Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2770 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 06/02/2020), n.2770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28923-2018 proposto da:

F.S., B.A.C., F.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO ROMAGNOLI;

– ricorrenti –

contro

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO

FITTAJOLI;

– controricorrente –

contro

F.E., F.M.C.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 911/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Nella causa di divisione di un terreno promossa dinanzi al Tribunale di Ancona – Sezione distaccata di Jesi da B.M.C., F.A. e F.S. nei confronti di F.M.C., R.S. e F.E., il tribunale ha ordinato la divisione secondo una delle ipotesi prospettate dal consulente tecnico d’ufficio, condannando gli attori al pagamento delle spese di lite e ponendo a loro carico per intero le spese di consulenza tecnica.

Contro la sentenza hanno proposto appello gli originari attori, censurando la decisione sotto i seguenti profili: b) nella parte in cui il primo giudice aveva ritenuto giustificata la deroga al criterio del sorteggio, in linea di principio imposto dalla parità delle quote dei due gruppo di eredi; b) perchè aveva fatto propria una ipotesi divisionale per loro eccessivamente gravosa; c) perchè non aveva indicato nel dispositivo le spese occorrenti per attuare la divisione e la loro ripartizione; d) per avere posto le spese di lite e della consulenza tecnica per intero a carico degli attori, essendo errata la premessa di una loro integrale soccombenza.

La corte ha accolto il gravame limitatamente alla censura sulla ripartizione delle spese occorrenti per attuare la divisione e alla censura sulla ripartizione delle spese di lite; l’ha rigettato per il resto.

Con riferimento alla regolamentazione delle spese, la corte di merito ha ravvisato una situazione di reciproca soccombenza, tenuto conto, da un lato, che i convenuti avevano chiesto, con domanda riconvenzionale, che la divisione dovesse essere fatta sulla base di una certa missiva e che tale domanda era stata rigettata, dall’altro, che la divisione era stata poi attuata sulla base del criterio indicato dagli stessi convenuti.

La corte di merito, inoltre, ha ripartito le spese della consulenza tecnica in ragione delle quote di ciascuno.

Ha compensato interamente le spese del giudizio d’appello, in considerazione dell’accoglimento solo parziale del gravame.

Per la cassazione della sentenza B.A.C., F.A. e F.S. hanno proposto ricorso, affidato a un unico motivo.

R.S. ha resistito con controricorso.

F.M.C. è rimasta intimata.

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte di merito ha riconosciuto una situazione di reciproca soccombenza, in danno degli attori originari, in considerazione del fatto che la divisione è stata attuata in forza del criterio indicato dai convenuti e poi fatto proprio dai giudici di merito.

Si sostiene che il consulente tecnico aveva indicato due diverse ipotesi divisionali. Il fatto che gli attuali ricorrenti avessero manifestato preferenza per una delle due ipotesi e che i giudici di merito avessero poi fatto propria quella indicata dai convenuti non li poneva in situazione di soccombenza.

L’errore incorso nella regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado, in rapporto alla nozione di reciproca soccombenza, portava con sè la necessità di rivedere anche le spese del giudizio d’appello in applicazione del principio che impone di considerare, nella regolamentazione delle spese, l’esito complessivo della lite.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380 – bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso è infondato.

Nei giudizi per divisione le spese di causa vanno poste a carico della massa quando sono effettuate per condurre, nell’interesse comune il giudizio alla sua conclusione; valgano al contrario i principi generali della soccombenza, salvo il potere di compensazione totale o parziale a norma dell’art. 92 c.p.c., quando si tratta di spese determinate da eccessive pretese o da inutili resistenze, quando cioè può parlarsi di atteggiamento processuale ingiustificato, rispetto all’esito della causa (Cass. n. 3083/2006; n. 22903/2013).

Discende da tale principio che, ai fini della regolamentazione delle spese, la valutazione giudiziale non deve considerare solo l’esito decisorio su eventuali vere e proprie domande confluite nel giudizio di divisione o su vere e proprie opposizioni al diritto alla divisione, ma la valutazione deve estendersi al complessivo contegno processuale dei condividenti anche su aspetti squisitamente divisionali, inclusa la scelta fra diverse soluzioni divisorie alternative.

Ora, la compensazione operata nel caso in esame, di là dall’improprio riferimento alla soccombenza reciproca – che a rigore ricorre “nelle ipotesi in cui vi è una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che siano state cumulate nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l’unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri” (Cass. n. 20888/2018; n. 21684/2013) – non incorre in alcuna violazione delle norme generali in tema di ripartizione delle spese di lite, nè incorre in violazione delle peculiari regole che presiedono alla regolamentazione delle spese nel giudizio divisorio.

La compensazione disposta nel caso di specie, pertanto, in quanto esercizio del potere discrezionale del giudice di merito, è insindacabile in questa sede.

Ed invero il procedimento oggetto del ricorso è stato introdotto nel 2001 (pag. 1 del ricorso per cassazione), per cui è applicabile

92 c.p.c. nel testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla L. n. 263 del 2005, art. 28. “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

E quindi applicabile il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: “In tema

di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263), poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poichè il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia” (Cass. n. 20457/2011; n. 2398/2008; n. 17456/2006).

Si rileva, per completezza di esame, che il conflitto inter partes sulla scelta divisionale proposta dagli originari convenuti poi fatta propria primo giudice si perpetuò in grado d’appello, essendoci sul punto apposita ragione di censura formulata dagli attuali ricorrenti (pag. 8 della sentenza impugnata), rigettata dalla corte di merito.

E’ conseguentemente infondata la pretesa dei ricorrenti là dove essi ravvisano un contrasto fra la regolamentazione delle spese attuata nel caso di specie e il principio che impone al giudice d’appello di operare tale regolamentazione in considerazione dell’esito complessivo della lite.

E’, stato chiarito che “in caso di accoglimento parziale del gravame, il giudice di appello può compensare, in tutto o in parte, le spese, ma non anche porle, per il residuo, a carico della parte risultata comunque vittoriosa, sebbene in misura inferiore a quella stabilita in primo grado, posto che il principio della soccombenza va applicato tenendo conto dell’esito complessivo della lite” (Cass. n. 19122/2015; n. 5820/2016).

La sentenza è in linea con tale principio.

Fra la pluralità dei motivi d’appello a suo tempo proposti dagli attuali ricorrenti, la corte di merito ne ha accolto solo alcuni, riformando solo in parte la sentenza.

Ciò posto non ha liquidato le spese a carico degli appellanti parzialmente vittoriosi, ma ne ha disposto la integrale compensazione.

La relativa valutazione, come già chiarito, è insindacabile in questa sede.

Il ricorso, pertanto, va rigettato.

Si giustifica, in rapporto all’incertezza indotta dall’inappropriato uso della nozione di soccombenza reciproca da parte del giudice d’appello, la compensazione delle spese del presente giudizio.

Ci sono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti dell’obbligo del versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso; dispone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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