Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27687 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27687 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 2643-2009 proposto da:
NERI MARCO quale legale rappresentante della CENTRO
METALLI SRL in LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio
dell’avvocato MACRI’ TERESINA TITINA, rappresentato e
difeso dall’avvocato AMATUCCI ARNALDO giusta delega a
2013

margine;
– ricorrente –

1851

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 11/12/2013

. STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI AREZZO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 86/2006 della COMM.TRIB.REG. di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/05/2013 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;
udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

FIRENZE, depositata il 21/01/2008;

RITENUTO IN FATTO
1. A seguito d’indagini della Guardia di finanza, sfociate nei processi
verbali di constatazione del 20 dicembre 1999 e del 4 luglio 2001,
l’Agenzia delle entrate contestava a Marco Neri, quale legale
rappresentante della Soc. Centro Metalli, svariate violazioni fiscali (Iva,
II.DD.) per gli anni d’imposta 1998 e 1999 e irrogava le relative
sanzioni.

organizzazione piramidale, che, mediante transazioni puramente
cartolari (senza versamento di Iva) tra vari simulacri di aziende
(cartiere), realizzava fittizi passaggi intermedi tra fornitori (esteri) di
metalli preziosi e il destinatario finale (Centro Metalli), che così
beneficiava di esenzioni e rimborsi indebiti e correlati a operazioni
inesistenti, con risparmi d’imposta.

2. La Soc. Centro Metalli adiva la CTP-Arezzo che rigettava il ricorso con
sentenza confermata in appello. La CTR-Toscana, premesso il contenuto
della decisione di prime cure, rigettava il gravame della parte privata
rilevando, sul primo motivo, l’irrilevanza dell’esistenza di contrastanti
pronunce di merito riguardo al modus operandi della Soc. Centro Metalli
e il rilievo probatorio della sentenza penale di patteggiamento
intervenuto sulla vicenda. Riguardo agli altri motivi confermava la
validità della motivazione per relationem dell’atto fiscale, ritenuta dal
primo giudice; inoltre, denunciava la novità della questione sul metodo
di accertamento e l’inammissibilità delle doglianze svolte senza specifico
riferimento alle rationes decidendi della sentenza di prime cure.

3. Marco Neri, quale legale rappresentante della Soc. Centro Metalli,
propone ricorso per cassazione, affidato a plurimi motivi illustrati anche
con memoria; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Con il primo motivo, denunciando violazione di norme processuali
(artt. 132 e 279 cod. proc. civ. in relazione all’art. 111 Cost.), la parte
ricorrente contesta che la sentenza d’appello possa affidare la narrazione
del fatto alla pedissequa trascrizione della decisione di prime cure.
Il mezzo è, invece, manifestamente infondato.

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Le indagini di polizia tributaria avevano portato alla luce una complessa

Infatti, l’eventuale difettosità dell’esposizione del fatto e dello
svolgimento del processo non spiega effetti invalidanti sulla sentenza,
quando questa risulti ugualmente idonea al raggiungimento del proprio
scopo, illustrando esaurientemente i tratti essenziali della lite, nonché gli
elementi considerati o presupposti nella decisione delle varie questioni.
(cfr. ex multis Sez. 2, Sentenza n. 426 del 22/01/1982, Rv. 418124).
Nella specie il requisito dell’esposizione dei fatti di causa può ritenersi

sentenza d’appello sì da costituirne parte integrante, dovendo così
ritenersi realizzato lo scopo della norma, che è quello di permettere la
conoscenza della vicenda processuale e delle questioni dibattute nei suoi
termini essenziali.

5. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art.360 n.5 cod.
proc. civ. in relazione all’art. 111 Cost., la parte ricorrente censura la
sentenza d’appello per omessa motivazione, attesa l’immotivata
adesione del giudice di secondo grado alla decisione di prime cure.
Il rilievo non è fondato.
Infatti, la motivazione della sentenza del giudice di appello che contenga
espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le
argomentazioni in punto di diritto, è da ritenersi legittima tutte le volte
in cui il giudice del gravame, sia pur sinteticamente, fornisca,
comunque, una risposta alle censure formulate, nell’atto d’impugnazione
e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e
corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione
della parte motiva delle due sentenze. (Sez. 2, Sentenza n. 3636 del
16/02/2007, Rv. 595366).
Nella specie, da un lato, la parte ricorrente non specifica quale sia il
fatto decisivo e controverso sul quale (per effetto di rinvio adesivo alla
decisione di prime cure) la motivazione d’appello sarebbe mancante;
dall’altro, la sua doglianza è smentita dal tenore stesso della sentenza
che si diffonde sul tema dal patteggiamento, censura d’inammissibilità
(per novità, difetto di afferenza, mancanza di specificità) gran parte
degli altri motivi e presta adesione alla pronunzia della CTP riguardo al
difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Su quest’ultimo punto è chiaro il rinvio del giudice di merito sia a
consolidati principi in tema di legittima motivazione per relationem ad
elementi extratestuali conosciuti o conoscibili, sia alla giurisprudenza di

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osservato, atteso che la decisione impugnata è incorporata nella

questa Corte sul punto, sia al fatto che «la parte ricorrente ha
sottoscritto il verbale della Guardia di Finanza cui è fatto rinvio e ne ha
avuto copia».
Elementi tutti che, dettagliatamente esposti nella sentenza della CTP,
ratio decidendi finale attraverso

garantiscono l’individuazione della

l’integrazione (anche materiale) della parte motiva delle due sentenze.

241/90 e 10 dello Statuto del contribuente nonché correlato vizio
motivazionale, la parte ricorrente sostiene, con riferimento ai verbali
della Guardia di finanza, che il principio della conoscenza effettiva in
capo al contribuente della motivazione dell’atto del fisco trova la sua
compiuta realizzazione solo se i documenti ivi richiamati siano allegati
materialmente all’atto stesso ovvero trascritti nel corpo del medesimo.
Il motivo non è fondato.
Infatti, riguardo al provvedimento amministrativo d’imposizione
tributaria, la motivazione che rinvii alle conclusioni contenute in atti
redatti nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, già noti al
contribuente, non è illegittima, indicando semplicemente che l’Ufficio
procedente ha inteso realizzare un’economia di scrittura, la quale non
arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.
(Sez. 5, Sentenza n. 4523 del 21/03/2012, Rv. 622113) .
Nella specie, con incensurabile accertamento di fatto, il giudice d’appello
ha appurato che «la parte ricorrente ha sottoscritto il verbale della
Guardia di Finanza cui è fatto rinvio e ne ha avuto copia».

7. Con il quarto motivo, denunciando violazione del’art.2697 cod. civ., la
parte ricorrente assume di aver «…dimostrato documentalmente
l’esistenza delle negoziazioni con una società terza attraverso la
produzione di fatture e la corresponsione dei relativi pagamenti”;
pertanto lamenta che il giudice d’appello abbia trascurato che spettava
al fisco di «…provare adeguatamente l’esistenza di una trama truffaldina
di origine internazionale e l’iscrivibilità all’interno di essa delle operazioni
negoziali riferibili alla ricorrente».
Il motivo, per come’è formulato, non coglie nel segno atteso che la CTR
conclude per l’inammissibilità dei tre motivi «sul merito della pendenza
tributaria», «sulla prova dell’inesistenza delle operazioni contestate» e
sull’utilizzo delle presunzioni a catena, rilevando che il gravame non

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6. Con il terzo mezzo, denunciando violazione degli articoli 3 della legge

consentisse di comprendere a quale passo della sentenza di prime cure i
tre mezzi si riferissero e censurasse non la sentenza impugnata ma «le
scelte dell’Ufficio».
Si aggiunga che nel motivo di ricorso, ai fini del corretto riparto
probatorio, la parte contribuente si duole, in sostanza, dell’omessa o
erronea valutazione da parte del giudice del merito dei documenti
addotti a riprova della veridicità delle operazioni, ma non ha neppure

documenti stessi e di fornire a questa Corte elementi sicuri per
consentirne il reperimento negli atti processuali (Sez. L, Sentenza n.
17168 del 09/10/2012, Rv. 624345; v. Sez. U, Sentenza n. 5698 del
11/04/2012, in motivazione).
Infine, si osserva che, a seguito d’insindacabile accertamento di fatto
contenuto nella sentenza di prime cure e riportato nella sentenza
d’appello, risulta che «agli atti vi è prova documentale della frode» e che
essa si rinviene «nella catena delle fatture false emessa alle e dalle
società fantasma che sono state interposte tra l’originale e reale
venditore (la ditta inglese Johnson Mattey) e la srl Centro Metalli»,
società che «erano pure finzioni commerciali, i cui amministratori erano
soggetti che nulla avevano a che fare con l’imprenditoria e che si
guardavano bene dal versare VIVA» (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 23560 del
20/12/2012, Rv. 624737).

8. Con il quinto motivo, denunciando violazione degli articoli 444 cod.
proc. pen. e 2697 cod. civ. e correlato vizio motivazionale, la parte
ricorrente si duole del rilievo immotivatamente dato dal giudice d’appello
alla sentenza penale di patteggiamento, che invece non consentiva di
ricavare ammissioni di responsabilità ai fini fiscali.
Il motivo non è fondato.
Infatti, la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod.
proc. pen. (cosiddetto patteggiamento) costituisce indiscutibile elemento
di prova per il giudice tributario di merito il quale, ove intenda
disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni
per cui sia stata ammessa una insussistente responsabilità e il giudice
penale abbia prestato fede a tale ammissione. (Sez. 5, Sentenza n.
24587 del 03/12/2010, Rv. 615119). Pertanto l’applicazione di pena
patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna,
presuppone pur sempre un’ammissione di colpevolezza ed esonera la

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assolto l’onere minimo d’indicare nel ricorso il contenuto rilevante dei

controparte dall’onere della prova (Sez. U, Sentenza n. 17289 del
31/07/2006, Rv. 591413).
In tale prospettiva non vale invocare la circostanza che, per effetto del
patteggiamento, fosse stato possibile ottenere il dissequestro di 2,5
tonnellate di argento del valore di 700 mila euro ed effettuarne la
vendita per il pagamento di debiti pregressi, atteso che detta circostanza
non ha significato univocamente decisivo, anche alla luce del controllo

9. Con il sesto motivo, denunciando violazione dell’art.2697 cod. civ. e
correlato vizio motivazionale, la parte ricorrente censura la sentenza
d’appello nella parte in cui si limita a trascrivere anche l’affermazione
della decisione di prime cure secondo cui «il ricarico del 2% attribuito
dall’Ufficio per il calcolo del maggior reddito evaso è del tutto congruo
con riguardo alle condizioni del mercato dell’epoca». Lamenta, quindi,
che «la sentenza di appello non spende parola alcuna sull’argomento,
nemmeno per affermare la sua adesione alla pronuncia di primo grado
sul punto specifico» e, nonostante espressa censura nel secondo motivo
di appello, trascura che la contestazione della parte appellante si
estendeva anche alla scelta del fixing, utilizzato per la quantificazione
dell’importo dell’evasione.
Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, si risolve nella denunzia di omessa pronunzia su motivo di
appello. Ciò integra un difetto di attività del giudice di merito che può
essere fatto valere dinanzi a questa Corte solo attraverso la deduzione
del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. (art. 360, n. 4 cod. proc. civ.), non già con la denuncia della
violazione di una norma di diritto sostanziale sull’onere della prova come
(l’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art.360 n.3 cod. proc. civ.) o del
vizio di motivazione (art. 360, n. 5 cod. proc. civ.) e neppure per
motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito.
(Sez. 5, Sentenza n. 7871 del 18/05/2012, Rv. 622908; Sez. 3,
Sentenza n. 12952 del 04/06/2007, Rv. 597585).

10. Nel concludere – e per mera completezza espositiva – va chiarito che
esula completamente dalla cognizione di questa Corte lo

ius

superveniens costituito dal decreto legge di semplificazione fiscale
(16/2012), che all’art. 8 detta regole e limiti per la deducibilità dei costi

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demandato al giudice penale.

delle operazioni soggettivamente inesistenti (cfr. Sez. 5, Sentenza n.
10167 del 20/06/2012, Rv. 623098; v. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5342 del
04/03/2013, Rv. 625406), posto che i principi del processo per
cassazione impediscono di rilevare d’ufficio regole di giudizio afferenti a
profili non investiti, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e
concernenti questioni non sottoposte al giudice di legittimità. (Sez. 5,
Sentenza n. 10547 del 08/05/2006, Rv. 591040; v. Sez. L, Sentenza n.

11. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza
della parte ricorrente e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del
presente giudizio di legittimità, liquidate in C 21.000 per compensi, oltre
alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.

16642 del 01/10/2012, Rv. 624215).

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