Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2769 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2011, (ud. 09/06/2010, dep. 04/02/2011), n.2769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3324/2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M.F., F.F.A., F.

M.C. quali eredi di F.E.;

– intimati –

e sul ricorso 8075/2007 proposto da:

F.M.F., F.F.A., F.

M.C. quali eredi di F.E., tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato

SALERNI ARTURO, che li rappresenta e difende giusta delega in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4 7/2 006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/01/2006 R.G.N. 431/02 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l’Avvocato SALERNI ARTURO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto il riconoscimento, richiesto da F.E., dei benefici derivanti dall’esposizione all’amianto; in particolare, per quanto ancora interessa, l’assicurato ha chiamato in causa l’Inps e poi l’Inpdai (Istituto nazionale previdenza dirigenti delle aziende industriali), in relazione ai periodi trascorsi come assicurato presso l’uno e presso l’altro ente, per chiedere che essi provvedessero alla modifica delle due posizioni contributive dell’interessato costituite presso di loro, moltiplicando i periodi di esposizione per il coefficiente 1,5, come previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13.

La domanda è stata accolta dal giudice di primo grado, che ha ritenuto che l’esposizione fosse effettivamente sussistita nel periodo dal primo maggio 1982 al giugno 1986, e ha condannato le società che si erano succedute come datrici di lavoro al pagamento dei contributi relativi e l’Inps e l’Inpdai alla rivalutazione del periodo contributivo dal 12 gennaio 1976 al 20 giugno 1986.

Questa pronunzia è stata sostanzialmente confermata (con una parziale riforma in ordine alla ripartizione delle spese) dalla Corte d’appello di Milano con sentenza n. 47 del 2006.

avverso la sentenza di appello, depositata in cancelleria il 17 gennaio 2006, e che non risulta notificata, l’Inps ha proposto, nei confronti delle eredi di F.E. (deceduto nel cosro del giudizio di appello) ricorso per cassazione.

Le eredi F. hanno resistito con controricorso, proponendo contestualmente ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel ricorso principale l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 342 cod. proc. civ., nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Esso lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che i motivi dell’atto di gravame contenessero soltanto contestazioni generiche.

A questo proposito il ricorrente principale contesta la motivazione della sentenza sul fatto che il F. fosse stato esposto al rischio amianto.

Il giudice di primo grado aveva dichiarato il diritto della controparte all’applicazione del coefficiente moltiplicatore previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, senza però accertare se il F. fosse stato esposto all’amianto in concentrazione superiore ai limiti previsti dal D.Lgs. n. 277 del 1991; il consulente tecnico però, non aveva tenuto conto di questi parametri, e la sentenza si era attenuta alle conclusioni del consulente.

L’Inps contesta, inoltre, l’interpretazione del concetto di esposizione a rischio contenuto nella sentenza di primo grado, e che era già stato oggetto di un apposito motivo di appello, che il giudice di secondo grado aveva ritenuto generico senza peraltro spiegare le ragioni di questa valutazione.

Il motivo non è fondato.

Le censure circa il contenuto della consulenza tecnica non sono suscettibili di riesame in questa fase di legittimità.

Nè sussiste, d’altra parte, il lamentato vizio di motivazione.

I giudici di appello hanno ribadito in proposito le valutazioni del giudice monocratico di primo grado, sottolineando che la sentenza di primo grado era ampiamente motivata e sostenuta sia da prove adeguate sulla continuità dell’esposizione alle polveri di amianto anche successivamente alla mutata qualifica del dipendente in quella di dirigente (da cui era derivato anche il passaggio del dipendente, ai fini delle assicurazioni obbligatorie, ad un diverso ente previdenziale di riferimento, appunto l’Inpdai), sia dalla consulenza tecnica di ufficio, ed hanno rigettato così implicitamente le critiche contenute nell’atto d’appello dello stesso Inps.

Con l’unico motivo le ricorrenti incidentali lamentano, “ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5”, per avere la Corte d’appello respinto un’eccezione di cosa giudicata parziale e per aver dichiarato ammissibili “domande proposte dall’Inps nel giudizio d’appello”.

Il motivo non può essere accolto, per difetto di interesse.

Le aventi causa di F.E. hanno visto soddisfatte in primo grado le pretese sostanziali del dante causa, con sentenza che è stata integralmente confermata in appello. Esse non hanno perciò interesse, nè forniscono in proposito se non confuse ricostruzioni di fatto, all’emendamento di asseriti errori processuali in cui sarebbe incorso il Collegio di merito.

In conclusione entrambi i ricorsi debbono essere rigettati.

La reciproca soccombenza costituisce motivo per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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