Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27689 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. I, 30/10/2018, (ud. 16/05/2018, dep. 30/10/2018), n.27689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. IOFRFIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18791/2014 proposto da:

D.D., in proprio e nella qualità di titolare della

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Piazza dei Caprettari

n.70, presso lo studio dell’avvocato Iaione Massimiliano (Studio

Ripa Di Meana e associati), che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Cercaci Marco, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) – Ditta Individuale, in persona del

curatore dott.ssa G.E., elettivamente domiciliato in

Roma, Viale delle Milizie n.48, presso lo studio dell’avvocato

D’Orsi Francesca, rappresentato e difeso dall’avvocato Tardella

Francesco, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Leasys S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 430/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/06/2014;

lette le memorie del ricorrente ex art. 378 c.p.c.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/05/2018 dal cons. VELLA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato M. Farina, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito, per il controricorrente Fallimento, l’Avvocato F. D’Orsi, con

delega verbale, che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Ancona ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da D.D. – in proprio e nella qualità di titolare della (OMISSIS) – avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale di Ancona.

2. Il reclamante lamentava, in primo luogo, il difetto di legittimazione attiva dell’unico creditore istante – la società Leasys S.p.a. – in quanto titolare di un credito contestato in sede di opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (fideiussione del 25/09/2007 prestata dal D. in favore del debitore principale My Car S.r.l. con riguardo ad un contratto-quadro da quest’ultimo stipulato con la creditrice in data 22/05/2003, che contemplava in particolare una clausola di proroga salvo disdetta) ed in secondo luogo l’insussistenza di uno stato di insolvenza.

3. Con riguardo al primo aspetto, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la rinuncia al credito sopravvenuta nel corso del giudizio di reclamo da parte del creditore istante (che aveva raggiunto un accordo transattivo con il debitore principale) in quanto priva di effetto retroattivo e perciò inidonea ad inficiare la declaratoria di fallimento, intervenuta in un momento in cui sussisteva certamente la legittimazione attiva. Ha inoltre negato la necessità di una pluralità di creditori nè di un titolo giudiziale esecutivo, essendo il giudice fallimentare tenuto, in caso di contestazione del credito, ad accertare incidentalmente la legittimazione del creditore istante.

4. Quanto allo stato di insolvenza, la Corte d’appello ha dichiarato irrilevante, ai fini della nozione espressa nella L. Fall., art. 5, l’eventuale eccedenza delle poste attive su quelle passive – se non prontamente liquidabili – rilevando altresì che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo il tribunale aveva respinto la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione e che dagli accordi inter partes (a fronte di un contratto-quadro rinnovato tacitamente in forza di successivo patto in deroga) emergeva l’esistenza di un contratto autonomo di garanzia.

5. Il giudice a quo ha infine ritenuto decisivi l’esistenza di uno stato passivo variegato e di rilevante entità, nonchè la presenza di crediti scaduti prima della dichiarazione di fallimento di entità superiore alla soglia prevista dalla L. Fall., art. 15, u.c., anche tenuto conto della non necessità della iscrizione a ruolo dei crediti tributari.

6. Avverso la sentenza d’appello il D. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui la sola curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Giudice del reclamo ritenuto sussistente lo stato di insolvenza del signor D.D. in assenza di prova dell’integrazione dei presupposti di legge: in particolare, da un lato, dello stato di insolvenza dell’imprenditore e, dall’altro, della sussistenza dell’unico credito il cui inadempimento sarebbe stato accertato nel corso dell’istruttoria prefallimentare, nonostante lo stesso fosse stato contestato in maniera fondata (cfr. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 5 e 6)”. In particolare, si sostiene che, a fronte della contestazione del credito dell’unico creditore istante (“exceptio doli generalis volta a rilevare l’abusiva escussione della garanzia”), la Corte di appello avrebbe dovuto svolgere “approfondimenti ulteriori e puntuali circa la situazione patrimoniale ed economica dell’impresa alla data del fallimento”, tanto più che il debitore “aveva fornito addirittura la prova della solvibilità dell’impresa”.

2. Con il secondo mezzo si deduce la “Nullità della sentenza e del procedimento, per avere il Giudice del reclamo omesso di esercitare i propri poteri di indagine d’ufficio al fine di verificare con un grado accettabile la sussistenza dei presupposti del fallimento (cfr. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 15)”.

3. Le prime due censure – che in quanto connesse possono essere esaminate congiuntamente – sono inammissibili.

3.1. Per consolidato orientamento di questa Corte, “la L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante” (ex plurimis, Cass. Sez. U, 23/01/2013 n. 1521, Rv. 624795-01; conf. Sez. 1, 22/05/2014 n. 11421, Rv. 631283 – 01; Sez. 1, 15/01/2015 n. 576, Rv. 633896 – 01). Al riguardo è stato altresì precisato che “ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, il giudice della fase prefallimentare, a fronte della ragionevole contestazione del credito vantato dal ricorrente, deve procedere all’accertamento, sia pur incidentale, dello stesso, salvo che la sua esistenza risulti già accertata con una pronuncia giudiziale a cognizione piena, potendo, in tal caso, onde adempiere al suo dovere di motivazione, limitarsi ad un mero rinvio ad essa, con l’obbligo, invece, ove rilevi significative anomalie, tali da giustificare il dubbio sulla correttezza della conclusione ivi raggiunta, di dare specificamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad allontanarsi dalla precedente decisione” (Sez. 6 – 1, 14/03/2016 n. 5001, Rv. 639009 – 01).

3.2. Nel caso di specie, il giudice a quo ha rispettato i suddetti principi ed ha svolto il richiesto accertamento incidentale tenendo specificamente conto delle contestazioni mosse dal reclamante al credito portato dal decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto dal creditore istante (v. in particolare pag. 13-15 della sentenza). A fronte di un siffatto accertamento, le doglianze del ricorrente risultano inammissibili perchè generiche e soprattutto tese ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle emergenze istruttorie, come però non è consentito in sede di legittimità, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Sez. 5, 04/08/2017 n. 19547; cfr., ex plurimis, Sez. U, 7931/2013; Cass. 962/2015 e n. 26860/2014).

3.3. Occorre inoltre considerare che le doglianze afferenti la mancata ammissione di mezzi istruttori o, come nel caso di specie, il mancato esercizio dei poteri officiosi, essendo sussumibili nell’ambito del vizio di motivazione, di cui debbono avere forma e sostanza (Cass. 16997/2002, 15633/2003), possono essere proposte solo ove abbiano determinato l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia – e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito – di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Sez. Lav. 251/2018; conf. Cass. 5377/2011, 4369/2009, 11457/2007); condizioni che invece non sono state rispettate nel secondo motivo.

4. Il terzo motivo integra una doglianza di “Nullità della sentenza e del procedimento, per avere il Giudice del reclamo omesso di attribuire alla rinuncia sostanziale al credito da parte di Leasys S.p.A. l’effetto di travolgere la sentenza dichiarativa di fallimento e causa del venire meno della legittimazione attiva dell’unica creditrice istante Leasys S.p.A. (cfr. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 6)”.

4.1. La censura è infondata, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte per cui “Nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento hanno rilievo esclusivamente i fatti esistenti al momento della sua decisione, e non quelli sopravvenuti, perchè la pronuncia di revoca del fallimento, cui il reclamo tende, presuppone l’acquisizione della prova che non sussistevano i presupposti per l’apertura della procedura alla stregua della situazione di fatto esistente al momento in cui essa venne aperta; ne discende che la rinuncia all’azione o desistenza del creditore istante, che sia intervenuta dopo la dichiarazione di fallimento, è irrilevante perchè al momento della decisione del tribunale sussisteva ancora la sua legittimazione all’azione” (Sez. 1 28/06/2017 n. 16180, Rv. 644766 – 01; conf. Sez. 6 – 1, 07/08/2017 n. 19682, Rv. 645472 – 01; Sez. 6 – 1, 05/05/2016 n. 8980, Rv. 639565 – 01).

5. Il quarto ed ultimo mezzo prospetta infine la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere il Giudice del reclamo omesso di revocare il fallimento pur in mancanza di superamento della soglia (di debiti scaduti e non pagati alla data del fallimento) di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 15, u.c., (cfr. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 5 e 15)”.

5.1. Anche questa censura è inammissibile, perchè integra una contestazione relativa all’accertamento di fatto, riservato al giudice del merito e non sindacabile in questa sede. E’ stato invero chiarito che il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sez. U., 10313/2006; Cass. 195/2016, 26110/2015, 8315/2013, 16698/2010, 7394/2010) e che le doglianze attinenti non tanto all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, quanto all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13238/2017, 26110/2015).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna alla rifusione delle spese, liquidate in dispositivo, in favore delle parti costituite.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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