Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27683 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. un., 29/10/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 29/10/2019), n.27683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6682-2019 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro

T.S., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– intimati –

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROPERZIO 5,

presso lo studio dell’avvocato Mario Cicala, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente successivo –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI

CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 211/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/09/2019 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

S.F., che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

uditi gli avvocati Davide Di Giorgio per l’Avvocatura Generale dello

Stato e Mario Cicala.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 21/4/2017 il Ministro della Giustizia promuoveva azione disciplinare nei confronti del dott. T.S., all’epoca dei fatti presidente di sezione penale presso il Tribunale di Arezzo, contestando al magistrato una pluralità di fatti concretanti la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. b), d), e), g), o), q), n) e s).

Con la sentenza qui impugnata la sezione disciplinare del CSM ha assolto il Dott. T. da alcune delle incolpazioni perchè l’illecito di disciplinare non era configurabile essendo i fatti di scarsa rilevanza e dalle altre incolpazioni per essere rimasti esclusi gli addebiti.

A) In particolare, per quel che qui ancora rileva,la Sezione disciplinare ha escluso la violazione della regola del ne bis in idem con riferimento ai capi A.d), A.e), A.f), riguardanti questioni attinenti alla direzione della sezione del Tribunale di Arezzo affidata al Dott. T.. L’eccezione muoveva dal rilievo che, non essendosi il Ministro opposto al provvedimento di archiviazione disposta dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione in relazione a due procedimenti disciplinari riuniti aperti in precedenza, questo avrebbe prodotto in via definitiva i suoi effetti, ed il fatto de quo non avrebbe potuto più essere oggetto di indagine disciplinare. La Sezione disciplinare ha osservato a riguardo che il provvedimento di archiviazione era pervenuto al Ministero della Giustizia il 4 maggio 2017, allorchè il Ministro aveva già promosso, il 21 aprile, l’azione disciplinare, anche per quei fatti e non aveva, pertanto, l’onere di proporre opposizione al sopravvenuto provvedimento con la conseguenza che il provvedimento di archiviazione era destinato a non produrre effetti in ragione dell’esercizio del potere di iniziativa concorrente del Ministro, esercitato, come chiarito, prima di aver ricevuto comunicazione del provvedimento del Procuratore Generale.

b)Con riferimento ai capi di incolpazione consistenti nel grave ritardo nell’adozione dei provvedimenti di riassegnazione in base a criteri predeterminati, a seguito del trasferimento di due colleghe, di procedimenti chiamati ad udienze monocratiche; nella mancata vigilanza sull’andamento della cancelleria penale al fine di provvedere alla riduzione dell’arretrato relativo agli adempimenti post dibattimentali ed a quelli riguardanti i procedimenti di esecuzione; nell’affidamento di incombenze proprie del presidente della sezione al giudice anziano; nella indebita assegnazione ad altri magistrati della sezione di processi che per tabella erano del Presidente di sezione, la Sezione disciplinare ha ritenuto che i fatti contestati, pur sussistenti, erano, tuttavia, suscettibili di ridimensionamento quanto al disvalore deontologico che li connotava rendendosi applicabile l’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis.

c) Riguardo al capo di incolpazione consistente nell’aver omesso di rendere la comunicazione di possibile situazione di incompatibilità ex art. 18 Ord Giud. derivante dall’esercizio della professione forense da parte del figlio del magistrato presso lo studio dell’avv. M. del Foro di Firenze, professionista che svolgeva la sua attività anche in Arezzo, la Sezione disciplinare, premesso che l’obbligo della predetta comunicazione sorgeva per il solo fatto dell’esistenza di un rapporto di parentela fino al secondo grado, di affinità in primo grado, o di convivenza o coniugio con un professionista iscritto, anche praticante avvocato o avvocato iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo, da effettuarsi nel termine di sessanta giorni, ha osservato che nella specie, come rilevato dal P.G. di udienza, la brevità del periodo di attività svolta dal figlio del Dott. T. presso lo studio dell’avv. M., la sporadicità della stessa, l’immediata astensione dello stesso Dott. T. al sopravvenire di una situazione di incompatibilità concreta, la esiguità del ritardo nell’effettuare la comunicazione prescritta, inducevano all’applicazione della esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso davanti a queste Sezioni Unite sia il dott. T. con tre motivi, di cui il terzo posto in via subordinata, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., sia il Ministero della Giustizia con tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il Dott. T. denuncia con il primo motivo errata interpretazione ed applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 16, comma 5 bis per non aver preso atto che il dott. T. non poteva essere ulteriormente sottoposto a valutazione disciplinare per i medesimi fatti per i quali era stata già chiesta l’archiviazione,essendo al momento della celebrazione dell’udienza disciplinare davanti al CSM divenuto definitivo detto provvedimento di archiviazione.

Il motivo è infondato. La Sezione disciplinare ha accertato in fatto che il provvedimento di archiviazione era pervenuto al Ministero della Giustizia il 4 maggio 2017, allorchè il Ministro aveva già promosso, il 21 aprile, l’azione disciplinare, anche per quei fatti.

Non si ravvisa alcun onere del Ministero di impugnare il provvedimento di archiviazione avendo già chiaramente manifestato la volontà di voler procedere con l’azione disciplinare; ogni diversa conclusione prospettata dal ricorrente,circa la necessità di proporre anche in tal caso l’opposizione dopo la notifica del provvedimento di archiviazione, si risolve in un’ inutile e formalistica ripetizione da parte del Ministero della volontà già manifestata, non idonea a costituire preclusione all’esercizio dell’azione la quale, invece, trova ostacolo solo in caso di avvenuta pronuncia,sui medesimi fatti, di una sentenza definitiva.

4.Con il secondo motivo il Dott. T. denuncia violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, Lett. B) in relazione alla mancata tempestiva segnalazione della presunta incompatibilità, nonchè vizio di motivazione.

Osserva che la legge prevede, ove il congiunto sia iscritto in sede diversa rispetto a quella di lavoro del magistrato, un illecito di danno che sussiste solo in caso di omessa segnalazione di una situazione di effettiva incompatibilità.

In via subordinata al motivo rileva che la sentenza era contraddittoria per aver ritenuto censurabile la condotta del magistrato sebbene la stessa sentenza avesse riconosciuto che il figlio del T. avesse operato presso lo studio del professionista avv M. solo per un breve periodo e sporadicamente.

5. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente al primo motivo del ricorso proposto dal Ministero, con il quale quest’ultimo ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 12, lett. B) e dell’art. 3 bis nonchè vizio di motivazione per avere la sezione disciplinare ritenuto applicabile l’esimente dell’art. 3 bis citato.

I motivi, congiuntamente esaminati, sono infondati.

Il dato inconfutabile è che l’incolpato ha omesso di rendere la dichiarazione di cui al punto 44 della Circolare del CSM del 25/5/2007 e succ. modifiche non segnalando la possibile situazione di incompatibilità ex art. 18 Ord. Giud. derivante dall’esercizio della professione forense da parte del figlio presso lo studio dell’avv. M. del foro di Firenze che svolgeva la sua attività anche in Arezzo.

L’obbligo, come sottolineato dalla Sezione disciplinare,sorge per il solo fatto dell’esistenza di un rapporto di parentela fino al secondo grado, di affinità in primo grado, o di convivenza o coniugio con un professionista iscritto, anche praticante avvocato o avvocato iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo, quale che sia l’ufficio giudiziario del distretto di appartenenza del magistrato davanti al quale svolgono la professione, da effettuarsi nel termine di sessanta giorni dalla verificazione dell’evento.

Le ragioni della sancita incompatibilità – e della necessità della sua segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura – stanno nella necessità di tutelare la correttezza e l’imparzialità dell’attività giudiziaria il cui esercizio, anche solo a livello di immagine, potrebbe essere leso dalla esistenza di legami affettivi o di parentela tra magistrati e avvocati.

Quanto all’esimente dell’art. 3 bis citato queste Sezioni Unite hanno già ripetutamente affermato (confronta SU n. 6327/2012; n. 14665/2011; n. 11343/2013) che detta esimente, secondo la quale l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione e sia per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 medesimo Decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, e impone al giudice di procedere ad una valutazione di ufficio, sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata, anche riferibili al comportamento dell’incolpato, purchè strettamente attinenti allo stesso. La sussistenza dell’illecito va riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto effettuato ex post.

Nella fattispecie in esame la Sezione disciplinare è pervenuta alla statuizione censurata rilevando che il termine intercorso tra la dichiarazione di incompatibilità e la scadenza del termine entro il quale avrebbe dovuto essere eseguita era esiguo e che, nel periodo in contestazione, l’attività professionale presso lo studio M. del figlio del ricorrente, iscritto all’albo degli avvocati di Firenze, era stata breve e sporadica.

La sentenza impugnata ha adeguatamente motivato e compiutamente esaminato i fatti e per costante insegnamento giurisprudenziale, i vizi di omessa e di insufficiente motivazione ricorrono soltanto in presenza di argomentazioni da cui non sia possibile desumere la ratio decidendi sottesa alla decisione ovvero qualora risultino carenti od omessi l’esame e la valutazione di elementi di rilievo tale che, ove fossero stati opportunamente considerati, la decisione sarebbe stata necessariamente diversa. Il vizio di contraddittorietà è denunciabile nella sola ipotesi in cui nel tessuto motivazionale del provvedimento siano ravvisabili affermazioni tra loro così contrastanti da rendere ancora una volta indecifrabile la ratio decidendi.

Nella specie non è presente nessuna delle situazioni sopra rappresentate con la conseguenza che le censure ora esaminate sono infondate.

6. Con il secondo motivo il Ministero denuncia violazione dell’art. 2, comma 1, lett. G), O) e Q) e dell’art. 3 bis nonchè vizio di motivazione con riferimento ai fatti relativi al grave ritardo nell’adozione dei provvedimenti di rassegnazione, in base a criteri predeterminati, a seguito del trasferimento di due colleghe, di procedimenti chiamati ad udienze monocratiche; alla mancata vigilanza sull’andamento della cancelleria penale al fine di provvedere alla riduzione dell’arretrato relativo agli adempimenti postdibattimentali ed a quelli riguardanti i procedimenti di esecuzione; all’affidamento di incombenze proprie del presidente della sezione al giudice anziano, Dott. F..

Osserva che la Sezione disciplinare, dopo aver sottolineato l’ingiustificabile e grave ritardo nella riassegnazione dei processi e solo a seguito di reiterate sollecitazioni, in modo contraddittorio era pervenuta ad assolvere il T.. Analoghe osservazioni dovevano valere per gli altri due fatti basati il primo sull’inesistenza di disdoro dell’immagine della magistratura ed il terzo sull’assenza di risonanza esterna, circostanze ultronee e senza alcuna valutazione dell’incidenza sull’efficienza dell’ufficio.

7.Con il terzo motivo il Ministero denuncia violazione dell’art. 2, comma 1, lett. 0) e S) e dell’art. 3 bis nonchè vizio di motivazione.

Deduce, con riferimento alla riassegnazione ad altri magistrati della sezione di 215 procedimenti penali, i quali per tabella erano del Presidente di sezione, che la sentenza era contraddittoria in quanto la norma poneva un dovere specifico imposto ai presidenti di partecipare alla distribuzione del carico di lavoro e che, dunque, risultava grave la condotta del T. di ridistribuire ai colleghi, già oberati, parte dei processi a lui spettanti,senza aver svolto indagini anche di carattere comparativo con i ruoli degli altri giudici e la valutazione in concreto ai fini della corretta applicazione dell’art. 3 bis.

8.I motivi, congiuntamente esaminati, sono infondati.

Anche con riferimento a detti motivi deve ribadirsi quanto già esposto al punto 5 in relazione alla congruità della motivazione ed all’applicabilità dell’art. 3 bis. Le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata sono esaurienti e perfettamente idonee a spiegare l’iter logico giuridico seguito dal giudice disciplinare che ha valutato, ai fini dell’applicazione dell’esimente, la non configurabilità di un “vulnus alla credibilità professionale dell’incolpato ed al prestigio della magistratura “, nonchè la mancanza di dati specifici ai fini della valutazione dell’impegno lavorativo del dott. T..

9.Per considerazioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati con spese compensate.

P.Q.M.

Rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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