Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27673 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27673 Anno 2017
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: PERINU RENATO

ORDINANZA

sul ricorso 17026-2012 proposto da:
ROMANO ELISEO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CAIROLI 125, presso lo studio dell’avvocato STEFANO
CARBONELLI, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;

– ricorrente contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F.
2017
3103

80078750587, in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
Avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI,

Data pubblicazione: 21/11/2017

EMANUELE DE ROSE, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 8335/2011 della CORTE
D’APPELLO di ROMA depositata il 12/01/2012 R.G.N.
2630/2011;
il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

,

RILEVATO IN FATTO
che, Romano Eliseo ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 8335
depositata il 12/1/2012 con la quale la Corte d’appello di Roma aveva rigettato
il gravame proposto nei confronti della decisione di primo grado concernente
l’opposizione proposta dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia ex art. 2,
I. n. 297/1982, avverso il decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto dal Romano a
titolo di t.f.r. ;
che, la Corte territoriale, per quanto qui rileva, ha fondato le ragioni di
rigetto del gravame sulla base del mancato assolvimento in capo al lavoratore
dell’onere probatorio in ordine all’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge
per accedere al fondo di garanzia: 1) l’emissione di sentenza dichiarativa del
fallimento; 2) l’ammissione del credito allo stato passivo; a nulla rilevando,
secondo il giudice di secondo grado, che tale ultimo requisito possa essere
superato dalla dimostrazione da parte del lavoratore di una incolpevole
mancata conoscenza dell’apertura della procedura fallimentare;
che, avverso tale pronuncia ricorre per cassazione Romano Eliseo
affidandosi ad un unico motivo di gravame;
che, l’INPS difende con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con l’unico motivo di ricorso, articolato su un duplice profilo di
censure, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la
violazione dell’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, e dell’art. 112 c.p.c., per avere
il giudice di secondo grado ritenuto, erroneamente, che il Romano non avesse
assolto all’onere di dimostrare che era stata emessa sentenza dichiarativa di
fallimento a carico del datore di lavoro, e che il suo credito era stato ammesso
allo stato passivo, nonché la violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., per omessa,
i

Udienza del 5 luglio 2017 – Aula B
n. 27 del ruolo – RG n. 17026/12
Presidente: D’Antonio – Relatore:Perinu

insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’omessa valutazione , da parte
della Corte di merito, di un fatto decisivo e controverso per il giudizio;

che, il ricorrente, in particolare, a sostegno delle censure dedotte in
riferimento a quanto previsto dall’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, si duole del
fatto che la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che il datore di
lavoro non era più soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, essendo
intervenuta la cancellazione della società dal registro delle imprese e che
qualsiasi tentativo di azione esecutiva sarebbe, comunque, risultato infruttuoso
in quanto la società datore di lavoro, era inattiva sin dalla data di chiusura del
fallimento;
che, sul tema oggetto della presente impugnazione, concernente la
sussistenza dei presupposti necessari per conseguire l’accesso al Fondo di
garanzia, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (sent. n. 17227 del
2010) affermando che “ai fini della tutela prevista dalla I. n.297/1982, in
favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del
datore di lavoro, quest’ultimo se é assoggettabile a fallimento ma in concreto
non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre
un anno, va considerato “non soggetto al fallimento”, e pertanto opera la
disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il
lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso
l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in
particolare che abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione”;
che; alla luce di tale orientamento, la disposizione di cui al citato art. 2,
comma 5, I. n. 297/1982 , non può, tuttavia, utilmente operare, qualora,
come nel caso di specie, la procedura fallimentare sia stata attivata nei
confronti del datore di lavoro, e che il lavoratore abbia omesso di inserirsi al
passivo fallimentare, atteso che il principio di diritto dianzi richiamato
presuppone, invece, l’omesso esperimento della procedura concorsuale ;
che, infatti, una lettura dell’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, orientata nel
senso voluto dalla Direttiva CE n.987 del 1980, consente l’attivazione di una
procedura nei confronti del Fondo di garanzia, solo, quando il datore di lavoro
pur astrattamente sottoponibile alla procedura concorsuale, non sia
concretamente assoggettabile alla stessa per ragioni ostative di carattere
soggettivo (ad esempio piccolo imprenditore) o di carattere oggettivo (ad
esempio trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno);
che, del tutto differente appare la fattispecie oggetto del presente
giudizio, atteso che risulta essere stata esperita la procedura fallimentare, ed
2

che) il primo profilo di censura s’appalesa infondato;

all’interno della stessa il ricorrente ha omesso di parteciparvi con la necessaria
insinuazione allo stato passivo;

che, peraltro, la censura in disamina, per quanto attiene al profilo del
vizio dedotto con riferimento alla violazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., appare
assorbita dalle conclusioni cui il Collegio è pervenuto in merito alla sussistenza,
nella fattispecie in disamina, delle condizioni richieste dall’art. 2, comma 5, I.
n. 297/1982, per ottenere l’intervento del Fondo di garanzia nel caso di
insolvenza del datore di lavoro;
che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere
respinto, e le spese del presente giudizio di cassazione liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità, liquidate in euro 1500,00, per compensi
professionali,oltre esborsi per euro 200,00 e spese generali al 15%, oltre agli
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 5.7.2017.

che, pertanto, non risultano, nella specie, sussistenti le condizioni
richieste dall’art. 2, comma 5, I. n. 297/1982, per consentire al lavoratore di
avere ingresso alle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia;

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