Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2768 del 06/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 2768 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA
sul ricorso 11921-2010 proposto da:
LCC ITALIA S.R.L. 13012790153, in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio
dell’avvocato CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FOSSATI CARLO, giusta
2012

delega in atti;
– ricorrente –

4259
contro

PASTORE DONATO GIUSEPPE PSTDTG71L24H703S;
– intimato –

Data pubblicazione: 06/02/2013

Nonché da:
PASTORE

DONATO

GIUSEPPE

PSTDTG71L24H703S,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE
76,

presso

FRANCESCA,

lo

studio

rappresentato

dell’avvocato
e

difeso

INFASCELLI
dall’avvocato

controricorrente e ricorrente incidentale contro

LCC ITALIA S.R.L. 13012790153, in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio
dell’avvocato CICCOTTI ENRICO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FOSSATI CARLO, giusta
delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 267/2010 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 15/04/2010 R.G.N. 190/2009:
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

12/12/2012

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato CICCOTTI ENRICO;
udito l’Avvocato BARTALOTTA STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale, accoglimento
dell’incidentale.

BARTALOTTA STEFANO, giusta delega in atti;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Pastore Donato Giuseppe convenne in giudizio la ex datrice di lavoro
LCC Italia srl e, lamentando un pregresso demansionannento,

licenziamento intimatogli il 5.5.2005 in esito a procedura collettiva di
mobilità, chiese il risarcimento dei danni asseritamene patiti, la
riliquidazione del TFR e la declaratoria dell’illegittimità del recesso,
con conseguente applicazione della tutela reale.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della parte datoriale, il
Giudice adito respinse le domande.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 23.3 – 5.4.2010,
accogliendo per quanto di ragione il gravame del lavoratore e in
parziale riforma della pronuncia di prime cure, accertò l’illegittimità
del licenziamento; condannò la parte datoriale alla reintegrazione nel
posto di lavoro ed al risarcimento del danno, liquidato in un’indennità
pari alle retribuzioni mensili (euro 4.826,06) maturate dal gennaio
2007 sino alla reintegrazione; confermò la decisione di rigetto delle
altre domande svolte in primo grado; compensò le spese dei due
gradi nella misura della metà e condannò l’appellata alla rifusione
della metà residua, liquidata in complessivi euro 5.000,00 oltre Iva e
Cpa.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente
rileva, la Corte territoriale osservò quanto segue:
– spettava alla Società, anche secondo il generale criterio di
ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito dell’inadempimento

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l’erronea liquidazione del TFR maturato e l’illegittimità del

contrattuale, dimostrare di aver correttamente applicato i criteri legali
di scelta di cui all’art. 5 legge n. 223/91;

in base all’accordo sindacale raggiunto all’esito della procedura di

legali, che erano stati espressamente richiamati; tali criteri dovevano
quindi essere applicati “in concorso tra loro” (art. 5, primo comma,
legge n. 223/91) e della modalità della loro applicazione doveva
essere data puntuale indicazione nell’elenco dei lavoratori collocati in
mobilità (art. 4, comma 9, legge n. 223/91);

l’attività societaria di acquisizione, progettazione (design) e

costruzione dei siti di radio mobile, cosiddetta attività ADC, era
distribuita tra i due settori ed uffici, Operation 1, facente capo alla
sede di Milano Segrate, e Operation 2, facente capo alla sede di
Roma; responsabili di tali identici settori erano rispettivamente il
Pastore ed altro quadro, tale Bilancia Antonino, di minore anzianità
aziendale;

trattandosi di uffici in cui si effettuavano le medesime attività ed

essendo la ragione della riduzione del personale, addotta dalla
Società, collegata alla tipologia di attività e non esclusivamente
all’attività svolta presso l’ufficio Operation I, l’ambito di applicazione
dei criteri di scelta doveva riguardare all’intero complesso aziendale
relativo all’attività da ridimensionare;

nella comunicazione si era infatti parlato di futuro definitivo

abbandono della vendita di servizi ADC, funzionalmente suddivisi, in
Nord e Centro Sud, e se anche all’epoca dell’apertura della

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mobilità, non era stato fatto uso di criteri di scelta diversi da quelli

procedura (marzo 2005) l’attività dell’ufficio romano era oramai già
ridotta, anche in termini di personale, non per questo potevano
essere esclusi dal numero i due lavoratori esuberanti, in quanto

nell’ufficio di Milano;
– dalla comunicazione di apertura della procedura, allegata in atti,
così come dalle deduzioni sul punto contenute nella memoria di
costituzione di primo grado, non erano emerse quali fossero state le
precise ragioni tecnico organizzative che avrebbero giustificato una
delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta al solo
ufficio milanese; e, al riguardo, doveva rilevarsi che la risposta non
poteva essere quella della chiusura di tale ufficio, perché sarebbe
stata affermazione tautologica o, ancor meglio, che avrebbe finito
per confondere la causa con l’effetto;
– in conclusione non era stato in alcun modo dedotto e, quindi,
provato, che l’eccedenza di personale dovesse essere limitata
all’ufficio milanese, per essere le due unità romane caratterizzate,
come specificato da richiamata giurisprudenza di legittimità, da
“autonomia e specificità delle professionalità utilizzate, infungibili
rispetto alle altre”, presenti presso l’ufficio di Milano;
– in particolare era stato escluso il dipendente Bilancia, assunto
ben dopo il Pastore e che aveva svolto le sue identiche mansioni di
coordinamento dell’attività ADC presso l’ufficio di Roma;
né poteva ritenersi rilevante la circostanza, confermata dalla
responsabile delle risorse umane, sentita come teste, dell’invio in

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comunque addetti a tali tipologie di attività , sebbene non presenti

Algeria del Bilancia, “in maniera quasi concomitante alla cessazione
di Operation 1”,

perché nulla aveva precisato la società

relativamente a precise esigenze tecnico organizzative che avessero

richiesto la presenza di tale dipendente, piuttosto che del Pastore,
presso il cantiere algerino, sempre relativo a commessa avente ad
oggetto pianificazione e costruzione di reti radiomobili;

la mancata comparazione globale tra tutti i lavoratori che

dovevano invece ritenersi esuberanti si era inevitabilmente
ripercossa sulla comunicazione ex art. 4, comma 9, legge n. 223/91,
che doveva così ritenersi effettuata in violazione di tale disposizione,
determinando anche l’inefficacia del licenziamento;

il risarcimento del danno conseguente alla accertata illegittimità

del licenziamento non poteva essere liquidato nella misura delle
mensilità decorrenti dalla data del recesso datoriale, avvenuto nel
maggio 2005, non potendosi escludere che le conseguenze dannose
del licenziamento illegittimo

(concretizzatesi nella

mancata

retribuzione per tutto il tempo intercorso tra detto licenziamento e la
reintegrazione) si fossero in realtà verificate anche con il concorso di
colpa del danneggiato, al quale, ai sensi dell’art. 1127, comma 2, cc,
è richiesto un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare,
ma anche evitare le conseguenze dannose;

nel caso in esame il ricorso del Pastore, pur tempestivamente

presentato, aveva subito un rallentamento dovuto ad una irregolarità
attribuibile al medesimo (mancato esperimento del tentativo
obbligatorio di conciliazione su tutte le domande azionate),

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“•‘.

irregolarità che aveva determinato la sospensione del processo, la
sua riassunzione e, quindi, la fissazione della nuova udienza, solo
dopo alcuni mesi; il danneggiato aveva quindi concorso, almeno sino

alla fine del 2006, alla causazione di tale danno e l’indennità
risarcitoria doveva pertanto essere limitata alle retribuzioni maturate
solo dal gennaio 2007 sino alla reintegrazione.
Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la LCC Italia srl ha
proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
L’intimato Pastore Donato Giuseppe ha resistito con controricorso,
proponendo a sua volta ricorso incidentale, fondato su quattro motivi,
a cui la ricorrente principale ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi vanno riuniti perché proposti avverso la medesima
sentenza (art. 335 cpc).
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione
dell’art. 5, comma 1, legge n. 223/91, deducendo che, avendo
deciso di sopprimere soltanto l’ufficio di Segrate, dandone compiuta
indicazione nella comunicazione alle organizzazioni sindacali,
correttamente aveva tenuto conto dei lavoratori addetti a tale ufficio,
tutti posti in mobilità, non essendo necessario provvedere ad ulteriori
esami comparativi, stante la non riferibilità della procedura ad altre
unità produttive.
Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia vizio di
motivazione in ordine all’interpretazione del contenuto della
comunicazione preventiva della procedura di licenziamento collettivo

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resa dalla Corte territoriale, di cui lamenta l’errata valutazione per i
motivi esposti nella precedente doglianza.
Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia vizio di

istruttorie rispetto all’obbligo di comparazione, deducendo che il
distacco del dipendente Bilancia all’estero nel momento di avvio
della procedura di licenziamento, disposto per poter seguire progetti
di implementazione di siti, “rappresentava l’oggettiva ragione del sua

non annoverabilità nella platea dei lavoratori in esubero”, senza che
potesse essere imposta ad essa ricorrente la prova circa l’esistenza
di fatti che imponessero il distacco del Bilancia piuttosto che del
Pastore; tale richiesta si porrebbe infatti in contrasto col potere
imprenditoriale di determinare la propria struttura organizzativa,
quale portato della libertà d’impresa ai sensi dell’art. 41 della
Costituzione, nel mentre la decisione di distaccare il Bilancia
all’estero costituiva la ragione di natura organizzativa e produttiva
(come tale annoverata dall’art. 5, comma 1, legge n. 223/91) che
impediva di poter comparare la posizione del predetto dipendente
con quella dell’odierno controricorrente.
Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia violazione degli
artt. 1227, comma 2, cc e 18, comma 4, legge n. 300/70, deducendo
che la condanna risarcitoria avrebbe dovuto essere contenuta nella
misura minima di cinque mensilità di retribuzione, attesi la mancata
ricerca da parte del Pastore di un’occupazione lavorativa e il suo
rifiuto delle consistenti offerte conciliative formulategli.

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motivazione in ordine all’erronea interpretazione delle risultanze

Con il quinto motivo la ricorrente principale denuncia vizio di
motivazione in merito all’assenza di prova fornita dal Pastore circa
una sua ricerca di lavoro successiva al licenziamento e al suo rifiuto

motivato sul punto.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale, denunciando violazione
di plurime disposizioni di legge, nonché vizio di motivazione, si duole
della disposta riduzione del risarcimento conseguente all’illegittimità
del licenziamento deducendo che:

i fatti ostativi all’insorgenza dell’indennità risarcitoria ovvero

comportanti la sua determinazione in misura inferiore a quella
prevista dall’art. 18 legge n. 300/70, costituendo oggetto di
eccezione da parte del datore di lavoro, non potevano essere rilevati
d’ufficio e la loro formulazione sarebbe dovuta avvenire ai sensi
dell’art. 416, comma 2, cpc, nel mentre la parte datoriale nulla aveva
eccepito al riguardo nel corso del giudizio di primo grado e, con il
ricorso d’appello, si era limitata a dedurre l’aliunde perceptum,
assumendo di essere venuta a conoscenza del fatto che il lavoratore
licenziato svolgeva un’attività lavorativa (anche di natura
imprenditoriale) per la quale percepiva un reddito; la disposta
riduzione dell’indennità risarcitoria aveva quindi concretizzato la
violazione per extrapetizione del disposto dell’art. 112 cpc;
– in subordine, quand’anche si fosse ritenuto che l’eccezione fosse
stata proposta con l’atto d’appello, si sarebbe comunque trattato di
eccezione nuova, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 437 (e

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delle proposte conciliative, nulla avendo la Corte territoriale detto e

non 347, quale indicato nel controricorso per evidente lapsus
calami ), comma 2, cpc;

comunque il tempo necessario alla tutela giurisdizionale dei

maggior ragione laddove, come nel caso di specie, il lavoratore
avesse immediatamente presentato ricorso;

la motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale era

peraltro insufficiente poiché: il tentativo di conciliazione era stato
proposto fin dall’inizio anche in relazione alla domanda di mancata
corresponsione del TFR, nella quale avrebbe dovuto ritenersi
ricompresa quella relativa alle differenze retributive incidenti sul
calcolo dello stesso TFR per erroneo computo del valore dell’auto
aziendale; l’istanza integrativa alla Direzione Provinciale del Lavoro
era stata presentata il 5.7.2006, onde non si spiegava per quale
ragione il risarcimento fosse stato fatto decorrere dal 1° gennaio
2007; il tempo necessario per l’espletamento del tentativo
obbligatorio di conciliazione era giuridicamente “neutro” ai sensi
dell’ad. 410, comma 2, cpc.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale, denunciando
violazione di plurime disposizioni di legge, nonché vizio di
motivazione, si duole che la Corte territoriale, non tenendo conto
dell’effettiva formulazione della domanda, abbia omesso di
pronunciarsi sulla richiesta condanna al pagamento dei contributi
assistenziali e previdenziali.

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propri diritti non poteva rilevare al fine della riduzione del danno, a

Con il terzo motivo il ricorrente incidentale, denunciando violazione
dell’art. 429, comma 3, cpc, lamenta che la Corte territoriale, nel
liquidare l’indennità risarcitoria, abbia omesso di pronunciare la

monetaria.
Con il quarto motivo il ricorrente incidentale si duole della violazione
delle disposizioni concernenti la liquidazione delle spese di lite,
siccome avvenuta in misura inferiore ai limiti legali.
2. Secondo quanto reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di
personale la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli
da avviare alla mobilità, può essere limitata agli addetti all’unità o al
settore da ristrutturare, qualora il progetto di ristrutturazione
aziendale si riferisca in modo esclusivo a un’unità produttiva o a un
settore dell’azienda, in quanto ciò non sia l’effetto dell’unilaterale
determinazione del datore di lavoro, ma sia obiettivamente
giustificato dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione di
personale (cfr, ex plurimis e fra le più recenti, Cass., nn. 13705/2012;
2429/2012; 9711/2011; 25353/2009).
Ne deriva, per contro, che ove il progetto di ristrutturazione aziendale
non si riferisca in modo esclusivo a un’unità produttiva o a un settore
dell’azienda, la platea dei lavoratori comparabili dovrà riguardare tutti
quelli che, nell’intero complesso aziendale, siano in possesso di
professionalità equivalenti in relazione all’attività oggetto di
ristruttu razione.

li

condanna al pagamento degli interessi e della rivalutazione

2.1 La Corte territoriale, avendo interpretato la comunicazione
preventiva di cui al combinato disposto degli artt. 24 e 4, comma 2,
legge n. 223/91 nel senso, quale diffusamente esposto nello storico

Società, era collegata alla tipologia di attività (cosiddetta ADC) e non
esclusivamente a quella espletata presso l’ufficio di Milano Segrate,
ha fatto quindi corretta applicazione dei suddetti principi.
2.2La dedotta violazione dell’art. 5, comma 1, legge n. 223/91
(insussistente, per le ragioni testé indicate, alla luce della lettura data
dalla Corte territoriale alla comunicazione preventiva)
presupporrebbe quindi l’erronea interpretazione della manifestata
volontà datoriale, ossia l’errore interpretativo sul contenuto effettivo
della ridetta comunicazione.
Secondo

la

condivisa

giurisprudenza

di

questa

Corte,

l’interpretazione degli atti di autonomia privata è riservata al giudice
del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità
soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica e per vizi di
motivazione, restando escluso che possa ritenersi ammissibile la
censura consistente nella mera contrapposizione di
un’interpretazione ritenuta più confacente alle aspettative della parte
o più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata, con il
corollario che le censure basate sulle suddette violazioni devono
essere specifiche, con indicazione dei singoli canoni ermeneutici
violati e delle ragioni della asserita violazione, mentre le censure
riguardanti la motivazione devono riguardare l’obiettiva insufficienza

di lite, che la ragione della riduzione del personale, addotta dalla

di essa o la contraddittorietà del ragionamento su cui si fonda
l’interpretazione accolta, potendo il sindacato di legittimità riguardare
esclusivamente la coerenza formale della motivazione, ovvero

argomentativa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14850/2004: 4948/2003;
8994/2001).
Le doglianze svolte dalla ricorrente principale non rispettano tali
indispensabili requisiti, non essendo stati neppure indicati i canoni
ermeneutici dall’applicazione dei quali la Corte territoriale si sarebbe
discostata, né l’eventuale (ma in effetti del tutto insussistente)
contraddittorietà delle argomentazioni motivazionali svolte; ed in
effetti la ricorrente principale si è limitata a contrapporre una propria
lettura della nota di comunicazione divergente da quella resa nella
sentenza impugnata, sollecitando questa Corte ad un’inammissibile
indagine di merito.
2.3 Dal che discende il rigetto dei primi due motivi del ricorso

principale.
2.4Considerazioni in larga parte analoghe conducono al rigetto
anche del terzo motivo del ricorso principale, atteso che:
– la censura svolta non specifica quale eventuale elemento di
giudizio sarebbe stato erroneamente apprezzato dalla Corte
territoriale nella sua effettiva concretezza fattuale (la Corte ha in
effetti dato atto, sulla scorta della ricordata testimonianza, che il
dipendente Bilancia era stato inviato in Algeria “in maniera quasi
concomitante alla cessazione di Operation 1”);

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l’equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura

- l’accertamento fattuale, da parte della sentenza impugnata, in
ordine alla circostanza che il cantiere algerino era sempre relativo a
commessa avente ad oggetto pianificazione e costruzione di reti

era stata collegata dalla stessa parte datoriale la ragione della
riduzione del personale, conduce logicamente a dover
ricomprendere nella valutazione comparativa il personale dell’intero
complesso aziendale addetto a tale attività, indipendentemente dalla
localizzazione territoriale del suo svolgimento;
– sempre in via di accertamento fattuale, la Corte territoriale ha
rilevato che la parte datoriale nulla aveva indicato in ordine alle
precise esigenze tecnico organizzative che avrebbero eventualmente
richiesto la presenza del Bilancia, piuttosto che del Pastore, in
Algeria.
2.5 Esclusa dunque la sussistenza di vizi riconducibili al paradigma di
cui all’ad. 360, comma 1, n. 5, cpc, deve rilevarsi l’inammissibilità
della doglianza nella parte in cui la stessa si traduce nella deduzione
di presunte violazioni di legge, posto che, secondo l’orientamento di
questa Corte, il vizio di motivazione denunciabile come motivo di
ricorso per cassazione (appunto ai sensi dell’ad. 360, comma 1, n. 5,
cpc) può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione
dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, ma non
anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche (cfr, ex
plurimis,

Cass., SU, nn. 21712/2004; 261/2003; Cass., nn.

10922/2004; 194/2002; 4593/2000).

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mobili, ossia la stessa tipologia di attività (cosiddetta ADC) alla quale

Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi che tali
profili di violazione di legge sono insussistenti:
– quello afferente alla pretesa violazione dell’art. 5, comma 1, legge

ragioni tecnico organizzative diverse da quelle riconosciute nella
sentenza impugnata, il dipendente Bilancia non avrebbe potuto
essere escluso dalla comparazione;
– quello della pretesa rilevanza ai fini de quibus del principio di
libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 della Costituzione),
perché l’esercizio del potere di scelta dei lavoratori da collocare in
mobilità è soggetto al rispetto di limiti di carattere interno, come
l’osservanza di criteri coerenti, oggettivi e razionali, e di carattere
esterno, derivanti dal divieto di discriminazioni fra i lavoratori e dagli
obblighi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 cc
(cfr, in relazione alla sospensione per collocazione in CIG, ma con
affermazione di principio che ben si attaglia anche al collocamento in
mobilità per riduzione di personale, Cass., n. 18296/2002) e perché
la libertà di iniziativa economica non può dirsi compressa dalla
prescritta osservanza di determinate forme procedimentali,
finalizzate a consentire un controllo sulla corretta applicazione di
misure (adottate dal datare di lavoro nell’ambito della propria libertà
di iniziativa economica) direttamente incidenti sui diritti dei lavoratori
e, quindi, di rilevanza sociale (cfr, per arg., Cass., n. 10504/2001).
3. Il quarto e quinto motivo di ricorso principale, nonché il primo

motivo di ricorso incidentale, vanno esaminati congiuntamente,

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n. 223/91, perché, come detto, in difetto di specifiche indicazioni di

siccome tutti inerenti, sotto speculari profili, alla riduzione
dell’indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cc.
3.1

Secondo il condiviso orientamento ermeneutico di questa

verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma dell’art. 1227
cc) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della
medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso
danneggiato, che abbia prodotto il solo aggravamento del danno
senza contribuire alla sua causazione, giacché, mentre nel primo
caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al
concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati
gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul
piano causale, dello stesso, la seconda di tali situazioni forma
oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto
comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere
giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione
dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 3240/2012; 12714/2010; 4799/2001).
Da ciò la conseguenza, sul piano processuale, della necessità che
l’eccezione in parola, nel rito del lavoro, sia proposta dal convenuto
con la comparsa di costituzione di primo grado, giusta la previsione
dell’art. 416, comma 2, cpc, e che la stessa parte eccipiente,
secondo le regole generali di ripartizione dell’onere probatorio,
fornisca la prova dei fatti su cui l’eccezione si fonda; l’inosservanza
del termine di proposizione dell’eccezione, posto a pena di

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Corte, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al

decadenza, è poi rilevabile d’ufficio, senza che si renda necessaria
una sollecitazione in tal senso da parte dell’attore (cfr, fra le
tantissime, e per tutte, Cass., SU, n. 5680/1985); e, per ulteriore

ritualmente proposta in primo grado non può essere svolta, per la
prima volta, in grado d’appello, giusta il disposto dell’art. 437, comma
2, cpc (cfr,

ex plurimis,

Cass., nn. 13076/2004; 8739/2003;

8855/2002; 923/2001; 4763/1999).
3.2Nel caso che ne occupa la stessa parte datoriale, nel
controricorso al ricorso incidentale, riconosce che, nel proprio atto
d’appello (e non quindi già in prime cure), aveva eccepito che la
somma eventualmente dovuta avrebbe dovuto essere ridotta e
compensata con quanto il lavoratore avesse nelle more percepito in
ragione delle attività da lui prestate ovvero di quanto avrebbe potuto
ricevere qualora si fosse diligentemente attivato per trovare una
soluzione professionale e reddituale alternativa alla propria
occupazione.
Ne discende che, anche a voler ritenere che tale eccezione potesse
essere ricondotta, almeno nella seconda parte, sotto il paradigma
dell’art. 1227, comma 2, cpc, la stessa, oltre che inammissibilmente
generica, era irrimediabilmente tardiva e, come tale, non esaminabile
dalla Corte territoriale, tanto più che nessun accenno risultava svolto
con riferimento alla ritardata decisione della controversia per effetto
del mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione in
ordine a tutte le domande azionate.

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conseguenza, l’eccezione in senso stretto proponibile ma non

Né, al riguardo, vertendosi in tema di preclusioni processuali
sottratte alla disponibilità delle parti, avrebbero potuto essere
valorizzati l’omesso rilievo da parte del lavoratore della tardività

contraddittorio (a cui si fa riferimento nel controricorso al ricorso
incidentale), e ciò fermo restando che la presentazione della
documentazione afferente ai redditi percepiti deve ritenersi
pertinente alla distinta eccezione di aliunde perceptum e, comunque,
come pure riconosciuto dalla datrice di lavoro, effettuata aderendo
ad una richiesta della Corte territoriale.
3.3Per completezza di motivazione deve poi rilevarsi come il quarto
e il quinto motivo del ricorso principale presentano altresì evidenti
profili di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza
del ricorso per cassazione, non essendo ivi specificate quali fossero
le emergenze processuali (nonché i tempi e i modi della loro rituale
acquisizione) dalle quali dovrebbe desumersi il dedotto
accertamento della mancata ricerca da parte del Pastore di
un’occupazione alternativa (la sentenza impugnata essendosi
limitata ad affermare che tra le ordinarie attività richieste al
lavoratore creditore per ridurre il danno rientra anche la sua
iscrizione alla liste di collocamento, ma nulla avendo detto sulla
concreta ricorrenza di tale circostanza nel caso di specie, che, infatti,
neppure è posta a sostegno della operata riduzione dell’indennità
risarcitoria) e del suo reiterato rifiuto di consistenti offerte conciliative.

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dell’eccezione ovvero un’eventuale sua accettazione del

3.4 Inoltre, sempre per completezza di motivazione, deve rilevarsi
che la decisione assunta sul punto dalla Corte territoriale si pone in
contrasto con il condivisibile principio, già affermato dalla

danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del
licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello
stesso, ex art. 1227, secondo comma, cc, in relazione alle
conseguenze dannose discendenti dal tempo impiegato per la tutela
giurisdizionale da parte del lavoratore, le stesse non sono imputabili
al lavoratore tutte le volte che – sia che si tratti di inerzia
endoprocessuale, che di inerzia preprocessuale le norme
attribuiscano poteri paritetici al datore di lavoro per la tutela dei
propri diritti e per la riduzione del danno (cfr, Cass., n. 9898/2005,
che ha riconosciuto l’esistenza di analoghi poteri del datore di lavoro
proprio in ordine al promovimento del tentativo di conciliazione; cfr,
altresì, Cass., n. 5993/1995).
3.5 In definitiva, restando assorbiti gli altri profili di doglianza svolti sul
punto dal ricorrente incidentale, il quarto e il quinto motivo del ricorso
principale vanno rigettati, mentre il primo motivo del ricorso
incidentale risulta fondato.
4. In ordine al secondo motivo del ricorso incidentale, deve
osservarsi che la previsione, in ipotesi di declaratoria di inefficacia
del licenziamento, di condanna del datore di lavoro al pagamento dei
contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento
a quello dell’effettiva reintegrazione è espressamente contemplata

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giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di risarcimento del

dall’art. 18, comma 4, legge n. 300/70 (nel testo, modificato dalla
legge n. 108/90, applicabile

ratione temporis

alla presente

controversia); non avendo la Corte territoriale pronunciato la pur

assistenziali e previdenziali, il motivo di ricorso all’esame deve
ritenersi fondato (cfr,

ex plurimis,

Cass., nn. 29936/2008;

4261/2005), vertendosi in tema di omessa pronuncia e non già di
mero errore di calcolo, come sostenuto dalla parte datoriale.
5. Deve altresì ritenersi la fondatezza del terzo motivo del ricorso
incidentale (anche in questo caso vertendosi in tema di omessa
pronuncia e non già di mero errore di calcolo, come sostenuto dalla
parte datoriale), poiché il diritto del lavoratore al risarcimento dal
danno per l’illegittima risoluzione anticipata del proprio rapporto di
lavoro sorge alla data di tale anticipata risoluzione, sicché dalla
stessa data devono decorrere rivalutazione ed interessi sul relativo
credito, il quale rientra nella nozione di credito di lavoro ai sensi
dell’art. 429, comma 3, cpc, dato che la pretesa risarcitoria del
lavoratore, sebbene non sinallagmaticamente collegata alla
prestazione lavorativa, rappresenta pur sempre l’utilità economica
che lo stesso avrebbe tratto dall’esecuzione della prestazione, se
non impedita dall’illegittimo comportamento dell’imprenditore (cfr,
Cass., nn. 4672/1993; 5993/1995; 10043/1996; 11718/2000;
29936/2008, cit.).
6

L’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso incidentale,

comportando la necessità, previa cassazione della sentenza

20

richiesta condanna della parte datoriale al pagamento dei contributi

impugnata, di una nuova decisione nel merito e, conseguentemente,
di una nuova liquidazione delle spese di lite, determina
l’assorbimento del quarto motivo del ricorso incidentale.

motivo del ricorso incidentale, con assorbimento del quarto, mentre il
ricorso principale va rigettato; consegue la cassazione della
sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al
Giudice designato in dispositivo, che pronuncerà conformandosi ai
suddetti principi di diritto e provvederà altresì sulle spese del giudizio
di cassazione.

P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il primo, il secondo e il terzo
motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbito il quarto e rigetta il
ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Milano in
diversa composizione.
Così deciso in Roma 1112 dicembre 2012.

7. In conclusione risultano fondati il primo, il secondo e il terzo

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