra la circostanza trascurata (carenza di personale livello B dell’ufficio ricevente) e la soluzione giuridica della controversia (trasferimento ex art. 2103 c.c.), tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato la Corte territoriale ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori (dichiarazioni T., C. e Ca.) rispetto a quelli posti a sostegno della pronuncia impugnata costituiva un vizio di omesso esame di un punto decisivo, poichè l’omessa disamina delle anzidette dichiarazioni invalidava con certezza l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento della Corte bolognese era stato fondato;

tanto premesso, l’anzidetta impugnazione va disattesa, poichè con i tre motivi la ricorrente Poste Italiane intende, in effetti, sovvertire, inammissibilmente in questa sede di legittimità, il ragionamento decisorio posto a sostegno della sentenza di appello, che nel riformare l’impugnata pronuncia accoglieva il 30 motivo di gravame, giudicando illegittimo il contestato trasferimento da (OMISSIS) a (OMISSIS), poichè il lavoratore, sebbene meramente distaccato (non definitivamente trasferito da (OMISSIS), dove in effetti era un perdente posto di seguito a riorganizzazione aziendale), non era stato incluso nelle graduatorie di mobilità, non era stato comunque interpellato in ordine alle sue preferenze per il caso di trasferimento. La Corte di merito, inoltre, ha motivatamente ritenuto non provato che il lavoratore fosse inidoneo ai servizi del cosiddetto mercato privato, che vi erano altri posti disponibili al riguardo in provincia di (OMISSIS) e che invece a (OMISSIS), presso la struttura designata, non vi erano posti disponibili adeguati al profilo professionale del G. (“..per un’evidente negligenza del datore di lavoro il G., pur all’epoca solo temporaneamente assegnato all’U.P. di (OMISSIS), non è stato inserito nelle relative graduatorie a punteggio del 18 maggio 2011, sia di quelle relativa al CDM di (OMISSIS) che di quelle del CPD di (OMISSIS); ciò gli ha certamente impedito di concorrere con gli altri colleghi di uguale livello B, perdenti posto, nella fase ri-allocativa della riorganizzazione di servizi. La società appellata ha quindi violato le norme relative alla procedura di ricollocazione nell’ambito del trasferimento collettivo che prevedeva la necessità di previe indagini conoscitive con il personale livello B e C al fine di “verificare la loro volontà rispetto al collocamento” – teste D. – e comunque ricercare, concordemente, “in sede territoriale idonee soluzioni dialoghi e coerenti con la categoria professionale di appartenenza” (punto n. 4 accordo della 27/7/2010). Quindi, a differenza di altri colleghi di pari livello ( A., Co.), non ha avuto la possibilità di interloquire in ordine alla possibilità di ricollocazione in uffici prossimi alla sede originaria; mentre gli altri perdenti posto hanno potuto concordare un programma di ricollocazione, il G. è stato trasferito con atto autoritativo. Non può essere condivisa al riguardo l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui tale omissione, pur emergente dalla documentazione in atti, non avrebbe poi sostanzialmente avuto alcuna effettiva conseguenza sulla posizione del G., in considerazione del fatto che costui “non avrebbe potuto ottenere una collocazione nel settore dei servizi postali al quale egli apparteneva nella provincia di (OMISSIS)” per le seguenti ragioni:

1) dall’istruttoria è emerso e comunque non è stato contestato che gli altri due colleghi di pari livello 8, inclusi nei primi due posti di detta graduatoria, hanno al contrario potuto scegliere la sede di (OMISSIS), come quella di proprio gradimento (il signor A. ha dichiarato che gli era stato offerto il più vicino U.P. di (OMISSIS), mentre il sig. Co….);

2) è stato provato, anche documentalmente, che vi erano altri uffici postali presso cui ricollocare il G. nella stessa provincia di (OMISSIS) (ex quello di (OMISSIS)) ed è stato dedotto che, come livello B e con la qualifica professionale acquisita, il G. poteva essere impiegato in mansioni diverse, anche in Mercato Privati; a tale riguardo Poste non ha fornito alcuna prova in ordine ad una presunta incapacità del G. a rivestire detto incarico nell’U.P. di (OMISSIS). A seguito di vari corsi di formazione in cui aveva partecipato, si deve ritenere che il G. avesse acquisito un profilo professionale qualificato e specifico, che gli consentiva certamente di accedere al settore del Mercato Privati nelle sedi della provincia di (OMISSIS); aveva difatti ottenuto il riconoscimento della qualifica professionale di “collaboratore UP di Doppio Turno”, come risulta anche dalle buste paga in atti.

Le due contestazioni disciplinari relative agli episodi del 31 maggio 2011 e del 9 giugno 2011, contenute nella lettera dell’11 luglio 2011 (dopo circa 13 mesi dall’assegnazione alla sede di (OMISSIS)), riguardavano l’inserimento nel programma preposto di un’ora di straordinario in luogo di quella di permesso nonchè una discussione con una collega, che quindi nulla avevano a che fare con una valutazione attitudinale alle nuove mansioni.

B) Dalle prove raccolte, sia nella fase cautelare che in quella di merito, è emerso che presso il CMP di (OMISSIS) non vi fosse alcuna esigenza di ricevere unità di personale, tanto che il reparto presso il quale è stato inizialmente assegnato il G. era in soprannumero e non vi era alcuna esigenza di ricevere unità di personale con qualifica 8. Il teste signor A. riferito “il ricorrente per quello che so è stato assegnato a (OMISSIS) temporaneamente perchè lì come capoturno ci sono tre posti che sono già coperti e lui quindi non può fare capoturno…”. L’informatrice signora Ca., dipendente Poste come caporeparto del CRA di (OMISSIS), ha riferito di aver creato per il sig. G. un apposito ruolo di capoturno, smembrando il ruolo del capoturno del CFSM in due reparti, lavorazione meccaniche manuale ed assegnandone una al G.. Ha aggiunto che il signor G. è rimasto nel suo reparto per circa due settimane e che, dopo lo spostamento del predetto ad altro reparto, le due lavorazioni sono state nuovamente unificate in un unico ruolo di capoturno. Anche su questo punto non si condivide quanto sostenuto dal giudice di primo grado secondo il quale “una assegnazione solo temporanea per due settimane a tale ruolo non appare dirimente” e si deve al contrario ritenere che tale assegnazione, presso il reparto dove l’attività lavorativa del G. era evidentemente eccedente e non necessaria, anche se temporanea e limitata nel tempo, è comunque sufficiente prova della mancanza di effettive ragioni organizzative idonee a giustificare il suo trasferimento presso il CMP di (OMISSIS).

Si deve quindi sostenere che non sono state provate le ragioni tecniche, organizzative produttive, richieste dagli artt. 2013 rectius, 2103 c.c. per legittimare il trasferimento del G. al CMP di (OMISSIS)….”);

dunque, quanto al primo motivo, non risultano fornite idonee, specifiche pertinenti allegazioni, indispensabili a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., circa l’asserita erronea applicazione dei menzionati accordi sindacali, laddove per contro è stato accertato che illegittimamente il G. non fu inserito nelle graduatorie del 18 maggio 2011 a seguito della soppressione del CLR di (OMISSIS) (come dettagliatamente precisato alle pagine 16 e 17 della sentenza impugnata), ciò che gli impedì di partecipare alla procedura di ricollocazione del personale eccedentario, a differenza però degli altri perdenti posto di pari qualifica professionale. La Corte di merito ha, inoltre, analiticamente precisato le ragioni per cui non erano condivisibili le argomentazioni della sentenza appellata, secondo cui la riscontrata omissione, benchè emergente dalla documentazione in atti, sarebbe risultata comunque irrilevante ai fini del mantenimento del posto nell’ambito della provincia modenese;

ogni altra diversa opinione, riconducibile al giudice di primo grado ovvero alle tesi di parte ricorrente, è pertanto del tutto processualmente irrilevante, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., laddove è ammessa esclusivamente la c.d. critica vincolata nei limiti ivi rigorosamente fissati, cui perciò sfugge in sede di legittimità ogni possibile sindacato in ordine ai fatti accertati dal competente giudice di merito (in grado d’appello o in unico grado);

parimenti sono inammissibili le altre doglianze di cui al secondo e terzo motivo di ricorso, visto che i fatti ivi dedotti (possibilità/impossibilità di ricollocazione nella provincia di (OMISSIS), idoneità/inidoneità del dipendente ad operare anche nell’ambito del c.d. mercato privati, ed esigenze o meno di personale con qualifica B da parte CMP di (OMISSIS)) risultano comunque ampiamente esaminate dalla Corte di merito, che si è di conseguenza pronunciata al riguardo, sicchè non sussiste alcun vizio sussumibile nell’attuale vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 5 (nella specie ratione temporis qui applicabile in relazione alla l’impugnata sentenza, risalente al novembre dell’anno 2016), per cui rileva, come ormai noto (cfr. in part. Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014 nonchè conforme giurisprudenza di legittimità sul punto), la sola pretermissione di circostanze fattuali decisive, in senso oggettivo, indipendentemente però dalla valutazione del contenuto delle relative emergenze istruttorie, siccome riservate all’apprezzamento esclusivo del giudice di merito, apprezzamento d’altro canto sindacabile in sede di legittimità nelle sole ipotesi di motivazioni inferiori al c.d. minimo costituzionale per violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., però integrando error in procedendo come tale denunciabile univocamente in termini di nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. III civ. n. 13395 del 29/05/2018, secondo cui la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5.

Cass. III civ. n. 11892 del 10/06/2016: il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Conforme Cass. I civ. n. 23153 del 26/09/2018. V. ancora, parimenti, Cass. II civ. n. 27415 del 29/10/2018, secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Cfr. altresì in senso analogo Cass. s. u. n. 8053 del 07/04/2014, sopracitata, secondo cui pure, comunque, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Cfr., inoltre, similmente, Cass. VI civ. – 3 n. 21257 in data 8/10/2014: dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico,…, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

V. quindi Cass. VI civ. – 3 n. 22598 del 25/09/2018, secondo cui in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione – per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile – e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Conforme Cass. III n. 23940 del 12/10/2017);

i rilevi e le critiche mosse da parte ricorrente, per quanto concerne la contestata ricostruzione fattuale della vicenda di cui è processo, ad opera della Corte di merito, come peraltro già sopra accennato, sono inammissibili anche alla luce del previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in base alla consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi sull’argomento (v. infatti Cass. V civ. n. 19547 del 4/8/2017, secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato – o insufficiente – esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. In senso conforme Cass. n. 17477 del 2007. Cfr. parimenti Cass. sez. 6 – 5, n. 29404 del 07/12/2017: con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità.

Cass. I civ. n. 16056 del 02/08/2016: l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, ne(porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Conformi n. 17097 del 2010 nonchè Cass. I civ. n. 19011 del 31/07/2017.

Cass. sez. 6 – 5, n. 9097 del 7/4/2017: con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Conforme Cass. n. 7921 del 2011);

pertanto, il ricorso va respinto con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese;

atteso l’esito negativo dell’impugnazione, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore di parte controricorrente nella misura di complessivi Euro 5000,00 (cinquemila/00), per compensi ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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