Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27699 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. II, 29/10/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICARONI Elisa – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23826/2015 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO SANTARONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI MEGLIO;

– ricorrente –

contro

CA.RE., CA.FR., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PETRONIO ARBITRO 11, presso lo studio dell’avvocato

VALENTINA BERGAMI, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE

D’ALESSIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2110/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. dell’8.5.2015, la Corte d’Appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta da C.M. nei confronti di M.R. e Ca.Re. e Ca.Ma., con la quale chiedeva accertarsi e dichiararsi l’inesistenza dei diritti dei convenuti sui lastrici solari di sua esclusiva proprietà e, conseguentemente, la cessazione delle molestie;

– la corte territoriale, qualificata la domanda come actio negatoria servitutis, accertava che i convenuti, proprietari dell’abitazione sita al piano terra del medesimo fabbricato, ove era ubicata l’abitazione dell’attore, erano comproprietari anche del lastrico solare, in quanto rientrante tra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c.; conseguentemente era loro consentito l’uso del terrazzo per lo sciorinio dei panni;

– la domanda relativa all’utilizzo illegittimo delle scale, che conducevano al terrazzo, era invece inammissibile, perchè domanda nuova, tardivamente introdotta con le memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c. ed estranea al thema decidendum originario;

– per la cassazione della sentenza d’appello, ha proposto ricorso C.M. sulla base di due motivi;

– hanno resistito con controricorso Ca.Fr., quale erede di M.R., e Ca.Re., in proprio e quale erede della M..

Diritto

RITENUTO

che:

– con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 183 c.p.c., nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; il ricorrente contesta la decisione della corte territoriale per aver limitato l’oggetto del petitum alla proprietà del lastrico solare, rilevando che, già con le memorie ex art. 183 c.p.c., sarebbe stata proposta l’actio negatoria servitutis in relazione alle scale che portavano al lastrico solare, sicchè il giudice di merito avrebbe omesso di pronunciarsi su tale capo di domanda;

– con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 949c.c., degli artt. 112 e 113c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un punto essenziale con inesistente o insufficiente motivazione per non avere la corte territoriale esaminato il comportamento processuale dei convenuti, che avrebbero prestato acquiescenza domanda di negatoria servitutis in relazione alle scale, accettando il contraddittorio;

– i motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati;

– dall’esame degli atti processuali, consentito in relazione alla natura del vizio, di carattere processuale dedotto in ricorso, risulta che con l’atto di citazione, C.M. chiedeva “dichiararsi l’inesistenza di qualsivoglia diritto e/o pretesa dei convenuti sui lastrici solari di proprietà dell’attore”;

– con la memoria depositata ex art. 183 c.p.c., il C. precisava di essere proprietario dei beni “di cui è causa”, senza svolgere alcun particolare riferimento alle scale;

-solo con le memorie istruttorie di cui all’art. 184 c.p.c., quando erano già maturate le preclusioni assertive, l’attore deduceva l’inesistenza di diritti dei convenuti sulle scale che conducevano al terrazzo;

– ne consegue che, come correttamente argomentato dal giudice d’appello (pag. 4 della sentenza), la domanda di negatoria servitutis relativa alle scale non è stata tempestivamente modificata con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., ma tardivamente introdotta per la prima volta con le note istruttorie, dopo il deposito della consulenza tecnica, quando erano maturate le preclusioni istruttorie e non era consentita l’emendatio libelli;

– la domanda di negatoria servitutis relativa alle scale aveva, quindi, ad oggetto un bene giuridico diverso di cui non vi era cenno negli atti introduttivi del giudizio e nelle memorie ex art. 183 c.p.c., anche accedendo all’orientamento estensivo di questa Corte, che ha ammesso la mutatio libelli in relazione al “petitum” ed alla “causa petendi”, quando la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, ma sempre entro i termini di cui all’art. 183 c.p.c. (Cassazione civile sez. un., 15/06/2015, n. 12310);

– le preclusioni processuali maturate erano rilevabili d’ufficio, indipendentemente dalla posizione assunta dalla controparte con l’eventuale accettazione del contraddittorio e l’omessa contestazione sulla novità della domanda, in quanto il regime di preclusioni, introdotto nel rito civile ordinario, è volto a salvaguardare non solo l’interesse di parte, ma anche l’interesse pubblico all’ordinato e celere andamento del processo, con la conseguenza che la tardività delle domande, eccezioni, allegazioni e richieste, deve essere rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte al riguardo e dall’eventuale accettazione del contraddittorio (Cass. n. 25598/2011, Cass. n. 16541/2011, Cass. n. 10063/2011, Cass. n. 14625/2010);

– il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

– ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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