Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27711 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. II, 29/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 29/10/2019), n.27711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17215-2015 proposto da:

G.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUIGI MANNUCCI,

presso il cui studio in Roma, Largo Trionfale 7, elettivamente

domicilia, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato FABIO

BLASI, presso il cui studio in Roma, via degli Scipioni 153,

elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5125/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’1/8/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/9/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Roma, con sentenza depositata il 24/10/2004, in accoglimento della domanda proposta da G.G. nei confronti di G.C. ed F.A., ha dichiarato che l’attore era proprietario, per una quota pari al 50%, dell’appartamento sito in Roma, via Otranto 36, sc. A, int. 8, disponendo lo scioglimento della comunione sul predetto immobile e rigettando tutte le altre domande formulate dalle parti.

G.C. ed F.A. hanno proposto appello chiedendo, tra l’altro, di rigettare le domande proposte dalla parte attrice, ed, in subordine, di accertare e dichiarare l’intervenuta usucapione ed il conseguente acquisto a titolo originario della proprietà, per la quota pari ad un mezzo dell’intero, in favore di G.A. e, quindi, dei suoi eredi legittimi G.C. ed F.A., nonchè, in via ulteriormente subordinata, di disporre la convocazione del consulente tecnico d’ufficio al fine del conferimento dell’incarico di integrare la sua relazione in merito all’incremento di valore conseguito dall’immobile oggetto di causa in conseguenza degli interventi di manutenzione e ristrutturazione posti in essere dagli appellanti, ed in ogni caso, di concedere la dilazione nello scioglimento della comunione ai sensi dell’art. 1111 c.c., condannando l’attore, per la quota di comproprietà riconosciuta di sua spettanza, alla restituzione, in favore dei convenuti, di tutte le spese e di tutti i pagamenti sostenuti e comunque afferenti l’immobile in oggetto e alla refusione della somma equivalente al maggior valore riconosciuto all’immobile in conseguenza delle migliorie apportate allo stesso.

Il giudizio, interrotto a seguito del decesso di F.A., è stato riassunto da G.C. quale suo unico erede.

La corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello e, per l’effetto, ha confermato la sentenza impugnata.

G.C., con ricorso notificato il 25.28/9/2015, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso notificato il 4.5/11/2015, G.G..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 100,112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato il primo motivo d’appello, con il quale gli appellanti avevano lamentato il mancato assolvimento, da parte dell’attore, dell’onere della prova in merito alla sua qualità di erede di G.G. e, soprattutto, di A.M., e cioè di un presupposto della domanda dallo stesso spiegata, tanto più se si considera che l’attore, figlio naturale di Ga.Gi. e di C.C., non era legato da alcun vincolo di parentela con la A. ed avrebbe, quindi, potuto assumere la qualità di erede della stessa solo in conseguenza di una disposizione testamentaria, della quale, però, manca qualsiasi prova.

1.2. La corte d’appello, invece, ha proseguito il ricorrente, ha ritenuto che l’eccezione formulata dagli appellanti non riguardasse la legitimatio ad causam, il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ma la concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, e che, attenendo al merito, tale eccezione non fosse rilevabile d’ufficio ma affidata alla disponibilità delle parti e dovesse essere, pertanto, tempestivamente formulata.

1.3. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello non ha considerato, per un verso, che la mancanza di un rapporto di parentela tra la A. e G.G. avrebbe dovuto condurla ad affermare difetto di legittimazione attiva dello stesso e, per altro verso, che, pur a voler ritenere che la doglianza dell’appellante dovesse essere qualificata in termini di eccezione afferente la titolarità del rapporto controverso, la stessa, investendo un fatto costitutivo della domanda, la cui prova spetta all’attore, non costituiva un’eccezione in senso stretta ma una mera difesa, la cui rilevabilità non è soggetta a preclusioni temporali.

1.4. La sentenza impugnata, quindi, ha concluso il ricorrente, deve essere cassata con la declaratoria del difetto di legittimazione e/o di titolarità della posizione giuridica controversa in capo all’attore in ragione del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell’onere della prova, non potendosi considerare tardiva la relativa eccezione.

2.1. Il motivo è fondato, con assorbimento degli altri.

2.2. La corte d’appello, in effetti, ha rilevato che, nell’assunto dell’attore, l’appartamento in questione, nella cui titolarità i convenuti sono subentrati per successione al loro dante causa Ga.Gi., era stato acquistato con denaro fornito in pari misura anche dal fratello di quest’ultimo, G.A., padre di G.G.: i due fratelli hanno congiuntamente provveduto all’amministrazione del bene, dividendo gli introiti rappresentati dai canoni di locazione; anche dopo la morte di G.A., i suoi eredi sono subentrati nella quota spettante allo stesso, percependo da G.C. e F.A., trasferitisi nel frattempo nell’immobile, un importo mensile pari al 50% dell’affitto.

2.3. La corte, quindi, dopo aver evidenziato che il tribunale aveva condiviso tale assunto, ha rilevato come gli appellanti avessero censurato la relativa sentenza lamentando, per un verso, l’omessa dimostrazione, da parte dell’attore, della sua qualità di erede di Ga.Gi. e di A.M., moglie del primo e deceduta prima dell’inizio del procedimento, anche in considerazione del fatto che l’attore era nato da una relazione con C.C. e non poteva, quindi, vantare un. titolo successorio.quale erede legittimo di A.M., e, per altro verso, che tale eccezione, avendo ad oggetto il difetto della legittimazione attiva dell’attore, era rilevabile anche d’ufficio in ogni grado e stato del procedimento.

2.4. La corte d’appello, tuttavia, ha ritenuto che il motivo fosse infondato sul rilievo che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con il conseguente dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del procedimento, e che da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito alcun esame d’ufficio, poichè la contestazione della titolarità del rapporto controverso si configura come una questione che attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Ne consegue, ha aggiunto la corte, che, a differenza della legitimatio ad causam, il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni grado e stato del giudizio, “l’eccezione relative alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, deve essere tempestivamente formulata”, per cui, nel caso di specie, “esattamente il Tribunale ha escluso che potesse rilevare come questione di legittimazione ad causam la contestazione in ordine alla – qualità di erede -dell’attore, mai effettuata in precedenza dai convenuti nel corso del giudizio”.

2.5. Ritiene, tuttavia, la Corte di dover dare continuità al principio, più volte ribadito in sede di legittimità, secondo il quale le contestazioni da parte del convenuto in ordine all’effettiva titolarità del rapporto controverso dedotto dall’attore (afferenti, nel caso di specie, la effettiva titolarità, in capo a G.G., dell’intera quota, pari alla metà della piena proprietà dell’immobile, già spettante a suo padre G.A., a fronte, evidentemente, del fatto che eredi di quest’ultimo sarebbero stati, oltre allo stesso attore, anche la moglie, A.M., priva, però, di vincoli parentali rispetto all’attore, non essendone la madre) hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio (Cass. SU n. 2951 del 2016; Cass. n. 3237 del 2017; Cass. n. 20721 del 2018).

2.6. La corte d’appello non ha fatto buon governo di tale principio la sentenza impugnata dev’essere, per l’effetto, cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte, anche ai fini della liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte così provvede: accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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