Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27675 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 29/10/2019), n.27675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 27363 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

Lottomatica Videolot Rete s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dagli avvocati Gerosa Roberto e

Grisolia Carmine, elettivamente domiciliata presso lo studio dei

quali in Roma, alla Via Virgilio, n. 18;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli- successore ex lege

dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS)-Ufficio

dei Monopoli per il Lazio- in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente- –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, n. 2113/07/17 depositata in data 11 aprile

2017, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 settembre 2019 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di

Nocera Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 2113/07/17 depositata in data 11 aprile 2017, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, previa riunione al procedimento RG n. 6549/15 di quello RG n. 6773/15, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Lottomatica Videolot Rete s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 7814/13/15 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva dichiarato estinto il giudizio avente ad oggetto l’impugnativa da parte della suddetta società dell’avviso di accertamento n. 133, notificato il 31 dicembre 2013, con il quale l’AAMS- Ufficio dei Monopoli per il Lazio – in esito a verifica della Guardia di Finanza presso l’esercizio “Piccadilly Caffè” sito in Bordighera (IM) da cui era emersa la presenza di due apparecchi da intrattenimento TULPS, ex art. 110, comma 6, di proprietà della “Cinque Punto Cinque” provvisti di nulla osta di messa in esercizio ma risultati non collegati alla rete telematica – aveva richiesto nei confronti della concessionaria di rete, Lottomatica Videolot Rete Spa, quale soggetto solidalmente responsabile contribuente, il pagamento del prelievo erariale unico (PREU), oltre a interessi e sanzioni, per l’anno 2008;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) il giudice di primo grado aveva erroneamente dichiarato la cessazione della materia del contendere in quanto l’avvenuto pagamento era da riferire a un diverso atto di accertamento; 2) era da rigettare l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla società contribuente con riferimento alla sentenza n. 23986/28/14 emessa da altra sezione della CTP di Roma intercorsa tra le stesse parti, in quanto il giudicato esterno operava nei limiti dell’accertamento di una questione di fatto e non anche in ordine all’interpretazione del D.L. n. 269 del 2003,art. 39-quater, se da intendersi norma sostanziale ovvero meramente sanzionatoria; 3) in forza del D.L. n. 269 del 2003, art. 39-quater, nel testo vigente ratione temporis, quale norma di carattere sostanziale, non applicabile retroattivamente, la Lottomatica Videolot Rete s.p.a., quale concessionaria di rete, titolare del nulla osta, era solidalmente responsabile per il pagamento del Preu 2008;

– avverso la sentenza della CTR, Lottomatica Videolot Rete s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e art. 345 c.p.c. per essersi la CTR pronunciata su motivi di appello con i quali l’Agenzia aveva introdotto un nuovo thema decidendum non limitato alla contestazione della declaratoria della sentenza di primo grado di cessazione della materia del contendere;

-in disparte il profilo di inammissibilità per difetto di autosufficienza non avendo la ricorrente riprodotto, nelle parti rilevanti, l’atto di appello dell’Ufficio, il motivo è infondato, in quanto dalla sentenza impugnata, si evince la deduzione da parte dell’Amministrazione, in sede di gravame, di “mere difese” concretantesi nella contestazione delle censure mosse dalla contribuente avverso l’atto impositivo; ciò conformemente al consolidato principio secondo cui “ad essere inammissibili in appello, ex art. 57, comma 2, cit., sono soltanto le nuove “eccezioni” in senso proprio, o stretto; non anche le eccezioni in senso lato e le mere difese ed argomentazioni giuridiche, per contro sempre proponibili: nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili” (Cass. n. 11223 del 2016; in termini, da ultimo, Cass. n. 8275 del 2018; n. 21889 del 2017);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per avere la CTR erroneamente rigettato l’exceptio iudicati sollevata dalla società contribuente senza considerare come, con riferimento alla sentenza definitiva n. 23986/28/14 della CTP di Roma, sussistessero i requisiti di identità soggettiva e oggettiva necessari per l’esplicarsi dell’efficacia del giudicato esterno;

– il motivo è infondato;

– invero, dall’esame della allegata sentenza della CTP di Roma n. 23986/28/14, ritualmente allegata al ricorso e contenente l’attestazione della cancelleria di passaggio in giudicato, si evince trattarsi della medesima questione giuridica, ossia dell’interpretazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 39-quater, ma nulla porta a ritenere che abbia avuto ad oggetto il “medesimo rapporto giuridico”; occorre considerare, del resto, che la presente vicenda trae origine da uno specifico accertamento su apparecchi illecitamente modificati e, dunque, il rapporto giuridico in considerazione non ha neppure il carattere “di esecuzione prolungata”, nè si riferisce a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”, ma si traduce in un evento unitario e definito, ancorato a specifici ed autonomi fatti, irrilevante la loro sussunzione nella medesima disciplina normativa;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3,D.L. n. 269 del 2003, art. 39-quater, conv. dalla L. n. 326 del 2003, modificato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 15, comma 8-quaterdecies, convertito dalla L. n. 102 del 2009, per avere la CTR ravvisato la responsabilità solidale della società, concessionaria di rete, in forza dell’art. 39-quater cit. senza applicare la modifica della norma più favorevole alla contribuente, operata con il D.L. n. 78 del 2009, con conseguente violazione anche dell’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997 secondo cui nessuno può essere assoggettato a sanzione per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile;

– il motivo è infondato;

– nella vicenda in giudizio, anteriore al 2009, è, invero, applicabile il testo del D.L. n. 269 del 2003, art. 39-quater, comma 2, come introdotto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, vigente dal 1 gennaio 2007, che prevede: “2. Il prelievo erariale unico è dovuto anche sulle somme giocate tramite apparecchi e congegni che erogano vincite in denaro o le cui caratteristiche consentono il gioco d’azzardo, privi del nulla osta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 38, comma 5, e successive modificazioni, nonchè tramite apparecchi e congegni muniti del nulla osta di cui al predetto art. 38, comma 5, il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo…. “2 e 3 periodo”… Per gli apparecchi e congegni muniti del nulla osta… il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo, il maggiore prelievo erariale unico accertato rispetto a quello calcolato sulla base dei dati di funzionamento trasmessi tramite la rete telematica prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 14-bis, comma 4, e successive modificazioni, gli interessi e le sanzioni amministrative sono dovuti dai soggetti che hanno commesso l’illecito o, nel caso in cui non sia possibile la loro identificazione, dal concessionario di rete a cui è stato rilasciato il nulla osta. Sono responsabili in solido per le somme dovute a titolo di prelievo erariale unico, interessi e sanzioni amministrative relativi agli apparecchi e congegni di cui al quarto periodo, il soggetto che ha provveduto alla loro installazione, il possessore dei locali in cui sono installati e il concessionario di rete titolare del relativo nulla osta, qualora non siano già debitori di tali somme a titolo principale.”

– l’originario testo del 2006, quindi, in caso di esercizio illecito prevedeva che fossero tenuti in via principale al pagamento dell’imposta evasa, oltre agli interessi e alle sanzioni, i seguenti soggetti: a. l’autore dell’illecito; b. il concessionario titolare del nulla osta all’esercizio; la sua responsabilità, principale, era peraltro condizionata alla mancata individuazione dell’autore dell’illecito. La norma, inoltre, contemplava ipotesi di responsabilità solidale individuando i seguenti soggetti: c. l’installatore; d. il possessore dei locali; e. il concessionario; non prevedendo, per la configurabilità di tale responsabilità, alcuna condizione ma solo che gli stessi non fossero “già debitori di tali somme a titolo principale”, sull’implicito presupposto che, in tale evenienza, doveva ritenersi prevalente quest’ultima;

– il testo dell’art. 39-quater cit., come modificato dal D.L. n. 78 del 2009, art. 15, conv. dalla L. n. 102 del 2009, (avuto riguardo al 4 e al 5 periodo della norma, irrilevante nella specie l’ipotesi di esercizio in assenza del nulla osta) prevede: “… Per gli apparecchi e congegni muniti del nulla osta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 38, comma 5, e successive modificazioni, il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo, il maggiore prelievo erariale unico accertato rispetto a quello calcolato sulla base dei dati di funzionamento trasmessi tramite la rete telematica prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 14-bis, comma 4, e successive modificazioni, gli interessi e le sanzioni amministrative sono dovuti dai soggetti che hanno commesso l’illecito. Nel caso in cui non sia possibile l’identificazione dei soggetti che hanno commesso l’illecito, sono responsabili in solido per le somme dovute a titolo di prelievo erariale unico, interessi e sanzioni amministrative relativi agli apparecchi e congegni di cui al quarto periodo, il soggetto che ha provveduto alla loro installazione, il possessore o detentore, a qualsiasi titolo, dei medesimi apparecchi e congegni, l’esercente a qualsiasi titolo i locali in cui sono installati e il concessionario di rete titolare del relativo nulla osta, qualora non siano già debitori di tali somme a titolo principale.”

-il testo modificato nel 2009, individua, quindi, quale responsabile principale, un unico soggetto, ossia l’autore dell’illecito. Quanto alle ipotesi di responsabilità solidale, la nuova norma individua: c1. l’installatore; d1. il possessore o detentore a qualsiasi titolo degli apparecchi; e1. l’esercente a qualsiasi titolo dei locali; fi. il concessionario; semprechè gli stessi non fossero “già debitori di tali somme a titolo principale”; la norma, peraltro, subordina la responsabilità solidale al verificarsi di uno specifico requisito, che assurge ad elemento costitutivo, ossia che “non sia possibile l’identificazione” dell’autore dell’illecito. E’ di tutta evidenza, quindi, che la novella è intervenuta in via strutturale sulla previsione modificando i soggetti, il novero e le condizioni di imputazione soggettiva della responsabilità sia in via principale che in ipotesi di responsabilità solidale;

– quanto alla dedotta retroattività della “nuova versione” dell’art. 39-quater, cit. ed, in particolare, rispetto all’eccezione posta dalla società contribuente di applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, (principio del favor rei), questa Corte – escludendo (già in Cass. n. 13116 del 2018) che la modifica introdotta con il D.L. n. 78 del 2009, art. 15, abbia ex se efficacia retroattiva, e, in ogni caso, anche per l’evidente mancanza di una clausola in tal senso, valenza di interpretazione autentica con portata retroattiva- ha, da ultimo, chiarito che “Nel caso di utilizzo indebito delle apparecchiature da intrattenimento T.U.L.P.S., ex art. 110, comma 6, il maggior prelievo erariale unico evaso (cd. maggior PREU), dovuto in ragione del superiore volume di gioco derivante dall’illecito, ha natura identica ed unitaria rispetto al prelievo erariale unico (cd. PREU) e non è perciò assimilabile ad una sanzione amministrativa tributaria, con conseguente esclusione dell’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole recata dal D.L. n. 78 del 2009, art. 15, conv. in L. n. 102 del 2009, che ha individuato, quale unico responsabile principale, solamente l’autore dell’illecito” (Cass., sez. 5, n. 14969 del 31/05/2019); nella detta pronuncia, ha precisato che “la norma, in entrambe le successive formulazioni, non ha precipua funzione di norma sanzionatoria amministrativa, limitandosi ad individuare l’area dei potenziali responsabili dell’adempimento dell’obbligazione tributaria e del pagamento delle eventuali sanzioni correlate, sia in via diretta che sussidiaria e/o indiretta solidale, in relazione ad una serie di condotte di esercizio di apparecchi o congegni da gioco, non meglio definite, costituenti illecito civile, amministrativo o penale; tanto ciò è vero che la previsione e quantificazione delle diverse sanzioni amministrative in relazione alle singole condotte illecite è poi contenuta nel successivo art. 39-quinquies (intitolato “Sanzioni in materia di prelievo erariale unico”), costituente la norma sanzionatoria in senso proprio, che individua fattispecie e tipologia delle condotte illecite e quantifica le sanzioni edittali, rimaste immodificate anche con la novella del 2009″;

– pertanto, in capo al concessionario di rete, la disciplina – ante modifica 2009- ratione temporis applicabile nella specie configura due ipotesi di responsabilità: A. in via principale, alla condizione della mancata identificazione dell’autore dell’illecito; B. in via solidale, incondizionatamente (e, dunque, anche in caso di identificazione dell’autore dell’illecito) purchè non sia già debitore in via principale.

Con riguardo alla seconda ipotesi, di solidarietà tributaria (da cui trae origine la pretesa dell’Amministrazione nella vicenda in esame essendo pacifica l’identificazione dell’autore dell’illecito), va indubbiamente rilevato che la coobbligazione si àncora ad una condotta diversa rispetto a quella dell’autore dell’illecito. La ratio che risulta sottesa riflette, invero, la particolare posizione assegnata al concessionario di rete, il quale, anche per i requisiti di cui deve essere in possesso e delle licenze di cui deve essere titolare (L. n. 388 del 2000, art. 38; D.P.R. n. 640 del 1972, art. 14 bis, comma 4), è il diretto referente per l’Amministrazione ed ha il controllo giuridico degli apparecchi per il gioco lecito per i quali ha ricevuto il nulla osta, sicchè egli assume anche una posizione di controllo sulla corretta immissione e sul lecito utilizzo dei macchinari stessi, fonte di obblighi (in vigilando od anche in eligendo) sulla concreta individuazione dei gestori ed esercenti e sulla corretta funzionalità delle apparecchiature. Le stesse considerazioni, del resto, sono coerenti rispetto a coloro che hanno un controllo più “operativo” sui macchinari e, dunque, hanno consentito (o non hanno adeguatamente vigilato) all’illecito. Tale conclusione, inoltre, è congruente anche con quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 27 del 14 febbraio 2018), che, sia pure con riferimento ad un diverso profilo della disciplina in esame (ed avuto riguardo alle ulteriori sopravvenute modifiche), ha precisato che “le differenze tra il contributo rispettivamente prestato dalla ricevitoria e dal bookmaker alla complessiva attività di raccolta delle scommesse non escludono affatto – ed anzi presuppongono – che entrambi i soggetti partecipino, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento di quell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse sottoposta ad imposizione”, sicchè l’equiparazione a fini tributari “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco”, fermo restando che “nei rapporti interni, i coobbligati in solido rimangono liberi di regolare il riparto dell’onere tributario che il legislatore, con la previsione del vincolo della solidarietà passiva, pone” a loro carico;

-in tale prospettiva, dunque, deve ritenersi univoca la riferibilità della responsabilità al cd. maggior PREU, ossia all’importo dell’imposta che, per l’attività illecita, è stata evasa, oltre che agli interessi e alle sanzioni. L’art. 39-quater cit., d’altra parte, per come sopra evidenziato, disciplina, in termini onnicomprensivi, condotte di evasione dell’imposta e, per questi importi, in vista di una semplificazione dei rapporti col fisco e di un rafforzamento della garanzia patrimoniale, individua i responsabili principali e quelli solidali. E’ peraltro illogico ritenere che la solidarietà del concessionario sia riferibile al solo PREU, e non anche al maggior PREU, poichè diversamente verrebbe meno il senso letterale della disposizione di cui al quarto periodo. Il concessionario, infatti, è il soggetto passivo del PREU e, dunque, la norma, più che istituire una nuova tipologia di sua responsabilità solidale, non fa che ribadire l’originaria titolarità passiva dell’imposta alla quale questi è già soggetto in via generale;

– in materia, questa Corte ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui: “in tema di prelievo erariale unico (cd. PREU) sulle somme giocate mediante apparecchi da intrattenimento Tulps, ex art. 110, comma 6, in caso di esercizio illecito delle apparecchiature, sì da determinare una trasmissione in via telematica di dati di gioco difformi da quelli effettivamente realizzati, il concessionario di rete, ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 39-quater, comma 2, vigente ratione temporis, è responsabile in via principale per l’imposta evasa (cd. maggior PREU) e i relativi accessori e sanzioni in caso di omessa identificazione dell’autore dell’illecito, mentre, qualora quest’ultimo sia identificato, ne risponde a titolo di solidarietà” (Cass. n. 13116 del 2018; n. 14934 del 2018; n. 15454 del 2018);

-la decisione impugnata si è attenuta al principio sopra affermato in quanto la CTR ha applicato la norma nella formulazione vigente ratione temporis, ante modifica 2009, ravvisando la responsabilità solidale della Lottomatica Videolot Rete s.p.a., quale concessionaria di rete;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi su una serie di eccezioni sollevate dalla società in sede di controdeduzioni in appello (di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse ad impugnare ex art. 100 c.p.c., per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57, dell’art. 115 c.p.c., degli artt. 24 e 111 Cost.; di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione);

– il motivo è infondato;

– il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (relativa, nella specie, alla asserita inammissibilità dell’appello dinanzi a commissione tributaria regionale per effetto della dedotta violazione del divieto, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 57, di proporre nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio) non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. n. 3927 del 2002; Sez. 1, n. 10073 del 25/06/2003; Sez. 3, n. 1701 del 23/01/2009; Sez. 1, n. 22083 del 26/09/2013; Sez. 2, n. 1876 del 25/01/2018; Sez. 3, n. 25154 del 11/10/2018);

– ne consegue la inconfigurabilità di una omessa pronuncia con riguardo alle questioni puramente processuali prospettate dalla ricorrente nel caso di specie, quali la dedotta violazione dell’art. 100 c.p.c. per difetto di interesse ad impugnare, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57, in combinato con l’art. 115 c.p.c., 24 e art. 111 Cost;

– quanto alla denuncia del vizio di omessa pronuncia in merito alla eccezione – sollevata dalla contribuente in sede di impugnazione dell’avviso e reiterata in sede di controdeduzioni in appello – di nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione, non avendo l’Ufficio fornito, in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, puntuali ragioni (c.d. “motivazione rafforzata”) a fronte delle osservazioni svolte dalla società al p.v.c della G.d.F., il motivo è infondato;

– va, al riguardo, ribadito che “nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto” (ex multis, Sez. 5, n. 21968 del 28/10/2015);

– deve al riguardo ribadirsi che l’art. 12 del c.d. “statuto dei diritti del contribuente” non è applicabile al contraddittorio doganale, operando in merito alla rettifica degli accertamenti doganali il diverso jus speciale di cui al citato art. 11 (ex plurimis: Cass. sez. 5, 01/10/2018, n. 23669; Cass. sez. 6-5, 23/05/2018, n. 12832, Rv. 648523-01, in motivazione, oltre che, tra le tante, Cass. sez. 5, 20/07/2014, n. 15032, Rv. 631845-01, e Cass. sez. 5, 05/04/2013, n. 8399, Rv. 626110-01), che anche nella versione ante novella 2012 (D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv., con modif., dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), è stato ha promosso dalla giurisprudenza unionale da ultimo con la sentenza del 20 dicembre 2017, causa C-276/16, Preqù/Italia;

– se, dunque, ai sensi dell’art. 11, comma 4-bis, come introdotto dal legislatore con la novella del 2012 (a decorrere dal 24 gennaio 2012): “Nel rispetto del principio di cooperazione stabilito dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, dopo la notifica all’operatore interessato, qualora si tratti di revisione eseguita in ufficio, o nel caso di accessi – ispezioni – verifiche, dopo il rilascio al medesimo della copia del verbale delle operazioni compiute, nel quale devono essere indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche posti a base delle irregolarita, delle inesattezze, o degli errori relativi agli elementi dell’accertamento riscontrati nel corso del controllo, l’operatore interessato può comunicare osservazioni e richieste, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla data di consegna o di avvenuta ricezione del verbale, che sono valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo comma 5”, ai sensi dei commi 5, 7 ed 8 del citato art. 11, nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore rispetto alla citata novella di cui al D.L. n. 1 del 2012, quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio sia su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso” di rettifica motivato. Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica e in tal caso è redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dal TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 66 e ss.;

– sotto il profilo della sufficienza motivazionale degli atti impositivi in materia doganale, ai sensi dell’art. 11, comma 5-bis cit. ” La motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ai fini della difesa. L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la motivazione di cui al presente comma”;

– nella specie, dall’esame della motivazione dell’avviso di accertamento n. 133, riprodotto nelle parti rilevanti in ricorso e, comunque, allegato (punto C) al medesimo, si evince l’indicazione in esso dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste a suo fondamento, avendo l’Ufficio, in base ai fatti come ricostruiti nel p.v.c. della G.d.F., richiamato nell’atto impositivo e conosciuto dalla società contribuente, affermato la responsabilità solidale della concessionaria di rete, in applicazione dell’art. 39-quater cit. nel testo vigente ratione temporis;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– avuto riguardo alla formazione del richiamato orientamento giurisprudenziale in materia dopo la proposizione del ricorso in cassazione, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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