Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27695 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. II, 29/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 29/10/2019), n.27695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18864/2015 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE TIZIANO 3,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DORIA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANTONINO CATAUDELLA;

– ricorrente –

contro

INVESTIMENTI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO 1498 BUOZZI, 36,

presso lo studio dell’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3943/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Oggetto di ricorso è la sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 30 giugno 2015, che ha parzialmente riformato l’ordinanza del Tribunale di Roma n. 7712 del 2011.

1.1. Il Tribunale, in accoglimento della domanda proposta dall’avv. D.G., aveva condannato Investimenti s.p.a. al pagamento della somma di Euro 86.110,00 a titolo di corrispettivo dell’attività prestata dal professionista in sede giudiziale nonchè stragiudiziale.

2. La Corte d’appello ha ridotto l’importo ad Euro 19.307,00, per la redazione di una bozza di domanda di arbitrato, ritenendo che alcune delle prestazioni di cui l’avv. D. chiedeva il pagamento rientrassero nell’ambito dell’attività di consulenza e di assistenza contrattuale per la quale era stata prevista dalle parti la remunerazione forfetaria semestrale di Euro 50 mila.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.G., sulla base di sei motivi ai quali resiste, con controricorso, Investimenti spa. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380-bis. c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1965 c.c. e si contesta l’interpretazione delle previsioni contrattuali contenute rispettivamente nell’art. 4 del contratto del 2001 e nell’art. 3 del contratto del 2003, aventi ad oggetto le attività escluse dal compenso forfetario. Il testo contrattuale stabiliva che era esclusa dal compenso forfetario “…l’attività prestata nei procedimenti dinanzi ad autorità amministrative attive o indipendenti, nei giudizi ordinari e/o arbitrali ovvero in sede di definizione transattiva della lite”. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la formula “definizione transattiva di liti” fosse riferibile soltanto all’attività finalizzata a porre fine ad una lite già iniziata, in assenza di qualsiasi riferimento testuale, così contravvenendo al criterio ermeneutico previsto dall’art. 1362, comma 1.

2. Con il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, art. 1363 c.c., art. 102 Cost., L. n. 241 del 1990, artt. 1-28, L. n. 481 del 1995, art. 2, il ricorrente evidenzia l’erroneità del richiamo fatto dalla Corte d’appello al criterio dell’interpretazione sistematica, giacchè la stessa Corte avrebbe considerato soltanto la previsione contenuta nella parte finale della clausola e senza tenere conto della formulazione letterale di detta parte.

Per un verso, infatti, il riferimento testuale all’attività prestata nei procedimenti amministrativi non consentiva di ricondurre il significato della previsione all’ambito processuale, stante il disposto dell’art. 102 Cost., e, per altro verso, l’uso della disgiuntiva “ovvero” nell’ultima parte della previsione contrattuale deponeva nel senso che l’assistenza alle transazioni non fosse collegata alla sola attività processuale.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1366 c.c. e si contesta che l’interpretazione alla quale era pervenuta la Corte d’appello sarebbe contraria al criterio di interpretazione funzionale nonchè di buona fede e correttezza. Non avrebbe senso, infatti, riconoscere il compenso extra forfait per le transazioni di liti pendenti – anche in ragione del fatto che tale compenso si aggiungerebbe a quello previsto per il patrocinio in giudizio – e non per lo svolgimento della medesima attività di assistenza prestata per transazioni concluse prima o fuori dal processo, con le quali tra l’altro si realizza una tutela ancora più incisiva dell’interesse sostanziale del cliente.

4. Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, nonchè omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e si contesta che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della condotta delle parti successiva agli accordi, quale risultava dai documenti nn. 20, 22, 23 attestanti l’avvenuto riconoscimento in favore dell’avv. D. degli onorari e delle spese per una transazione conclusa fuori dal processo.

5. Con il quinto motivo, che denuncia violazione, falsa ed errata applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1372,1374 c.c., artt. 2229 c.c. e segg., R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57-68, D.L. n. 1 del 2012, art. 9, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012 e L. n. 247 del 2012, art. 13, il ricorrente contesta l’ulteriore argomentazione svolta dalla Corte d’appello, secondo cui le prestazioni che non rientravano nel novero delle attività compensate forfetariamente necessitavano di apposito conferimento di incarico, contenente anche l’esplicita pattuizione del compenso. Da un lato, infatti, non vi era alcun riscontro testuale di detta necessità, che era stata prevista soltanto nell’accordo del 2001 con riferimento alle questioni concernenti la realizzazione di un nuovo quartiere fieristico, e, dall’altro lato, la normativa applicabile ratione temporis non imponeva la stipula di apposito contratto scritto con esplicita pattuizione del compenso.

6. Con il sesto motivo, che denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1372,1374 c.c., artt. 2229 c.c. e segg., R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57-68, D.l. n. 1 del 2012, art. 9, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012 e L. n. 247 del 2012, art. 13, contesta che la Corte d’appello avrebbe erroneamente valorizzato la condotta del (solo) professionista, attribuendo rilievo al fatto che l’avv. D. non aveva chiesto di formalizzare un accordo e non aveva chiesto un compenso extra forfait, nonostante l’elevato corrispettivo oggetto della pretesa poi azionata. Si trattava di comportamento privo di significato decisivo, stante la già argomentata assenza della necessità di pattuire per iscritto incarico e compenso, nonchè coerente con il rapporto di fiducia risalente, che non lasciava prefigurare circostanze ostative al pagamento spontaneo delle attività in discussione.

7. I primi tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondati.

7.1. La Corte d’appello ha ricostruito il contenuto degli accordi intercorsi pervenendo ad una lettura plausibile della clausola relativa al compenso dell’attività di assistenza legale alla quale si era obbligato l’odierno ricorrente, con un percorso argomentativo scevro dalle denunciate violazioni di canoni ermeneutici. In questi termini, come anche evidenziato dalla difesa della resistente, non residuano margini per il sindacato di legittimità. E’ vero infatti che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, con la conseguenza che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati (tra le altre, (tra le altre, Cass. 12/07/2007, n. 15604; 22/02/2007, n. 4178; 27/03/2007, n. 7500; 28/11/2017, n. 28319), in assenza di riscontro della violazione dei canoni di ermeneutica.

7.2. Nella specie, la Corte d’appello ha innanzitutto chiarito che non vi era questione sull’effettivo svolgimento delle attività di cui l’avv. D. chiedeva il compenso, essendo invece controverso se le stesse fossero già state retribuite con il compenso forfetario fissato dapprima in Euro 33.569,70 semestrali oltre IVA e CPA (accordo del 12 marzo 2001) e poi aumentato ad Euro 50 mila (accordo 18 novembre 2003, riportato integralmente in sentenza).

In esito all’esame del testo contrattuale, la Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’assistenza nelle transazioni intervenute fuori dal processo rientrasse nell’attività di consulenza retribuita a forfait, non essendo indicata tra le prestazioni espressamente “escluse” da quel compenso.

A supporto della decisione la Corte ha evidenziato sia il dato testuale – e cioè l’espressione in sede di definizione transattiva di liti, mutuata dall’art. 1965 c.c., per indicare specificamente lo strumento negoziale con il quale si pone fine ad una lite già insorta – sia la collocazione di detta espressione dopo il riferimento specifico all’attività di assistenza nel processo ordinario od arbitrale, che è altro rispetto all’assistenza in non meglio precisati “procedimenti dinanzi ad autorità amministrative ed indipendenti” prevista nella prima parte della clausola. La stessa Corte ha poi sottolineato che il comportamento del professionista risultava coerente con tale lettura dell’accordo.

7.3. Nel percorso argomentativo cosi sintetizzato non si ravvisa alcuna violazione dei canoni di ermeneutica.

La comune intenzione delle parti è stata individuata attraverso una valutazione di merito che ha dato atto del grado di chiarezza della clausola contrattuale, laddove il riferimento testuale inequivocabile alla “definizione” di liti non è indebolito, ma semmai è rafforzato dall’uso della disgiuntiva “…nei giudizi ordinari e/o arbitrali ovvero in sede di definizione transattiva di liti”. La disgiuntiva conferma, infatti, che l’attività di assistenza in giudizio rimaneva esclusa dal compenso forfetario anche in ipotesi di definizione negoziale.

7.3.1. La Corte territoriale ha poi evidenziato il comportamento del professionista, che non risultava aver mai chiesto di formalizzare un accordo finalizzato allo svolgimento di attività esclusa dal compenso forfetario, nè aveva richiamato la controparte sull’autonomia dell’attività svolta e per la quale avrebbe avuto diritto ad un compenso specifico e sul punto non è dubitabile che le attività non rientranti nell’assistenza e consulenza retribuita a forfait necessitassero di incarico specifico, rilasciato di volta in volta, non essendo altrimenti comprensibile come il professionista avrebbe potuto agire nell’interesse della società.

7.3.2. Neppure si coglie il senso del denunciato contrasto con i criteri dell’interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, e dell’interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte.

In disparte il rilievo che i criteri legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi/integrativi – quale è il principio di buona fede, sebbene questo rappresenti un punto di collegamento tra le due categorie – e ne escludono la concreta operatività, quando l’applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti da sola sufficiente a rendere palese la comune intenzione delle parti stipulanti (ex plurimis, Cass. 09/06/2005, n. 12120), sta di fatto che l’interpretazione data dalla Corte d’appello, secondo cui il compenso forfetario non comprendeva l’attività giudiziale e la sua eventuale definizione in via negoziale/transattiva, non contrasta con la causa del contratto nè si può porre seriamente una questione di affidamento della parte odierna ricorrente, che era perfettamente in grado di pretendere – quanto meno in sede di rinnovo del contratto di collaborazione – una diversa regolamentazione degli interessi sulla base dell’assunto, qui non decisivo, che non vi sarebbe differenza tra la transazione prima del processo e quella che definisce la lite già insorta.

7.4. La decisione della Corte d’appello risulta, perciò, pienamente conforme al principio secondo cui nell’interpretazione del contratto il criterio letterale e quello del comportamento delle parti, anche successivo al contratto medesimo ex art. 1362 c.c., concorrono a definire la comune volontà dei contraenti (ex plurimis, Cass. 01/12/2016, n. 24560).

8. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile per carenza di specificità.

8.1. Il fatto non esaminato consisterebbe in documentazione che il ricorrente non dimostra di avere sottoposto all’attenzione della Corte d’appello, non avendo trascritto nel ricorso il contenuto della comparsa di costituzione in appello quanto meno nella parte di rilievo. La censura non soddisfa il paradigma enucleato dalla giurisprudenza costante di questa Corte regolatrice (per tutte, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), secondo cui l’omesso esame denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

9. Rimangono assorbiti i motivi quinto e sesto, con i quali si contesta l’argomento soltanto aggiuntivo della ritenuta necessità di stipulare appositi contratti per le prestazioni escluse dal compenso forfetario.

10. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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