Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27690 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 27690 Anno 2017
Presidente: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO
Relatore: MERCOLINO GUIDO

sul ricorso iscritto al n. 16921/2016 R.G. proposto da
ENABULELE EGHE, rappresentato e difeso dall’Avv. Aldo Egidi, con domicilio
in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. con domicilio in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 735/16 depositata il 9
maggio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2017
dal Consigliere Guido Mercolino.

Data pubblicazione: 21/11/2017

Rilevato che Eghe Enabulele, cittadino nigeriano, ha proposto ricorso
per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 9 maggio 2016,
con cui la Corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame da lui interposto
avverso l’ordinanza emessa il 12 marzo 2015 dal Tribunale di Torino, con
cui è stata rigettata la domanda di riconoscimento della protezione interna-

dal ricorrente;
che il Ministero dell’interno non ha svolto difese scritte;
che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente
del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata.

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per insufficienza e contraddittorietà
della motivazione, sostenendo che, nel ritenere non provato il suo orientamento sessuale, la Corte di merito non ha tenuto conto dell’immediata allegazione della sua condizione di omosessuale in sede di audizione dinanzi alla Commissione competente e della reticenza da lui comprensibilmente manifestata nella narrazione di dettagli riguardanti la propria sfera intima, in
conseguenza della mancata accettazione della predetta condizione, determinata dalle pene durissime previste dalla legge del suo Paese di origine per
gli omosessuali e dall’aperta condanna dell’omosessualità da parte del mondo religioso nigeriano, nonchè dall’atteggiamento di riprovazione diffuso al
riguardo tra la popolazione nigeriana;
che, a sostegno del proprio assunto, il ricorrente richiama l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, secondo cui, avuto riguardo alla delicatezza delle questioni relative alla sfera personale dell’individuo, e segnatamente alla sua sessualità, la reticenza manifestata dall’interessato nel rivelare eventuali dettagli della propria vita intima non può costituire di per sé
un motivo per escludere la credibilità delle dichiarazioni da lui rese in ordine
alla propria condizione di omosessuale (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 2/
12/2014, nelle cause riunite da C-148/13 a C-150/13);

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zionale, ed in subordine della protezione sussidiaria o umanitaria, proposta

che, nell’affermare il predetto principio, la Corte di Giustizia ha peraltro
inteso riferirsi essenzialmente all’esposizione degli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale ed alla condotta tenuta dal
richiedente in sede di esame della domanda da parte della Commissione
competente, escludendo che l’obbligo dell’interessato d’indicare «quanto
prima» i predetti elementi, ai sensi dell’art. 4, par. 1, della direttiva 2004/

elementi di prova da lui addotti, e richiamando il dovere, imposto alle autorità competenti dall’art. 13, par. 3, lett. a), della direttiva 2005/85 e dallo
art. 4, par. 3, della direttiva 2004/83, di condurre il colloquio «tenendo conto della situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda, segnatamente della vulnerabilità del richiedente, e di procedere ad una valutazione individuale di tale domanda, tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali di ciascun richiedente»;
che a tale dovere, riconosciuto anche dalla giurisprudenza di legittimità
(cfr. Cass., Sez. VI, 29/12/2016, n. 27437), la Corte di merito non si è affatto sottratta, non essendosi limitata a rilevare la scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dall’Enabulele nel corso del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale, ma avendo dato altresì atto della mancata integrazione
delle stesse in sede di audizione dinanzi al Giudice di primo grado, nel corso
della quale il ricorrente si era limitato ad insistere per il riconoscimento della
protezione internazionale, nonché della genericità della relazione di consulenza etno-psicologica prodotta in giudizio, ed avendole quindi reputate inidonee a comprovare l’asserita condizione di omosessuale del richiedente;
che, sulla base della predetta valutazione, ritenuta assorbente rispetto
alla minaccia di sanzioni penali ed alla riprovazione sociale connesse alla
qualificazione dell’omosessualità come reato da parte della legge penale ed
alla considerazione morale della popolazione della Nigeria, la sentenza impugnata è coerentemente pervenuta ad escludere la riconducibilità dell’allontanamento del ricorrente dal Paese di origine al timore di essere perseguitato a causa della predetta condizione;
che, nel contestare tale apprezzamento, il ricorrente si limita ad insistere sulla propria tesi difensiva, senza essere in grado di individuare le lacune

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83, possa condizionare la valutazione delle dichiarazioni da lui rese e degli

argomentative e le carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte
territoriale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione dei fatti,
non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza
giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte nella sentenza im-

legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nel testo modificato dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis,
Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n.
21257);
che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione
dell’intimato;
che, trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non
trova applicazione l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.
rigetta il ricorso.

pugnata, nei limiti in cui nei limiti in cui quest’ultima è censurabile in sede di

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