Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27693 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 03/12/2020), n.27693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21423-2015 proposto da:

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VICOLO

MARGANA 15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI RINALDI FERRI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA 3 in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 616/2015 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 04/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2020 dal Consigliere Dott. PAOLITTO LIBERATO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 616/14/15, depositata il 4 febbraio 2015, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello di B.B., così integralmente confermando la decisione di prime cure che aveva disatteso la proposta impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione emesso per il recupero delle imposte di registro ed ipocatastali dovute in relazione ad atto di scioglimento di comunione ereditaria;

1.1 – a fondamento del decisum il giudice del gravame ha ritenuto che:

– l’atto di divisione aveva comportato l’attribuzione a ciascun condividente di porzioni di un compendio immobiliare (oggetto di dichiarazione per Euro 280.000,00) corrispondenti alle rispettive quote di diritto (pari, dunque, ad Euro 140.000,00 per ciascun condividente);

– come dedotto dall’amministrazione, – a fronte delle difese svolte dall’appellante circa la ricorrenza, nella fattispecie, di immobili censiti in catasto e dichiarati per un importo superiore alla rendita catastale rivalutata e aggiornata con applicazione dei previsti coefficienti (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5), – nell’atto di divisione non era stata richiesta l’applicazione del criterio di tassazione corrispondente al cd. prezzo valore (D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 ter, conv. in L. n. 266 del 2005, in relazione alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497), così che legittimamente (e correttamente) era stato rettificato il valore degli immobili compresi nella massa in complessivi Euro 710.000,00;

– la quota, così, “di fatto assegnata al contribuente… era superiore alla quota di diritto di 1/2 a lui spettante”, con conseguente emersione di un conguaglio tassabile ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, comma 2;

2. – B.B. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;

– l’Agenzia delle Entrate si è tardivamente costituita al fine di partecipare alla discussione del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, deducendo, in sintesi, che, – venendo in considerazione, nella fattispecie, una divisione a quote paritarie, e senza conguagli, – in relazione alla natura dichiarativa della stessa divisione, – non comportante, perciò, effetti traslativi correlati a conguagli, – non poteva prospettarsi quella “cessione” di beni immobili al cui ricorrere si rendeva applicabile la (sopravvenuta) disciplina di legge involgente l’applicazione del criterio cd. del prezzo valore con riferimento (per l’appunto) alle “cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze”, e previa “richiesta della parte acquirente resa al notaio” (L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497 in relazione al D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 ter, conv. in L. n. 266 del 2005); conclusione, questa, che, – involgendo una preclusione all’esercizio del potere di rettifica, era stata, del resto, espressa dalla stessa amministrazione in propri atti di prassi;

– il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 5 bis, sul rilievo che il giudice del gravame aveva applicato la citata disposizione di deroga al criterio di valutazione automatica fondato sulla rendita catastale ad un atto (scioglimento della comunione per divisione senza conguagli) che non costituiva cessione di immobili;

– col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, deducendo che in tanto la gravata sentenza era pervenuta ad accertare l’esistenza di conguagli in quanto aveva ritenuto legittimo l’accertamento di maggior valore operato dall’amministrazione, con ciò senza avvedersi che proprio un siffatto accertamento doveva ritenersi precluso, ricorrendo tutti i presupposti di applicazione del criterio di valutazione automatica (fondato sulla rendita catastale rivalutata e aggiornata);

2. – i tre motivi, – che vanno congiuntamente trattati in quanto afferiscono a distinti profili di una medesima quaestio iuris involgente la qualificazione dell’atto sottoposto a tassazione, – sono fondati e vanno accolti;

3. – come si è anticipato, la gravata sentenza ha dato atto sia del contenuto dell’atto di divisione in contestazione, – connotato dall’assegnazione di porzioni di un compendio immobiliare corrispondenti alle quote di diritto (paritarie) di ciascun condividente, sia dei presupposti (fattuali e di diritto) del potere di imposizione nella fattispecie esercitato, ed ha correlato, – così come il ricorrente condivisibilmente denuncia, – l’esistenza di conguagli (e, dunque, l’accertamento di una quota “di fatto assegnata al contribuente… superiore alla quota di diritte) di 1/2 “) all’esercitato potere di rettifica (del valore in comune commercio degli immobili); ed ha, altresì, escluso l’applicabilità del limite costituito dalla valutazione automatica degli immobili, – censiti in catasto e dichiarati in divisione per un valore superiore alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5), – sulla base della deroga, all’ambito di applicabilità di detto limite, introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 ter, conv. in L. n. 266 del 2005 (che ha giustappunto introdotto il comma 5 bis nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52), limite che, per l’appunto, non trova applicazione con riferimento alle “cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 497” (disposizione, quest’ultima, che ha riguardo ad “immobili ad uso abitativo e relative pertinenze” e che pur contempla, a necessaria richiesta della parte acquirente, la determinazione del valore dell’immobile ceduto secondo il criterio tabellare del valore catastale, cd. prezzo valore);

4. – occorre, allora, premettere che, – nel contesto delle regole (di natura procedimentale e sostanziale) che connotano la fattispecie in cognizione, – mentre la cd. valutazione automatica, attraverso i parametri catastali, qual delineata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, – senza incidere sulla disciplina della base imponibile in deroga alla regola generale che tale base imponibile identifica col valore venale in comune commercio degli immobili (e delle aziende; art. 51, comma 2), – ha introdotto un vincolo procedimentale, – e, così, una preclusione, – all’esercizio del potere di rettifica del valore dichiarato nell’atto (o del corrispettivo pattuito; v. Cass., 20 marzo 2009, n. 6796; Cass., 13 febbraio 2009, n. 3573; Cass., 7 luglio 2004, n. 12448; Cass., 28 novembre 2001, n. 15080; Cass., 13 agosto 1996, n. 7504; v., altresì, Corte Cost., 23 gennaio 2014, n. 6), la successiva disciplina, – anch’essa correlata al criterio tabellare identificato dall’art. 52, commi 4 e 5, cit., – qual dettata dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, ha operato, – “In deroga alla disciplina di cui all’art. 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131” e, così, ponendosi quale regola (alternativa), su opzione del contribuente (che è titolare del corrispondente diritto potestativo; v. Corte Cost., 23 gennaio 2014, n. 6, cit.), di determinazione della stessa base imponibile (al ricorrere dei requisiti soggettivi ed oggettivi ivi delineati), – con espresso riferimento alle (sole) “cessioni” di immobili ad uso abitativo (e relative pertinenze);

– laddove la nuova regolazione del cennato limite (al potere di rettifica) sotteso alla cd. valutazione automatica (art. 52, commi 4 e 5, cit.), – delineata dall’art. 52, comma 5 bis, cit. (qual introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 ter, conv. in L. n. 266 del 2005), – ha assunto, a suo presupposto, la ricorrenza di una fattispecie ad effetti traslativi, essendosi derogato al vincolo procedimentale costituito dalla valutazione automatica degli immobili, secondo parametri catastali, con riespansione, quindi, del potere di accertamento dell’amministrazione, – solo con riferimento alle “cessioni” di immobili e relative pertinenze “diverse” da quelle disciplinate dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 497 (con una sostanziale sovrapposizione regolatoria, per gli atti negoziali ad effetti traslativi, della fattispecie cd. del prezzo-valore, a quella, di natura procedimentale, già correlata alla cd. valutazione automatica);

– e con la conseguenza che, – al di fuori dello spazio negoziale coperto dall’effetto traslativo correlato alla “cessione” di un immobile, e relative pertinenze, – rimane predicabile il ridetto limite procedimentale al potere di rettifica (art. 52, commi 4 e 5, cit.) laddove il valore o il corrispettivo dell’immobile, iscritto in catasto con attribuzione di rendita, sia stato dichiarato in misura non inferiore alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata secondo i previsti moltiplicatori (senz’alcuna necessità di opzione in tal senso da parte del contribuente, trattandosi di fattispecie negoziale, priva di effetti traslativi e, così, non riconducibile al sistema delle regole correlate alla disciplina del cd. prezzo valore);

5. – nell’articolare, quindi, il suo percorso ricostruttivo nei sopra ripercorsi termini, la gravata sentenza non ha, considerato, che all’atto di divisione, – che non comportava conguagli effettivi, attribuendosi i condividenti quote paritarie del compendio immobiliare, – non si correlavano effetti traslativi e che, pertanto, – non potendosi prospettare cessioni di beni immobili, – non ricorrevano i presupposti di applicazione della (sopra ricostruita) disciplina derogatoria al limite costituito dalla valutazione automatica di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5;

5.1 – sotto il primo profilo, difatti, la Corte ha già ripetutamente rimarcato la natura dichiarativa della divisione, qual recepita dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, comma 1 (alla cui stregua “La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente.”; v., negli stessi termini, il previgente D.P.R. n. 634 del 1972, art. 32, comma 1, e, sia pur con varianti lessicali, il R.D. n. 2369 del 1923, art. 48, comma 1), rilevando che un effetto traslativo può correlarsi (solo) al previsti conguagli (Cass., 28 marzo 2018, n. 7606; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27075; Cass., 20 marzo 2013, n. 6942; Cass., 15 giugno 2010, n. 14398), laddove, dunque, l’uno dei condividenti riceva l’attribuzione di beni, in natura o in denaro (pars quanta), eccedenti la quota (pars quota) a lui spettante sulla comunione dei beni (e semprechè il versamento in denaro non sia esso stesso effettuato a copertura della quota spettante, irrilevante rimanendo che la somma corrisposta non provenga dalla massa ereditaria, “atteso che l’art. 34 cit. non si occupa della provenienza dei beni assegnati, ma soltanto del loro valore”; così Cass., 30 luglio 2010, n. 17866 cui adde Cass., 28 marzo 2018, n. 7606; Cass., 14 luglio 2017, n. 17512; Cass., 16 novembre 2012, n. 20119); natura, questa, dalla quale consegue l’applicazione dell’imposta di registro nella misura (proporzionale) prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa allegata, art. 3, parte prima, (dal D.Lgs. n. 347 del 1990, art. 1 e allegata tariffa, art. 4, e art. 10, comma 2, per le imposte ipocatastali);

5.2 – sotto il secondo profilo, la natura dichiarativa della divisione, – cui, nell’elaborazione della giurisprudenza civile della Corte (in relazione al disposto di cui all’art. 757 c.c.), e sia pur con alcuni distinguo (che qui non rilevano), si correla la natura dichiarativa della sentenza di divisione (con riferimento, anche qui, all’assegnazione dei beni comuni in proporzione alle quote dei condividenti, laddove la sentenza produce un effetto costitutivo-traslativo quando ad un condividente siano assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota perchè rientranti nell’altrui quota; v., ex plurimis, Cass., 11 ottobre 2016, n. 20457; Cass., 10 marzo 2015, n. 4730; Cass., 5 agosto 2011, n. 17061; Cass., 18 dicembre 2006, n. 27034; Cass., 29 marzo 2006, n. 7231; Cass., 25 ottobre 2005, n. 20645; Cass., 10 febbraio 2004, n. 2483; Cass., 29 aprile 2003, n. 6653; Cass., 24 luglio 2000, n. 9659), – esclude, poi, che, nella fattispecie, potesse ritenersi inapplicabile il criterio di valutazione automatica previsto, – con riferimento alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata, – dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, posto, in effetti, che, – per come rilevato dalla stessa amministrazione in proprio atto di prassi (v. la circolare 6 febbraio 2007, n. 6/E), – i limiti (anche di natura procedurale) introdotti all’applicazione di detto criterio (D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23 ter, cit.) hanno a presupposto gli atti di cessione di immobili, evenienza, questa, che non ricorre, come si è detto, a riguardo della divisione dei beni in comunione, con attribuzione ai condividenti di porzioni proporzionali a ciascuna quota;

5.3 – nè, nella fattispecie, – ove non è in contestazione che ciascuna quota assegnata ai condividenti rispondesse alla rendita catastale rivalutata ed aggiornata secondo parametri catastali, – può (diversamente) rilevare il disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, comma 3 (alla cui stregua “Quando risulta che il valore dei beni assegnati ad uno dei condividenti determinato a norma dell’art. 52 è superiore a quello dichiarato, la differenza si considera conguaglio.”) in quanto l’emersione dei cd. conguagli fittizi (idonei ad integrare, secondo la presunzione legale, un effetto traslativo) a suo presupposto assume, secondo la stessa littera legis (che giustappunto rinvia all’art. 52), il legittimo esercizio del potere di accertamento e rettifica, potere che, per le ragioni sin qui svolte, trovava preclusione nella valutazione automatica delle quote secondo i parametri catastali (art. 52, comma 4, cit.);

5.4 – le conclusioni appena raggiunte non risentono, poi, della recente rimodulazione qualificatoria della fattispecie divisionale tracciata dalle Sezioni Unite della Corte (v. Cass. Sez. U., 7 ottobre 2019, n. 25021), ed alla cui stregua “la divisione ha una natura specificativa, attributiva, che impone di collocarla tra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa”, in quanto:

– la qualificazione tributaria della divisione, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro (v., altresì, il D.Lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10), è essa stessa espressiva della scelta, operata dal legislatore, che esclude l’ipotizzabilità di un effetto traslativo in presenza di uno scioglimento della comunione senza conguagli (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34); scelta, questa, oltretutto connotata da un particolare favor che si incentra tanto sulla misura degli stessi conguagli, qual rilevanti ai fini della configurabilità di un effetto traslativo (art. 34, comma 2), quanto sulla disciplina della riunificazione di masse plurime “considerate come una sola comunione se l’ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte” (art. 34, comma 4);

– il profilo qualificatorio in questione, sotteso al dato normativo, si salda poi, – secondo un rilievo che è, del resto, presente (anche) nella pronuncia delle Sezioni Unite della Corte, e quanto, dunque, all’effetto retroattivo della divisione (art. 757 c.c.), ed alla scelta del legislatore di così “assicurare continuità tra la posizione giuridica del defunto e quella dell’erede attributario del bene diviso”, – col criterio regolatorio fondamentale che governa la tassazione di registro, ed alla cui stregua l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli “effetti giuridici” dell’atto presentato alla registrazione (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20), ove, dunque, qualificazione normativa ed effetti giuridici dell’atto di divisione escludono (in assenza di conguagli) ogni effetto traslativo;

– la stessa sostanza economica dell’atto divisionale, qual rilevante nella prospettiva del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), pare consentanea, poi, con una siffatta qualificazione degli effetti giuridici (non traslativi) della divisione, – secondo (anche qui) un rilievo presente nella pronuncia delle Sezioni Unite, ed alla cui stregua “… l’idea secondo cui la divisione non costituirebbe titolo di acquisto dei beni assegnati in proprietà esclusiva può essere condivisa solo a patto di restringerne il significato al piano puramente economico, essendo chiaro che il passaggio dalla contitolarità pro quota dei beni comuni alla titolarità esclusiva della porzione non si traduce in un incremento patrimoniale per il condividente.” (punto 5.3.2. della sentenza cit.), ove, pertanto, la retroattività della divisione, a fini tributari, si salda col difetto di un incremento patrimoniale in capo al condividente;

6. – può, quindi, enunciarsi il seguente principio di diritto: “In ragione della natura dichiarativa, a fini tributari, della divisione che non preveda conguagli, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, e della conseguente inapplicabilità, a tale fattispecie negoziale, della deroga, prevista dal D.P.R. cit., art. 52, comma 5 bis, alla disciplina posta dallo stesso art. 52, commi 4 e 5, il potere di rettifica dei valori dichiarati nell’atto di divisione non può essere esercitato dall’amministrazione, con conseguente preclusione all’accertamento dei conguagli cd. fittizi di cui all’art. 34, comma 3, cit., qualora le quote attribuite ai condividenti rispondano ai parametri catastali delineati dall’istituto della cd. valutazione automatica degli immobili”;

7. – la gravata sentenza va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio qual proposto da B.B.;

– le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, avuto riguardo alla assoluta novità delle questioni controverse.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa integralmente, tra le parti, le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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