Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27707 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. I, 03/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17466/2019 proposto da:

J.L., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Stefania Santilli, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1059/2019 della CORTE di APPELLO di MILANO,

depositata il 11/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/10/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

J.L., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, aveva impugnato dinanzi il Tribunale di Milano, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; la Corte territoriale, sulla premessa che l’impugnazione era stata coltivata solo in relazione alla domanda di protezione umanitaria, la ha disattesa per mancanza dei presupposti, osservando che il ricorrente non aveva documentato profili di vulnerabilità, nè percorsi di integrazione proficuamente intrapresi in Italia, posto che dall'(OMISSIS) risultava che si era volontariamente allontanato dall’Italia per trasferirsi in Francia.

Il richiedente propone ricorso per cassazione, articolato in quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno che è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 24 e degli artt. 183,184 e 306 c.p.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia accettato la rinuncia all’azione di riconoscimento della protezione internazionale proposta dal difensore privo di procura speciale ad hoc, violando le disposizioni dell’art. 306 c.p.c..

Il motivo è inammissibile.

Innanzi tutto va osservato che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di appello non ha affatto ravvisato una rinuncia agli atti del giudizio, ex art. 306 c.p.c., ma solo l’abbandono, in sede di precisazione delle conclusioni, delle domande diverse da quella concernente la protezione umanitaria, di guisa che la censura non coglie la ratio decidendi, atteso che non è stata fatta alcuna applicazione della norma invocata.

La decisione, peraltro, risulta conforme alla giurisprudenza cui si intende dare continuità, secondo la quale affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (Cass. 10 luglio 2014, n. 15860: in senso conforme: Cass. 10 settembre 2015, n. 17875; si vedano pure: Cass. 14 luglio 2017, n. 17582; Cass., n. 31571 del 3/12/2019; Cass. Sez. U. 24 gennaio 2018, r. 1785 – non resa, però, su questione rimessa ex art. 374 c.p.c., comma 2).

La Corte di appello, invero, ha motivato il proprio convincimento ponendo la mancata riproposizione delle altre domande diverse da quella per il riconoscimento della protezione umanitaria in stretto rapporto con la condotta del ricorrente che, concluso il periodo di accoglienza presso il Centro (OMISSIS), si era trasferito in Francia e non aveva fatto ritorno in Italia e ciò integra pur sempre una presunzione di abbandono della relativa pretesa, nella specie non contrastata da elementi rivelatori di una diversa volontà, ma anzi suffragata dal contenuto delle rassegnate conclusioni, e la censura non illustra alcun elemento da cui la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere – a contrario – la volontà univoca del ricorrente di insistere su tutte le domande.

2.1. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dei parametri normativi relativi alle domande di protezione, come disciplinati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e lamenta che la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non abbia compiuto l’esame della situazione oggettiva del Paese di origine, nè indicato le fonti in ragione delle quali il rimpatrio poteva apparire eseguibile nel rispetto dei diritti umani.

2.2. Con il terzo motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, lamentando che la Corte di appello non aveva riconosciuto la protezione umanitaria, ritenendo erroneamente che fosse sufficiente accertare che il richiedente asilo non proveniva da una zona di conflitto armato o connotato da violenza generalizzata.

2.3. Con il quarto motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonchè dell’art. 10 Cost., comma 3 e la motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria in merito alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti richiesti.

2.4. I motivi, secondo, terzo e quarto, afferendo tutti alla domanda di protezione umanitaria, possono essere trattati congiuntamente e vanno dichiarati inammissibili.

2.5. Come già affermato da questa Corte, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. Sez. U. n. 29459 del 13/11/2019; Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Ne consegue che, in assenza di prova di integrazione in Italia, come accertato dalla Corte territoriale senza che tale specifica statuizione sia stata impugnata, non è possibile procedere al riconoscimento della protezione umanitaria e le plurime censure volte a sollecitare sotto più profili una rivisitazione dell’accertamento circa il profilo della vulnerabilità non colgono nel segno e risultano prive di decisività.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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