Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27703 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. I, 30/10/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 30/10/2018), n.27703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. PAZZI ALBERTO – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5859/2018 proposto da:

D. MD, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Luigi Migliaccio giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1587/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE

pubblicata il 11/7/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/7/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza del 15 giugno 2016 il Tribunale di Firenze respingeva l’impugnazione proposta da D. MD avverso il provvedimento con cui la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva rigettato la sua richiesta di protezione dopo aver rilevato, sotto il profilo oggettivo, che la situazione del Bangladesh non consentiva di ravvisare un contesto di violenza indiscriminata e di conflitto armato interno e, sotto il profilo soggettivo, che l’audizione del richiedente asilo in sede giudiziale non aveva sciolto i dubbi sulla sua credibilità, dato che il racconto offerto non era circostanziato e risultava disarmonico a causa delle diverse versioni offerte.

2. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata in data 11 luglio 2017, non accoglieva il gravame proposto da D. MD ritenendo che il mancato contrasto della valutazione di inattendibilità compiuta dal primo giudice fosse sufficiente a rigettare l’appello in punto di riconoscimento dello status di rifugiato; la corte distrettuale reputava inoltre che non potesse ravvisarsi la sussistenza in Bangladesh di un conflitto armato interno tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e non individuava alcun motivo che consentisse il riconoscimento della protezione umanitaria, per la cui concessione non era sufficiente la sola, sia pur drammatica, situazione economica del paese d’origine.

3. Ricorre per cassazione avverso questa pronuncia D. MD al fine di far valere quattro motivi di impugnazione.

L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale: la corte territoriale, pur essendo tenuta a compiere la valutazione di credibilità del richiedente la protezione non sulla base di opinioni soggettive ma all’esito di una procedimentalizzazione legale della decisione, non avrebbe considerato le contestazioni sollevate in merito al giudizio di inattendibilità formulato dal Tribunale, non avrebbe attivato i propri poteri istruttori nè avrebbe proceduto ad alcun accertamento in correlazione con i motivi di pericolo dedotti in sede sia amministrativa che giurisdizionale.

4.2 Il motivo è inammissibile.

La doglianza in esame trascura di confrontarsi con il contenuto della sentenza impugnata.

La corte territoriale infatti, dopo aver preso atto delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo avanti al Tribunale, ha constatato come l’appellante non avesse specificamente contestato l’erroneità della valutazione del primo giudice, laddove questi aveva desunto l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da D. MD dal loro contenuto completamente differente nelle diverse sedi di audizione dato che avanti alla commissione territoriale il richiedente asilo aveva riferito di minacce e percosse ricevute dai fratelli per il suo abituale consumo di alcool e stupefacenti, mentre in sede giudiziale aveva raccontato della violenza sessuale subita dalla sorella e delle ritorsioni sopportate per il fatto di aver affrontato gli autori di tale atto -, e ne ha tratto la convinzione che una simile inattendibilità per contrasto delle versioni successivamente offerte avesse rilievo decisivo ai fini dell’applicazione del principio di attenuazione dell’onere probatorio.

In altri termini la corte territoriale ha constatato come il primo giudice avesse già attivato i propri poteri istruttori, procedendo a un ascolto diretto del richiedente asilo nonchè vagliando ed esaminando specificamente la documentazione prodotta al fine di sciogliere i dubbi sulla credibilità già evidenziati dalla Commissione circa i motivi personali a base dell’allontamento dal paese di origine, ha preso atto della mancanza di spiegazione alcuna in merito alla parzialità del primo racconto e ne ha tratto la conferma della valutazione di inattendibilità dell’odierno ricorrente già espressa dal Tribunale, secondo una valutazione che non è rivedibile nel merito in questa sede.

A fronte di queste valutazioni il motivo non censura con la necessaria specificità la ratio decidendi della sentenza della corte territoriale, secondo cui l’appellante non aveva contrastato, neppure in conclusionale, la valutazione di inattendibilità del suo racconto compiuta dal primo giudice.

Del pari la corte distrettuale, nel valutare la fondatezza del riconoscimento delle forme residuali di protezione, non si è limitata a prendere atto delle allegazioni dell’appellante, ma ha esercitato il ruolo attivo e integrativo che le è proprio nell’istruzione della domanda, corroborando le notizie offerte dalla fonte citata dallo stesso appellante con le informazioni provenienti da altra fonte (il rapporto sul Bangladesh di Amnesty International) al fine di constatare la concordanza delle informazioni disponibili in merito alla mancanza delle condizioni necessarie per ravvisare un conflitto armato interno nel senso voluto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e l’assenza di motivi sufficienti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura proposta dunque non solo non contesta specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata in punto di inattendibilità del richiedente asilo, ma risulta anche priva di specifica attinenza al decisum rispetto alla denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

Ora l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 14/3/2017 n. 6496, Cass. 31/8/2015 n. 17330).

5.1 Il secondo mezzo lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti: la corte territoriale avrebbe omesso di considerare il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti per le violenze e le minacce ricevute a seguito della reazione opposta alla violenza sessuale di gruppo patita dalla sorella minore e a causa della condizione di debitore in Bangladesh, ove è ammessa la sottoposizione per debiti, così come avrebbe tralasciato di considerare la situazione di violenza diffusa nel paese, ove era in corso un processo di radicalizzazione islamista, situazione che veniva in rilievo al fine di ravvisare la condizione prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

5.2 Con il terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale: la corte distrettuale non avrebbe considerato che nel caso di D. Md erano emerse esigenze umanitarie (quali le violenze subite, l’assenza di una rete di supporto e sostegno in patria, l’avvio di un percorso di integrazione in Italia e il persistere di una grave crisi umanitaria in Bangladesh) idonee a far ritenere che l’istante, in caso di eventuale rimpatrio, verserebbe in una condizione di particolare vulnerabilità, con pregiudizio all’esercizio di diritti fondamentali.

5.3 Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente per l’identità del vizio denunciato rispetto a circostanze di fatto sostanzialmente coincidenti, sono inammissibili.

Il ricorso difatti anche sotto questo profilo tralascia di confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato e non considera che tutti i fatti storico-naturalistici di cui si lamenta l’omessa valutazione – ad eccezione del percorso di integrazione in Italia, tema rispetto al quale però manca l’indicazione di “come” e “quando” sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti – sono stati in realtà tenuti in considerazione ai fini della decisione.

Più precisamente l’episodio della violenza sessuale subita dalla sorella del ricorrente e la sua esposizione debitoria sono stati apprezzati nell’ambito della valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale; il giudizio di generale inattendibilità di tali dichiarazioni formulato dalla corte territoriale ha privato le stesse di alcuna rilevanza non solo in punto di riconoscimento dello status di rifugiato, ma anche rispetto a tutte le forme di tutela richieste.

La corte distrettuale ha poi valutato tanto la situazione violenza diffusa esistente in Bangladesh, ritenendo però che la stessa non avesse caratteristiche tali da integrare la nozione di conflitto armato interno, quanto la drammatica situazione economica, escludendone la rilevanza ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Entrambe le censure risultano prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, sono assimilabili alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), e debbono considerarsi perciò inammissibili (Cass. 7/9/2017 n. 20910).

6.1 Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla domanda di riconoscimento della protezione umanitaria: la corte territoriale non avrebbe tenuto conto dell’esistenza di obblighi costituzionali e di diritto internazionale che imponevano di tutelare la condizione di fragilità e vulnerabilità del ricorrente conseguente alla violazione dei diritti umani subita nel suo Paese.

6.2 Il motivo è inammissibile.

Anche sotto questo profilo il ricorrente non censura la specifica ratio decidendi della decisione impugnata, secondo cui la richiesta di protezione umanitaria si basava nella specie sull’esistenza di una situazione di pericolo coincidente sostanzialmente con quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), di modo che, esclusa l’attendibilità delle dichiarazioni dell’appellante, non risultava alcun motivo che giustificasse l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, la quale non può fondarsi soltanto sulla pur drammatica situazione economica del paese d’origine.

A questa specifica argomentazione il ricorrente ha contrapposto la generica enunciazione di principi teorici e la rappresentazione generica, indimostrata e non dedotta nella fase di merito, di una situazione di fragilità/vulnerabilità per violazione dei diritti umani nel proprio paese.

Peraltro il vizio di violazione di legge addotto con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; I’ allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’ esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 13/10/2017 n. 24155) se non sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 28/9/2017 n. 22707, Cass. n. 195 del 11/01/2016); il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 14/3/2017 n. 6587).

Nel caso di specie il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente apprezzato la condizione di particolare vulnerabilità in cui egli si trovava con pregiudizio dei diritti fondamentali.

In questo modo il ricorso ha chiaramente allegato un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ponendosi al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato.

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Nulla per le spese non avendo parte intimata svolto difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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