Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2767 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2011, (ud. 10/03/2010, dep. 04/02/2011), n.2767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17095/2006 proposto da:

V.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANGELINI Antonio, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

“DOLCELIT SOCIETA’ COOPERATIVA”, già DOLCELIT SOCIETA’ COOPERATIVA A

RESPONSABILITA’ LIMITATA, di seguito elitticamente denominata

DOLCELIT, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso lo studio

dell’avvocato VILLA Piergiorgio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MENGONI STEFANO, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4/2006 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 26/01/2006 r.g.n. 88/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito l’Avvocato VILLA PIERGIORGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’inammissibilità del primo e

secondo motivo del ricorso e rigetto del terzo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto il diritto, o meno, dell’agente signor V.A. alla liquidazione dell’indennità di clientela da parte della preponente società Cooperativa Dolcelit.

Nel ricorso introduttivo il V. chiedeva la condanna dell’azienda al pagamento di alcune voci, e, in particolare, dell’indennità di scioglimento del rapporto a seguito del recesso della preponente e delle provvigioni del mese di ottobre 2002, e alla restituzione di una ritenuta operata sulle provvigioni liquidate nell’anno 2002.

Costituitosi il contraddittorio, ed effettuata l’istruttoria, il giudice di primo grado, accoglieva parzialmente la domanda, condannando la società al pagamento di una serie di somme.

Nel secondo grado del giudizio la Corte d’Appello di Trento rigettava l’impugnazione del V.. Per quel che riguarda specificamente il diritto alla liquidazione dell’indennità di clientela anche per il periodo antecedente al 1998 la Corte di merito rilevava che nel periodo dal 1984 al 2001 il V. era stato socio e membro del consiglio di amministrazione della cooperativa, oltre che agente di essa, ed aveva partecipato in prima persona alla regolamentazione dei rapporti con i soci agenti (che – secondo quanto pacifico in causa – fino al 1997 non avevano diritto alla liquidazione dell’indennità di clientela).

Di conseguenza, in questo caso l’indennità in questione aveva un carattere sicuramente negoziale, come tale derogabile dalle parti.

E, del resto, l’inderogabilità prevista dalla legge si riferiva soltanto all’indennità di fine rapporto (che non era oggetto di contestazione), e non all’indennità di clientela di origine puramente contrattuale.

Avverso la sentenza di appello, depositata in cancelleria il 26 gennaio 2006, e notificata il 14 marzo 2006, il V. proponeva ricorso per cassazione, con tre motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 12 maggio 2006.

La società cooperativa intimata resisteva con controricorso notificato, in termine, il 21 giugno 2006.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non è fondato, e non può trovare accoglimento.

Nel primo motivo di impugnazione il signor V. lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, quello secondo cui non sarebbe stato contestato che fino ai 1997 i soci agenti non avevano titolo alla liquidazione dell’indennità di clientela di cui agli accordi di settore.

Secondo il ricorrente questa affermazione sarebbe stata contraria alle risultanze degli atti processuali, e precisamente con il contenuto del ricorso introduttivo di primo grado e di quello di appello, nonchè con il contenuto del contratto di agenzia del 2 gennaio 1984.

Nel secondo motivo di impugnazione il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e la contraddittoria ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti in relazione al tempo in cui sarebbe intercorsa la pattuizione di esclusione del diritto.

Contesta la motivazione specificamente nel passaggio in cui si afferma che la dichiarazione sottoscritta dai soci agenti in calce ad una delibera del consiglio di amministrazione della Dolcelit dell’ottobre 1997 non integrava una rinunzia in senso proprio, ma piuttosto una presa d’atto definitiva dell’insussistenza di qualsiasi diritto.

2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per essere strettamente connessi, vanno rigettati perchè privi di fondamento.

La Corte territoriale, premesso il carattere negoziale della indennità di clientela ha ritenuto – sulla base dei contenuto della delibera del consiglio di amministrazione della società Dolcefit e del tempo in cui la stessa è stata sottoscritta dagli agenti – che il primo giudice ha correttamente escluso il diritto dello stesso V. a conseguire la suddetta indennità anche per il periodo antecedente l’anno 1998.

Orbene con le censure mosse il V. nel lamentare che la dichiarazione sottoscritta dagli agenti in calce alla delibera del consiglio di amministrazione non costituiva una rinunzia in senso proprio alla rivendicata indennità ma piuttosto una presa d’atto della insussistenza di qualsiasi diritto, ha finito con il contestare gli apprezzamenti di fatto e la valutazione delle risultanze processuali operate dal giudice di appello con la impugnata sentenza, la cui motivazione, per essere congrua, priva di salti logici e rispettosa della normativa applicabile in tema di agenzia, si sottrae ad ogni doglianza in questa sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo il V. denunzia, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia quale quello relativo al mancato esame ed alla mancata applicazione degli accordi ponte del 1992. Lamenta al riguardo che il giudice d’appello ha considerato unicamente i successivi accordi del 2002 e per di più ha ingiustificatamente trascurato di assegnare il dovuto rilievo al carattere inderogabile della normativa codicistica.

Anche questo motivo non può trovare ingresso in questa sede, non essendo lo stesso seguito nella sua esposizione dalla formulazione del quesito di diritto richiesto dal disposto dell’art. 366 bis c.p.c., non avendo il V. censurato specificamente il punto della sentenza del giudice d’appello con il quale si è evidenziato come non fosse stato dallo stesso eccepita l’inadeguatezza del trattamento riconosciutogli anche in sede giudiziaria rispetto ai criteri di massima inderogabili desumibili dall’art. 1751 c.c., e non avendo infine il suddetto V. rispettato il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione per quanto attiene alla ricorrenza dei presupposti richiesti ai fini della configurabilità dell’indennità in oggetto in caso di cessazione del rapporto di agenzia (in giurisprudenza cfr. ex plurimis, con riferimento all’indennità ex art. 1751 c.c., Cass. 14 febbraio 2001 n. 2126 e, più di recente, Cass. 24 novembre 2006 n. 24973).

4. Il ricorso perciò è infondato in tutte le sue articolazioni e non può che essere rigettato.

Le spese, liquidate così come indicato in dispositivo, seguono la soccombenza a carico del ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 33,00, oltre ad Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari, oltre a spese processuali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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