Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27711 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27711 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 24229-2009 proposto da:
SOCIETA’ I.S.E.A. BAGGIO SRL, già I.S.E.A. BAGGIO SPA
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI MONTI
PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI
GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente
2013

all’avvocato TOSI LORIS giusta delega a margine;
– ricorrente –

2105

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 11/12/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controri corrente nonchè contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE
ENTRATE UFFICIO DI THIENE;

avverso la sentenza n. 22/2008 della COMM.TRIB.REG. di
VENEZIA, depositata il 01/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il ricorrente l’Avvocato MARINI RENATO
delega Avvocato MARINI GIUSEPPE che ha chiesto
l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto dei motivi 1,2,3,4,5, e inammissibilità motivi
da 7 a 10, assorbito il 6 ° motivo del ricorso.

– intimati –

RITENUTO IN FATTO
1. Con rogito del 27 maggio 1999 FRANCA DE MURI – titolare di ditta
individuale e inoltre socia della S.p.A. ISEA BAGGIO assieme al marito
VITTORIO BAGGIO e ai cognati Maria e Carlo BAGGIO e Maria
SCHIESARO in BAGGIO – vendeva a detta società un opificio al prezzo di
2,5 miliardi di lire, oltre a 500 milioni di lire per IVA che, però, non
versava all’erario. Riguardo a tale corrispettivo, fatturato in data 31

ricevuto l’intero importo e “rilascia[va] ampia quietanza di saldo”.
Invece, dall’esame della contabilità aziendale risultava l’emissione di
assegni circolari per 136 milioni di lire (gennaio/marzo 1999),
l’emissione di assegni bancari intestati alla venditrice DE MURI FRANCA
per 235 milioni di lire (marzo/luglio 1999) e di due bonifici di “acconto” e
di “saldo” a favore del marito della cedente per £ 1.250.000.000 e £
1.379.000.000 (entrambi datati 6 luglio 1999).
L’Agenzia delle entrate – a seguito di processo verbale di accesso del
3/11/2005 e di processi verbali giornalieri di verifica del 4 e del
10/11/2005 – emetteva l’avviso di accertamento n. R87030300216 del
2005 recuperando interamente, nei confronti della società cessionaria,
VIVA detratta per l’acquisto e applicava sanzioni e accessori di legge,
assumendo che si fosse trattato di operazione simulata al solo fine di
creare un illecito credito IVA.

2.

L’atto impositivo, impugnato dalla S.p.A. ISEA BAGGIO, era

confermato in primo grado e parzialmente annullato in appello.
La CTR-Veneto, con sentenza del 1° settembre 2008, motivava la sua
decisione ritenendo:
a) che l’Agenzia delle entrate, avendo notificato alla contribuente i due
processi verbali del 4 e del 10/11/2005 menzionati nell’avviso di
accertamento, aveva rispettato l’art.24 della legge 4/1929, secondo cui
le violazioni finanziarie sono constatate mediante processo verbale, e
l’art.52, comma 6, del d.P.R. 633/1972, secondo cui per ogni accesso
deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le
rilevazioni eseguite;
b) che l’avviso di accertamento, pur notificato prima del decorso prima
del decorso del termine dilatorio di

cui all’art.12

dello Statuto del

contribuente, non era nullo atteso che detto termine non era perentorio
e la società aveva potuto spiegare, sia pure senza esito, la procedura
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1

dicembre 1998 (fatt. n.1/98), la cedente dichiarava in atto d’averne già

dell’accertamento per adesione, mentre il fisco era legittimato a
derogare al ridetto termine per la particolare urgenza del caso in
presenza di azione accertatrice in scadenza;
c) che l’importo di £ 2.629.000.000, apparentemente bonificato nel
luglio 1999 dalla società al marito della venditrice, era d’incerta
imputazione all’affare controverso, mancando sia qualsiasi collegamento
con l’unica fattura emessa nel 1998 dalla venditrice e per l’intero

rilasciata a favore del BAGGIO VITTORIO, sia una coerente spiegazione
della quietanza definitiva contenuta nel rogito stipulato nel maggio
1999;
d) che l’operazione, così come configurata all’interno di una compagine a
ristretta base familiare e senza probante evidenziazione di un regolare e
completo pagamento del prezzo, risultava essere un abuso del diritto
comunitario in materia di IVA, finalizzato, all’ottenimento, sia pure in
parte, di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario,
atteso che (1) la cedente non aveva versato VIVA all’erario, (2) la
cessionaria (compagine ristretta base familiare comprendente la stessa
cedente) aveva proceduto a recuperare a credito VIVA sull’acquisto, (3)
gran parte del prezzo di tre miliardi lire (comprensivi di IVA) risultava
apparentemente e ingiustificatamente versato sul c/c intestato a
BAGGIO VITTORIO, marito della venditrice e consocio della società
compratrice.
Perciò, non essendo dimostrata l’effettività e la correttezza dell’intera
operazione, VIVA esposta nella fattura per 500 milioni di lire non poteva
essere considerata interamente detraibile, dovendosi estrapolare la
quota di 438 milioni di lire afferente alla parte di prezzo apparentemente
bonificata al marito; in tal senso il giudice d’appello accoglieva solo
parzialmente il gravame.

3. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dodici motivi, la
contribuente; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso mentre il
Ministero dell’economia e delle finanze, pure intimato, non svolge
attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4.

In rito, preliminarmente,

si

rileva la carenza di legittimazione

processuale dell’altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte,

il

Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel
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importo, sia ogni autorizzazione alla riscossione o cessione del credito

giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario
dopo la creazione delle agenzie fiscali.
La chiamata ministeriale in cassazione è, dunque, inammissibile e il
ricorso della contribuente va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia
delle entrate, che è la sola a essere legittimamente intimata.

5. Nel merito, con i primi due correlati motivi, la ricorrente denuncia

trascurato che, in base alla norma invocata, “Le violazioni delle norme
contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo
verbale”, mentre i verbali richiamati nell’avviso di accertamento e
considerati dal giudice d’appello non sarebbero dei veri proprio p.v.c.
mancando la contestazione di violazioni (1°), sia violazione dell’art.12
dello Statuto del contribuente, per preteso difetto di contraddittorio
preventivo col contribuente stante l’emissione dell’atto impositivo da
parte del Fisco pur mancando il presupposto processo verbale di
constatazione – v. pag.8 (2°).
La prima doglianza non è fondata, essendo rilevante il contenuto del
predetto verbale, poiché se anche esso, come nella specie, non
contenga contestazioni, può comunque dare luogo alla emissione di
avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione
dell’amministrazione finanziaria (Cass. 6068/11, in motivazione).
Del resto il processo verbale previsto dall’art. 24 cit. può avere una
molteplicità e complessità di contenuti e la legge non discrimina tra
diversi mezzi di rappresentazione e differenti realtà rappresentate, così
come tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione.
Sicché, quale documento extraprocessuale, esso può sia un contenuto
ricognitivo, sia un contenuto valutativo (Cass. pen. 1969/97),
liberamente valutabile dall’amministrazione finanziaria prima e
dell’autorità giudiziaria poi.
La seconda doglianza non riguarda l’inosservanza del termine dilatorio
sessanta giorni per l’emissione dell’atto impositivo, ma rileva il solo
pregiudizio alla possibilità per la contribuente di difendersi in fase
precontenziosa, del tutto omologo a quello esaminato e disatteso in
relazione al primo motivo, sicché anche il correlato secondo mezzo va
rigettato.

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sia violazione dell’art. 24 della legge n.4 del 1929, per avere la CTR

6. Con il terzo motivo la ricorrente infondatamente denuncia vizio
d’insufficiente motivazione. Secondo la contribuente la CTR non spiega
perché il versamento del saldo della fattura d’acquisto con bonifici
d’accredito su c/c del marito della venditrice non possa essere
ricollegato all’acquisto controverso.
Invero, la CTR individua con precisione le anomalie della vicenda: cioè
l’ampia quietanza a saldo contenuta nell’atto d’acquisto a fronte di

marito della venditrice, socio della acquirente e senza che risultino (a)
autorizzazioni o cessioni, (b) il recapito finale delle somme e (c) i
versamenti dell’IVA all’Erario. Dunque, il motivo si traduce in mero
dissenso senza l’allegazione i fatti decisivi e contrari.

7.

Con

il quarto motivo

la ricorrente infondatamente denuncia

violazione dell’art.7 dello Statuto del contribuente per avere la CTR
rigettato l’appello e confermato l’atto impositivo sulla scorta di
argomentazioni sull’abuso del diritto estranee “quelle sulla simulazione
negoziale poste dal Fisco a base dell’atto impositivo.
Il rango comunitario e costituzionale del principio di divieto di abuso del
diritto comporta la sua applicazione d’ufficio da parte del giudice
tributario, a prescindere, dunque, da qualsiasi allegazione, al riguardo,
ad opera delle parti in causa.
Sicché, è di tutta evidenza come sia del tutto impossibile configurare, al
riguardo, il vizio di etero integrazione ovvero di extrapetizione, ai sensi
dell’art. 112 c.p.c. (Cass. 7393/12). Peraltro dalla penultima pagina
della sentenza risulta che, a parte l’abuso del diritto, la principale ratio
decidendi sia legata al fatto che “non appare completamente dimostrata
da parte della società l’effettività e la correttezza dell’intera operazione
attraverso i pagamenti effettuati”.

8.

Con

il quinto motivo la ricorrente denuncia vizio di omessa

motivazione per avere la CTR non motivatamente parlato di operazione
posta in essere con abuso del diritto senza avvedersi che la simulazione
negoziale addotta dal Fisco e l’abuso del diritto sarebbero fattispecie del
tutto diverse, comportando l’una un negozio fittizio, l’altro un negozio
reale ma elusivo.

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4

rilevantissimi versamenti invece postumi e apparentemente fatti al

Il mezzo è inammissibile perché sottopone alla Corte una “quaestio
iuris”, quale errore ricostruttivo della fattispecie legale, più che una
“quaestio facti”.
Esso, è comunque infondato poiché il giudice tributario, che si trovi di
fronte a un accordo che [al di là di quanto stabilito dalle parti private]
sembri simulato, può confermare il recupero opponendo al contribuente
l’elusione fiscale. Infatti il giudice tributario ha il potere di riqualificare i
negozi giuridici a fini tributari, interpretando e qualificando, anche

quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla
ricognizione positiva del loro significato, e quindi accertare la
simulazione – totale o parziale – che pregiudichi l’interesse erariale,
essendo a tale fine sufficiente il principio costituzionale e comunitario del
divieto di abuso del diritto. (Cass. 4535/13).

9.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia vizio d’insufficiente

motivazione per non avere la CTR dato conto sia delle circostanze e delle
ragioni economiche che avrebbero giustificato l’acquisto, sia della non
riconducibilità ad un’unica entità omogenea, la famiglia Baggio, dei tre
nuclei familiari coinvolti.
Il mezzo è inammissibile perché il quesito di fatto o momento di sintesi
non consente d’individuare quali siano i fatti decisivi trascurati dalla
CTR.

10. Con il settimo, l’ottavo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo la
ricorrente denuncia vizi di omessa motivazione per avere la CTR omesso
di pronunciare sia sul motivo d’appello relativo all’inesistenza di norme
che consentano al Fisco di disconoscere gli effetti delle operazioni in
punto di debenza dell’IVA, da parte del cedente, e di diritto alla
detrazione, da parte del cessionario (7°), sia sul motivo d’appello
relativo alla pretesa irragionevolezza della tesi dell’amministrazione per
disconoscere il diritto della contribuente alla detrazione dell’IVA (8°), sia
sul motivo d’appello relativo all’assenza di norme che neghino la
detrazione dell’IVA da parte del cessionarie ove di mancato il
versamento dell’IVA da parte delle cedente (11°), sia sul motivo
d’appello relativo alla tesi del Fisco che, collegando la detrazione dell’IVA
al versamento della stessa da parte del cedente, pone a carico del

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5

diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti,

cessionario l’onere di verificare l’altrui adempimento delle obbligazioni
tributarie (12°).
I quattro mezzi motivi sono correlati tra loro e manifestamente
inammissibili. Essi, infatti, perché confondono il difetto motivazione in
punto di fatto – v. pag. 98, 105, 111 e 116 – con quello di omessa
pronuncia in punto diritto – v. pag.103, 107, 115 e 118 – e sono,
comunque, infondati alla luce dell’intero impianto motivazionale basato

solo, l’omesso versamento dell’IVA da parte della cedente.

11.

Con

il nono motivo

la ricorrente denuncia vizio di omessa

motivazione per avere la CTR mancato di pronunciare sul motivo
d’appello relativo alla violazione il principio costituzionale della capacità
contributiva per il disconoscimento dell’IVA detratta dalla contribuente.
Il motivo è inammissibile perché confonde sempre il difetto motivazione
con quello di omessa pronuncia in punto diritto ed è, comunque,
infondato alla luce dell’intero impianto motivazionale fondato sia sul
divieto, di matrice costituzionale e comunitaria, dell’abuso del diritto, sia
– e soprattutto – sulla considerazione che “non appare completamente
dimostrata da parte della società l’effettività e la correttezza dell’intera
operazione attraverso i pagamenti effettuati”.

12. Con il decimo motivo la ricorrente denuncia vizio di omessa
motivazione per avere la CTR mancato di pronunciare sul motivo
d’appello relativo alla violazione del principio di neutralità dell’IVA.
Il motivo è inammissibile perché confonde, ancora una volta, il difetto
motivazione – v. pag. 108 – con quello di omessa pronuncia in punto
diritto – v. pag.110 – ed è, comunque, infondato alla luce dell’intero
impianto motivazionale basato sul principio, di matrice interna e
comunitaria, per il quale non basta la correttezza formale della
contabilità ai fini della neutralità dell’imposta (Cass. 21953/07 e
9476/10; CG sent. Halifax).

13. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza
della contribuente nei confronto dell’Agenzia controricorrente e sono
liquidate in dispositivo. Nessuna pronunzia va

adottata, invece,

riguardo al Ministero, che, erroneamente intimato, non svolge
attività difensiva.

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su un coacervo di anomali dati indizianti tra quali v’è anche, ma non

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero
intimato e lo rigetta nei confronti nei confronti dell’Agenzia
controricorrente; condanna la contribuente alle spese del presente
giudizio di legittimità liquidate, a favore dell’Agenzia delle entrate, in C

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2013.

12.500 oltre alle spese prenotate a debito.

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