Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27671 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 21/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27671

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12727/2013 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Hualon International s.r.l. in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lorenzo

Imperato e Claudio Lucisano, elettivamente domiciliata presso

quest’ultimo in Roma, alla via Crescenzio n. 91;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 15/12/12 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, pronunciata in data 12 gennaio 2012,

depositata in data 28 marzo 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre

2020 dal consigliere Dott.ssa Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi avverso Hualon International s.r.l. in liquidazione per la cassazione della sentenza n. 15/12/12 della Commissione tributaria regionale del Piemonte (di seguito C.t.r.), pronunciata in data 12 gennaio 2012, depositata in data 28 marzo 2012 e non notificata, che ha accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio, “limitatamente alla ripresa per ammortamento spese pluriennali”, rigettando l’appello incidentale della società contribuente, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento per Ires, Iva ed Irap dell’anno 2005;

con l’avviso di accertamento notificato alla contribuente e relativo all’anno di imposta 2005, l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato, ai fini delle imposte dirette, il valore delle perdite su cambi, degli utili su cambi, delle spese di trasporto, doganali, magazzinaggio ed assicurazione delle merci, le spese di viaggio, alberghi e ristoranti, le sopravvenienze passive, le provvigioni passive, le spese per omaggi ed il pagamento di multe, l’ammortamento per spese pluriennali e per attrezzature ordinarie;

inoltre, ai fini Iva, l’Ufficio aveva accertato sopravvenienze passive;

la C.t.p. di Torino aveva parzialmente accolto il ricorso della contribuente, limitatamente agli utili e perdite su cambi per Euro 177.004,21, sopravvenienze passive per Euro 12.500,00 ed ammortamenti delle spese pluriennali per Euro 27.957,10;

avverso la sentenza di primo grado, l’Ufficio proponeva appello principale, al quale la contribuente resisteva, proponendo a sua volta appello incidentale;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che, con riguardo agli utili e perdite su cambi, le rilevazioni di utile o di perdita fossero determinate dalla differenza tra quanto risultava in contabilità al 31/12/2004 e quanto pagato o incassato nel corso del 2005;

con riferimento alla sopravvenienza passiva relativa al fallimento di una società estera, secondo i giudici di appello, la comunicazione di inesigibilità era avvenuta a ridosso del 2005 (comunicazione del 6/10/2004, che la società dichiara di aver ricevuto in data 11/5/2005) ed era accettabile che il costo venisse detratto in quell’anno, “a seguito della speranza di ulteriore recupero”;

invece, la C.t.r. considerava corretto il recupero a tassazione degli ammortamenti per le spese triennali, rilevando che i costi riguardavano la locazione di un fabbricato a Milano dall’1/7/2000 al 31/3/2001 e che non si rinveniva agli atti alcuna documentazione attestante l’inizio di operatività della contribuente, che potesse giustificare l’attribuzione dei costi a spese di impianto;

inoltre, la C.t.r. considerava corretto il recupero a tassazione di somme per spese di varia natura (viaggi, alberghi, ristoranti, autovetture, spese di rappresentanza, provvigioni) ed operazioni risalenti all’anno 2000, non essendovi documentazione al riguardo, nè il libro cespiti per il controllo delle quote ammortizzate nei precedenti esercizi, nonchè di importi relativi a fatture datate 2005 per spedizioni del 2004;

infine, il giudice di appello riteneva corretto il recupero della quota di ammortamento secondo l’aliquota del 15% applicata dall’Ufficio, non avendo la contribuente compilato il quadro EC della dichiarazione dei redditi, nè prodotto la scheda di ammortamento o il libro cespiti, da cui potesse dedursi l’applicazione di un’aliquota superiore per l’ammortamento anticipato dei cespiti;

in conclusione, la C.t.r. riteneva accoglibile l’appello dell’Ufficio limitatamente all’ammortamento delle spese pluriennali, limitando l’irrogazione delle sanzioni ai recuperi confermati;

a seguito del ricorso, la società contribuente resiste con controricorso ed avanza ricorso incidentale;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1, c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il P.G. Mastroberardino Paola ha fatto pervenire requisitoria scritta, con cui ha chiesto l’accogliersi del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e dichiararsi inammissibile il terzo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo del ricorso principale, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, nella versione applicabile ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, la sentenza impugnata erroneamente ritiene la correttezza della valutazione della società dei debiti e dei crediti in valuta estera, in quanto la società, avendo provveduto all’allineamento dei cambi in valuta estera alla chiusura dell’esercizio 2004, con minori debiti per Euro 441.424,49, regolarmente iscritti nello stato patrimoniale, aveva optato per il “cambio di fine esercizio”;

in relazione al periodo di imposta 2005, la società aveva iscritto nel proprio conto economico perdite su cambi esteri per Euro 455.560,12 ed utili su cambi esteri per Euro 278.555,91, deducendo la differenza pari ad Euro 177.004,21, in violazione dell’art. 110 T.u.i.r., che, al fine di determinare gli utili e le perdite su cambi esteri, dava rilevanza unicamente al momento dell’incasso o del pagamento della posta in valuta estera;

la nuova disciplina, in vigore dal 2005, avrebbe, quindi, previsto la generale indeducibilità delle perdite su cambio, insieme con la non imponibilità di eventuali utili;

ciò in linea con la risposta al quesito posto alla D.R.E. Piemonte durante l’evento Map in data 2/3/2006, dell’interpretazione governativa della VI Commissione Permanente Finanze della Camera dei Deputati n. 5-04287 del 18 maggio 2005 allegato n. 3) e dell’Agenzia delle entrate risoluzione 17 giugno 2005, n. 80/E, nella quale si è precisato che, a decorrere dal periodo di imposta 2005, le attività e passività in valuta devono essere valutate al cambio in essere alla data di chiusura di esercizio, ma i relativi utili e le perdite su cambi non avranno rilevanza fiscale fino al loro effettivo realizzo;

secondo la ricorrente, assumere il valore allineato al 31/12/2004 quale punto di partenza del successivo calcolo degli utili e delle perdite sarebbe in contrasto con l’irrilevanza fiscale del cambio di fine esercizio e comporterebbe il rischio di duplicazioni, con la considerazione delle stesse poste nelle due annualità (nel caso di specie, l’importo di Euro170.269,71, calcolato ai fini di determinare sia gli elementi negativi nel conto economico del 2004, sia le poste passive deducibili del 2005);

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella ritenuta correttezza della valutazione della società dei debiti e dei crediti in valuta estera;

i motivi sono da esaminare congiuntamente, perchè connessi;

il primo è fondato, con conseguente assorbimento del secondo;

invero, dell’art. 110 T.u.i.r., comma 3, vigente ratione temporis prevedeva:”3. La valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio dei crediti e debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni, di titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o di titoli assimilati, non assume rilevanza. Si tiene conto della valutazione al cambio della data di chiusura dell’esercizio delle attività e delle passività per le quali il rischio di cambio è coperto, qualora i contratti di copertura siano anche essi valutati in modo coerente secondo il cambio di chiusura dell’esercizio”;

il D.Lgs. n. 38 del 2005, art. 11, comma 1, lett. e), n. 2, ha sostituito l’art. 110 TUIR, commi 3 e 4, inserendo, al loro posto, solo il comma 3, che prevede l’irrilevanza fiscale degli utili e delle perdite derivanti dall’oscillazione dei cambi dei crediti e debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni;

si è previsto così un trattamento uniforme per i crediti ed i debiti in valuta, trattandosi in entrambi i casi di poste monetarie per le quali sia lo Ias 21 che il codice civile prevedono la valutazione al cambio di fine esercizio;

così, è venuta meno ogni distinzione tra crediti e debiti immobilizzati e non, sicchè, a prescindere dalla loro collocazione in bilancio, le attività e le passività in valuta devono essere valutate al cambio in vigore alla data di chiusura dell’esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi non hanno rilevanza fiscale sino al loro realizzo (sul punto vedi Cassazione civile sez. trib., 12/12/2019, n. 32634, in motivazione);

la norma, quindi, esclude rilevanza fiscale alla valutazione di fine esercizio, valida solo fino al 31/12/2004, con la conseguenza che essa non può rappresentare il riferimento iniziale per le successive valutazioni dei crediti e dei debiti, per i quali rileva invece il momento dell’effettivo incasso o pagamento;

tale lettura della norma, come evidenziato dalla ricorrente, evita il rischio di duplicazioni, con la considerazione delle stesse poste nelle due annualità (nel caso di specie, l’importo di Euro170.269,71, calcolato ai fini di determinare sia gli elementi negativi nel conto economico del 2004, sia le poste passive deducibili del 2005);

in tale senso si è anche espressa la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 80/E del 17 giugno 2005, nella quale si è precisato che, a decorrere dal periodo di imposta 2005, le attività e passività in valuta devono essere valutate al cambio in essere alla data di chiusura di esercizio, ma i relativi utili e le perdite su cambi non avranno rilevanza fiscale fino al loro effettivo realizzo;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, nella versione applicabile ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente, i giudici di appello avrebbero ritenuto erroneamente deducibile la sopravvenienza passiva relativa alla fattura di Euro 12.500,00 del cliente Escorial, per la quale la comunicazione d’inesigibilità sarebbe avvenuta “a ridosso del 2005″ e che la società dichiara di aver ricevuto nel 2005;

la ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe violato la norma in oggetto, ritenendo deducibile nel 2005 una sopravvenienza passiva verificatasi nel 2004, come emergeva dalla lettura della proposta del concordato fallimentare avanzata da Managing Director e omologata dalla Corte regionale di Praga, che prevedeva il pagamento frazionato del debito, con la prima rata a novembre 2004;

il motivo è infondato;

invero, la C.t.r. ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando che solo in data 11 maggio 2005 era stata inoltrata alla società la dichiarazione della Corte regionale di Praga e potevano ritenersi sussistenti gli elementi certi e precisi per la deduzione della perdita su crediti;

tale interpretazione è in linea con le circolari interpretative dell’amministrazione finanziaria, in particolare con la circolare n. 39/E del 10 maggio 2002, secondo cui ” nel caso di crediti vantati nei confronti di debitori non residenti, ai fini della deduzione delle perdite, allo stesso modo che per i crediti vantati nei confronti dei soggetti residenti, si dovrà dimostrare la definitività della perdita su credito, conformemente agli strumenti giuridici previsti nello Stato del debitore”;

nel caso di specie, la C.t.r. ha ritenuto, con accertamento in fatto che non risulta in alcun modo impugnato, che la società abbia avuto solo nel 2005 la certezza della definitività della perdita, per l’insolvenza del debitore estero;

in conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e rigettato il terzo;

passando all’unico motivo di ricorso incidentale, la società contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 108, commi 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

il motivo è infondato e va rigettato;

ai sensi dell’art. 108 T.u.i.r., comma 3, “le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 (le spese relative a studi e ricerche) e 2 (le spese di pubblicità e di propaganda e le spese di rappresentanza) sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”;

a mente del successivo comma 4, ” le spese di cui al presente articolo sostenute dalle imprese di nuova costituzione, comprese le spese di impianto, sono deducibili secondo le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 a partire dall’esercizio in cui sono conseguiti i primi ricavi”;

dunque, l’art. 108 T.u.i.r., comma 4, disciplina la deducibilità fiscale delle spese indicate nei commi precedenti, comprese quelle di impianto, sostenute da imprese di nuova costituzione, rinviandone la deduzione, nelle modalità previste dai commi 1, 2 e 3, all’esercizio in cui sono realizzati i primi ricavi;

il comma in oggetto contiene, quindi, un’applicazione del principio di abbinamento tra deduzione dei costi e ricavi (cd. matching tra costi e ricavi, quale deroga al principio di competenza di cui all’art. 109 T.u.i.r.), con l’effetto di evitare, per le imprese di nuova costituzione, che in genere conseguono i primi ricavi a distanza di tempo dall’inizio dell’attività, ingiustificate penalizzazioni, derivanti dall’impossibilità di ammortizzare le spese sostenute mediante la loro contrapposizione a ricavi o altri proventi non ancora conseguiti;

da alcuni autori è stato fatto notare che tale esigenza si è fortemente attenuata con l’introduzione, nell’art. 102 T.u.i.r., della disposizione di cui al D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 8, comma 1 bis, che consente il riporto illimitato delle perdite avute dalla società neocostituita nei primi tre anni, nonchè con il regime di deducibilità delle perdite introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, che ha eliminato il limite temporale di deducibilità delle stesse;

nel caso di specie, la società lamenta l’illegittimo recupero a tassazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, della quota di ammortamento dei costi relativi a fatture passive per spese di costituzione ed avviamento dell’attività imprenditoriale, sostenute negli anni 2000 e 2001 e dichiarate nel 2005;

secondo la società contribuente, erroneamente la C.t.r. non aveva ritenuto applicabile alla fattispecie in esame la disciplina prevista dall’art. 108 T.u.i.r., commi 3 e ,;

deve, però, rilevarsi che la C.t.r., con accertamento in fatto non oggetto di impugnazione, ha respinto la tesi della contribuente, rilevando che non si rinveniva agli atti alcuna documentazione attestante “l’inizio di operatività” della società neocostituita, che potesse giustificare l’attribuzione dei costi a spese pluriennali di impianto o di avviamento e, quindi, la correlazione ai ricavi, che non risultano neanche dedotti dalla ricorrente;

in conclusione, il ricorso incidentale va rigettato;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. del Piemonte, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e rigettato il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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