Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2769 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 06/02/2020), n.2769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28653-2018 proposto da:

QUADRIFOGLIO DUE DI G.D.F. & C. SAS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

CICCONIMI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIANO CARINCI;

– ricorrente –

contro

C.A., in proprio e nella qualità di titolare dell’omonima

Ditta A.S.E.A. CARS DI A.C., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ALESSANDRO VESSELLA 30, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO PUCCIONI, rappresentata e difesa dall’avvocato SANDRO ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 332/2018 del TRIBUNALE di PESCARA, depositata

il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il giudice di pace di Pescara ha rigettato l’opposizione proposta da C.A. contro il decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dalla Quadrifoglio Due S.a.S. di G.D.F. & C. s.a.s. (Quadrifoglio) per il pagamento di corrispettivo per passaggi di proprietà di mezzi oggetto di compravendita.

Con la stessa sentenza il primo giudice ha liquidato le spese di lite a favore della parte opposta vittoriosa.

Contro la sentenza la Quadrifoglio ha proposto appello, censurando la decisione nella parte in cui il giudice di pace aveva liquidato le spese sulla base dello scaglione previsto per le causa di valore inferiore a Euro. 1.100,00, senza considerare che l’opponente aveva proposto una domanda riconvenzionale di valore superiore. In considerazione del valore della domanda riconvenzionale si giustificava l’applicazione dello scaglione per le cause di valore superiore.

L’appellante ha chiesto inoltre la riforma della sentenza là dove il giudice di pace aveva rigettato la domanda dell’opposto di risarcimento del danno per lite temeraria.

Il Tribunale di Pescara ha confermato la sentenza.

Esso ha riconosciuto che, in linea di principio, la proposizione di una domanda riconvenzionale potrebbe realmente giustificare la liquidazione degli onorari di difesa in applicazione di uno scaglione superiore. Nella specie, però, non c’erano i presupposti per fare ricorso a tale correttivo, perchè la domanda riconvenzionale non aveva comportato ulteriori attività difensive, essendo state rigettate le istanze istruttorie della parte che l’aveva proposta.

Il tribunale ha poi confermato la statuizione di rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata, in assenza della prova dei requisiti, soggettivi e oggettivi, della fattispecie.

Per la cassazione della sentenza la Quadrifoglio ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

C.A. ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2, 4 e 5, dell’art. 2233 c.c. e dell’art. 10 c.p.c..

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui il tribunale ha confermato la liquidazione delle spese di lite, in quanto operata dal primo giudice in base al valore della domanda principale, pure in presenza di una domanda riconvenzionale.

Si sostiene che il rilievo del tribunale per giustificare la decisione (la domanda riconvenzionale non aveva avuto seguito istruttorio), oltre a non trovare giustificazione sul piano dei principi, non aveva tenuto conto della maggiore attività difensiva imposta dall’iniziativa avversaria. Le deduzioni della comparsa di risposta e delle note istruttorie si riferivano infatti anche alla domanda riconvenzionale.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1 – 11 e degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Si rappresenta che l’appellante aveva censurato la decisione di primo grado anche perchè il giudice di pace si era discostato dalle indicazioni della nota spese, senza specificare gli aumenti e le diminuzioni sulle singole voci analiticamente espresse nella nota stessa.

Il tribunale, nonostante la specifica censura, non aveva emesso alcuna pronuncia sul punto.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.

Si censura la decisione per avere negato i presupposti della responsabilità processuale per lite temeraria.

La ricorrente sostiene che, dopo la modifica dell’art. 96 c.p.c. operata dalla L. n. 69 del 2009, la fattispecie non richiede la dimostrazione del dolo o della colpa grave, nè la prova del danno.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere parzialmente accolto per manifesta fondatezza del primo motivo, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380 – bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il primo motivo è fondato.

In materia questa Suprema Corte ha chiarito che “Nella determinazione del valore della controversia, ai fini della liquidazione degli onorari difensivi, occorre tener conto anche del valore delle domande riconvenzionali, la cui proposizione, ove sia diretta all’attribuzione di beni diversi da quelli richiesti dalla controparte, determina un ampliamento della lite e, di conseguenza, dell’attività difensiva” (Cass. n. 30840/2018).

Il tribunale non si è attenuto a tale principio. Invece di considerare l’attività difensiva svolta dall’avvocato nel suo complesso, anche in relazione alla domanda riconvenzionale (Cass. n. 7275/1991), ha negato “l’ampliamento della lite” già in via di principio, in base al rilievo che la domanda riconvenzionale non aveva comportato ulteriori attività, essendo state rigettate le richieste istruttorie della parte che l’aveva proposta.

Decidendo in questi termini, però, il tribunale non ha considerato che, in presenza di una domanda riconvenzionale, il requisito che potrebbe giustificare la maggiore liquidazione è legato all’ulteriore attività difensiva svolta in relazione a tale domanda. Esso può naturalmente ricorrere anche in assenza di un’attività di istruzione probatoria in senso stretto.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo.

Il terzo motivo è infondato in conformità alla proposta.

Non si discute nella specie dell’applicazione o della mancata applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ma la parte si duole del rigetto della domanda ch’era stata proposta ai sensi del comma 1 della norma.

Si deve pertanto fare applicazione del principio secondo cui l’accertamento dei presupposti della responsabilità processuale per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 126/1992).

Per completezza si esame si ritiene di aggiungere che la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, non richiede nè la domanda di parte, nè la prova del danno, ma rimane “tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza della infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza)” (Cass., S.U., 22405/2018).

In conclusione, fondato il primo motivo, assorbito il secondo, infondato il terzo, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa al Tribunale di Pescara, che la deciderà in persona di diversi magistrato e liquiderà le spose del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; rigetta il terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa al Tribunale di Pescara, in persona di diverso magistrato, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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