Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2768 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 06/02/2020), n.2768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27713 – 2018 R.G. proposto da:

G.E. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa in virtù di

procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Michele Manfrini

ed elettivamente domiciliata in Roma, al viale Regina Margherita, n.

1, presso lo studio dell’avvocato Serena Leone.

– ricorrente –

contro

GA.AN. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale in calce al controricorso dall’avvocato Antonio

Viscomi ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via della

Giuliana, n. 91, presso lo studio dell’avvocato Anna Pensiero.

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Catanzaro n. 1474/2018;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 12 settembre

2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al tribunale di Catanzaro l’architetto Ga.An. esponeva che era creditore di G.E., a titolo di compensi professionali insoluti, per la somma di Euro 8.651,43, oltre interessi.

Chiedeva ingiungersene a controparte il pagamento.

Con decreto n. 278/2005 il tribunale pronunciava l’ingiunzione.

2. Con citazione notificata l’1.7.2005 la G. proponeva opposizione. Eccepiva pregiudizialmente l’incompetenza per territorio del tribunale di Catanzaro e la competenza ratione loci del tribunale di Ferrara.

Deduceva inoltre che non aveva conferito alcun incarico al ricorrente.

Instava per la revoca dell’opposta ingiunzione.

Resisteva Ga.An..

2.1. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 2601/2013 l’adito tribunale accoglieva in parte l’opposizione, revocava l’ingiunzione e condannava l’opponente a pagare all’opposto il minor importo di Euro 6.438,01, oltre accessori e spese di lite.

3. Proponeva appello G.E..

Resisteva Ga.An.; proponeva appello incidentale.

3.1. Con sentenza n. 1474/2018 la corte d’appello di Catanzaro rigettava il gravame principale, rigettava il gravame incidentale, confermava la statuizione impugnata e compensava integralmente le spese del grado.

Evidenziava la corte che, in assenza di elementi probatori di segno contrario, doveva ritenersi che l’architetto Ga. avesse avuto notizia presso la sua residenza, ubicata nel circondario del tribunale di Catanzaro, dell’accettazione della sua proposta contrattuale da parte della G.; che di conseguenza l’azione monitoria era stata ritualmente incardinata ai sensi dell’art. 20 c.p.c. dinanzi al giudice del luogo in cui il contratto si era perfezionato e l’obbligazione era insorta.

Evidenziava d’altro canto che il rapporto professionale doveva reputarsi provato alla stregua delle sottoscrizioni apposte dalla principale appellante in calce a taluni documenti – tra cui la denunzia di inizio attività – predisposti dall’architetto Ga., sottoscrizioni dalla G. riconosciute come autografe.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso G.E.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Ga.An. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

5. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in Camera di consiglio.

La ricorrente ha depositato memoria.

6. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, la violazione e falsa applicazione degli artt. 18,20 e 38 c.p.c. nonchè degli artt. 1182,1326 e 2697 c.c..

Deduce che ha errato la corte di merito a ritenere territorialmente competente il tribunale di Catanzaro e a ritenere che “l’eccezione d’incompetenza non sia stata ritualmente sollevata” (così ricorso, pag. 8).

7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Si è debitamente premesso che la corte distrettuale, in ordine al foro alternativo del “luogo in cui è sorta l’obbligazione”, ha in ogni caso – ovvero a prescindere da qualsivoglia quaestio in ordine alla rituale proposizione dell’eccezione – dato conto in modo compiuto (cfr. sentenza d’appello, pag. 6) dell’iter che che ha condotto alla stipulazione del contratto, segnatamente dell’iter che ha condotto al perfezionamento del vincolo contrattuale, fonte genetica dell’obbligazione, presso la residenza dell’architetto Ga..

A tal uopo la corte territoriale ha ragionevolmente, ancorchè in via presuntiva, atteso al vaglio delle complessive risultanze processuali (tra cui, appunto, il luogo di residenza dell’architetto Ga.An.), sicchè non riveste peculiare valenza la circostanza (cfr. memoria, pag. 2) che ad esser precipuamente onerato in via probatoria fosse l’iniziale opposto (cfr. Cass. 17.12.1999, n. 14236, secondo cui nelle cause relative a diritti di obbligazione, qualora la domanda venga proposta davanti a giudice diverso da quello del foro generale di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c., ed il convenuto ugualmente contesti la competenza di tale giudice anche secondo gli alternativi criteri di collegamento contemplati dall’art. 20 c.p.c. (“forum contractus” e “forum destinatae solutionis”), la competenza stessa può essere affermata solo quando, alla stregua delle prove fornite dall’attore o, in difetto, alla stregua degli atti, risultino le circostanze che consentono, in applicazione del cit. art. 20, di radicare la causa presso il giudice prescelto dall’attore. Cfr. Cass. (ord.) 12.7.2011, n. 15348, secondo cui l’eccezione d’incompetenza territoriale da parte del convenuto va decisa sulla base delle risultanze processuali disponibili).

A fronte della puntuale ricostruzione dell’iter culminato nel perfezionamento del contratto e della ragionevole valutazione che la corte catanzarese ne ha operato, la contestazione della ricorrente si risolve, sic et simpliciter, nella prospettazione secondo cui “ha specificamente contestato la competenza anche con riferimento al “forum contractus” (…) (adducendo che) nessun contratto era stato concluso” (così ricorso, pag. 10) e nell’ulteriore prospettazione – per giunta deficitaria in rapporto all’onere dell'”autosufficienza” – secondo cui la corte di Catanzaro avrebbe confuso la denuncia di inizio attività “con una proposta di conclusione del contratto, della quale però non aveva nè il contenuto nè le caratteristiche” (così ricorso, pag. 11).

Evidentemente si tratta di prospettazioni della cui infondatezza la corte calabrese ha dato ineccepibilmente e congruamente conto in sede di disamina del secondo motivo dell’appello principale spiegato da G.E..

Il primo motivo di ricorso quindi si sostanzia nella generica reiterazione di argomentazioni compiutamente disattese, viepiù che nulla osta a che la “denuncia di inizio attività” veicolasse, quanto meno implicitamente, la volontà del committente di accettare la proposta contrattuale proveniente dal professionista – proponente.

In conclusione in nessun modo si giustifica l’assunto della ricorrente secondo cui “l’affermazione della competenza del Tribunale di Catanzaro (…) risulta essere arbitraria ed illegittima” (così memoria, pag. 3).

8. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1326,2230 e 2697 c.c..

Deduce che non vi è prova del conferimento dell’incarico; che a tale scopo non può soccorrere la sottoscrizione da ella apposta in calce alla denuncia di inizio attività; che del resto i contatti con l’architetto Ga. sono stati tenuti dai suoi genitori.

9. Il secondo motivo di ricorso del pari è inammissibile.

9.1. Si premette che il secondo mezzo si qualifica in via esclusiva in rapporto al dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con il motivo in disamina la ricorrente censura il “giudizio di fatto” cui la corte d’appello ha atteso ai fini del riscontro della stipulazione del contratto intercorso tra le parti in lite (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Cosicchè i vizi che il mezzo de quo agitur veicola, sono da valutare alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

9.2. In quest’ottica si osserva quanto segue.

Per un verso è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite summenzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

Per altro verso la corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero l’an della stipulazione del contratto d’opera professionale.

9.3. D’altronde la ricorrente assume erronea la valutazione delle risultanze istruttorie (“la sottoscrizione della ricorrente sulla denuncia di inizio attività non è una prova del conferimento dell’incarico e neppure un elemento indiziario”: così memoria, pag. 6).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

9.4. Nei termini esposti dunque il secondo motivo di ricorso è inammissibile perchè propriamente fuoriesce dalla “griglia” delle ragioni di censura che a norma del novello disposto dell’art. 360 c.p.c. fondano il diritto soggettivo alla sollecitazione di questo Giudice della legittimità.

10. In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente, G.E., a rimborsare al controricorrente, Ga.An., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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