Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27686 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. I, 29/10/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 29/10/2019), n.27686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 28922/2018 proposto da:

P.J., elettivamente domiciliata in Roma Piazza San Salvatore

In Campo 33, presso lo studio dell’avvocato Muccio Nicolina

Giuseppina rappresentata e difesa dall’avvocato Nappi Noemi;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il

riconoscimento Protezione Internazionale di Firenze;

– intimato –

avverso la sentenza n. 418/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 19/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/06/2019 dal Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Con ordinanza del 22 febbraio 2017, il Tribunale di Firenze ha respinto il ricorso presentato da P.J., di provenienza nigeriana (regione Ondo State), avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Firenze di diniego di riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria), come pure di quello di riconoscimento della protezione umanitaria. Proposta impugnazione nei confronti di questa ordinanza, la Corte di Appello di Firenze la ha respinta, con sentenza depositata il 19 febbraio 2018.

2.- Con riferimento al diritto di rifugio, la Corte territoriale ha rilevato che l'”appellante non è stata perseguitata in Patria per ragioni attinenti alla razza, alla religione, alla nazionalità, al gruppo sociale di appartenenza o alle opinioni politiche, anzi situazioni del genere non sono state nemmeno delineate dalla P.”.

“Nella prospettiva della protezione sussidiaria” – ha proseguito il giudice – i requisiti previsti sub A e B del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sono stati lasciati nel generico, “mentre la situazione ipotizzata sub C viene riconnessa a vicende private, rappresentate da comportamento dello zio che “quando ho partorito a 16 anni, mi ha detto di sposarmi altrimenti non mi avrebbe aiutato. Mi ha presentato un anziano e poi un’altra persona”. Ora, la “minaccia” dello zio non giustifica la protezione sussidiaria, anche perchè l’appellante ha ormai 23 anni e lo zio chissà quanti, comunque l’ordinamento nigeriano è in grado di offrire protezione da una situazione del genere, in ogni caso il supposto pericolo non deriva da condizioni di violenza indiscriminata in atto nel Paese”.

Riguardo alla protezione umanitaria, il giudice ha affermato che “nel caso dell’appellante non emerge alcuna particolare condizione di debolezza (ad esempio nella salute o nella capacità lavorativa)”, “sicchè non si ravvisano valide ragioni per autorizzare la permanenza nel territorio dello Stato italiano”.

3.- Avverso la pronuncia della Corte fiorentina ricorre P.J., affidandosi a tre motivi di cassazione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensive nel presente grado del giudizio.

4.- La ricorrente censura la decisione della Corte di Appello: (i) col primo motivo, per violazione di legge, essendosi la sentenza impugnata “sottratta totalmente al dovere di cooperazione istruttoria”, in quanto ha ritenuto, con riferimento al diritto di rifugio, di “non vedere quale sforzo istruttorio avrebbe dovuto compiere il giudice per ravvisare presupposti di tutt’altro genere nemmeno allegati dall’interessato”; (ii) col secondo motivo, per violazione di legge, avendo la sentenza errato nel negare il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonostante la fattispecie concreta integri un caso di “matrimonio forzato”, quale rientrante nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b); (iii) col terzo motivo, per violazione di legge, per non avere la sentenza preso in considerazione le più situazioni di vulnerabilità proposte dal caso concreto.

L’insieme dei motivi, che sono stati presentati, mette in particolare rilievo la tematica del c.d. matrimonio forzato. La ricorrente ne afferma senz’altro la sussistenza, richiamando in particolare le pressioni poste in atto dallo “zio”, specie allorquando ella, in giovane età, ebbe a partorire.

5.- Questa Corte ha già affrontato, in relazione alla materia della protezione internazionale, il delicatissimo tema del c.d. “matrimonio forzato”.

In particolare, la sentenza di Cass., 24 novembre 2017, n. 28152 ha ritenuto che le situazioni riconducibili alla pratica di “matrimonio forzato” rientrino “nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, essendo presupposto per il riconoscimento dello status di rifugiato il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel Paese di origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza a un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate”. “La persona, nei cui confronti si intende imporre un “matrimonio forzato”, risulta “vittima di una persecuzione personale e diretta per l’appartenenza a un gruppo sociale (ovvero in quanto donna), nella forma di “atti specificamente diretti contro un genere sessuale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. f.). Invero, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c, “responsabili della persecuzione possono essere soggetti non statuali””.

Diversamente, la pronuncia di Cass. 12 dicembre 2016, n. 25463 ha ritenuto di inquadrare la fattispecie del matrimonio forzato nel ceppo della protezione sussidiaria. “La Corte di appello non ha valutato” si è scritto – “se la pratica del matrimonio forzato costituisca una realtà sociale accettata nel paese di provenienza della ricorrente, nè ha valutato comunque che, in tema di protezione sussidiaria, la costrizione a un matrimonio non voluto costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato”. La Corte di appello ha tenuto in considerazione “la giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che agenti del danno grave siano soggetti privati qualora nel Paese di origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli un’adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese”.

Ora, di là dalla diversa lettura regolamentare poi divisata, in entrambi i casi la Corte ha ritenuto la sussistenza della fattispecie tipo del “matrimonio forzato” essendosi trovata di fronte a delle situazioni di specifica “costrizione” a contrarre un matrimonio non voluto (la pronuncia di Cass. n. 28152/2017 riferisce, così, di “regole consuetudinarie del villaggio”, in base alle quali la richiedente si vedeva costretta a subire la “persecuzione da parte del cognato, il quale la “rivendicava” per averla come sposa”).

Nel caso qui concretamente in esame, tuttavia, la ricorrente secondo l’insindacabile accertamento effettuato dalla Corte del merito – si è trovata di fronte a pressioni che, seppur reiterate, non hanno raggiunto il livello della vera e propria costrizione, di tratto sociale o anche solo familiare (nei termini sostanziali della violenza compulsiva ovvero psichica).

Ciò non toglie, naturalmente, che le pressioni in fatto subite siano venute a comportare forti disagi e sofferenze nella persona della ricorrente; che abbiano, così, inciso sulla sua facoltà di autodeterminazione e sulla dignità personale, ponendola anzi a una situazione di peculiare vulnerabilità: tale, in particolare, da integrare gli estremi dei “seri motivi di carattere umanitario” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Rilevato, in proposito, che è pendente avanti alle Sezioni Unite di questa Corte la questione relativa all’eventuale applicazione della normativa introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, come convertito con L. n. 132 del 2018, nei confronti delle posizioni il cui accertamento in giudizio era già in corso all’entrata in vigore della normativa medesima (con peculiare riferimento alle domande di protezione umanitaria), il Collegio ritiene che il presente ricorso debba essere rinviato a nuovo ruolo in attesa della definizione della detta questione da parte delle Sezioni Unite.

P.Q.M.

Rinvia la controversia a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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