Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27670 del 29/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/10/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 29/10/2019), n.27670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11603/14 proposto da:

P.M., rappresentato e difeso, in virtù di procura

speciale rilasciata in calce al ricorso, dagli Avvocati Ciriaco

Danza e Gennaro Fredella, elettivamente domiciliato presso lo studio

di quest’ultimo alla Via Boccardo n. 26/a Roma.

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 243/27/13 della Commissione tributaria

regionale della Puglia, depositata il 7 ottobre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3

luglio 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO

che:

– P.M. ha impugnato l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004 con il quale l’Agenzia delle entrate di Foggia gli aveva richiesto il pagamento di maggiori imposte a titolo di IVA, IRPEF e IRAP, a seguito della contestazione dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti;

– la Commissione tributaria provinciale di Foggia ha respinto il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale della Puglia ha rigettato l’appello;

– il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo;

– l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “per aver la Commissione tributaria regionale trascurato di esaminare e approfondire il fatto più importante costituito dalla voce più significativa degli addebiti con pretesa di maggiori imposte quasi totalmente generati dal disconoscimento di costi relativi alle fatture della ditta Tagliafierro, disconoscendo di fatto l’esistenza dell’operazione, regolarmente fatturata e pagata, ditta della quale è stata provata l’esistenza in vita, da documentazione ed esame della banca dati del Ministero e pertanto l’eventuale utilizzo di altra partita IVA, che sembrerebbe una precedente partita IVA ormai cessata, non poteva essere individuata dal fruitore del servizio al quale non può essere negato il riconoscimento del costo sostenuto”. Secondo quanto argomentato, la detrazione è stata negata “solo perchè i Primi Giudici hanno ipotizzato un comportamento probabilmente truffaldino da parte della ditta Tagliafierro, invece di concedere il beneficio dell’errore materiale”. Si rappresenta inoltre che la parte sarebbe stata privata, di fatto, di un grado di giudizio, in quanto “la riproduzione completa della sentenza di 1 Grado senza motivazione alcuna con linguaggio mutuato dall’espressione e dal lessico di quanto affermato dall’Ufficio costituendosi, non consente nemmeno di valutare eventuale abbandono del processo ove vi fosse stata una convincente spiegazione delle determinazioni”. La parte infine si duole del fatto che i giudici di secondo grado non hanno preso in esame “doglianze e documentazione prodotta in atti senza indicare il motivo di tale comportamento”;

– il motivo è inammissibile;

– in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è consentito denunciare in cassazione, oltre all’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomparabile” (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053), solo il vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e abbia carattere decisivo (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472);

– il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 26 giugno 2018, n. 16812; Cass. 28 settembre 2016, n. 19150);

– nel caso di specie, la parte si è limitata a inserire all’interno del ricorso e come allegati, giustapponendoli, una serie di atti processuali e di documenti, riprodotti in forma fotostatica, senza effettuare alcuna sintesi degli aspetti determinanti che dovrebbero indurre a censurare la pronuncia impugnata, risultando del tutto insufficienti al riguardo le considerazioni conclusive contenute alle pagine 26 e 27, finendo per rimettere, in maniera inammissibile, al giudice di legittimità il compito di rivalutare l’insieme delle risultanze istruttorie, oggetto del giudizio di merito;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

– poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 3.000,00 per onorari oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019

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