Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27669 del 12/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/10/2021, (ud. 13/07/2021, dep. 12/10/2021), n.27669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28864-2018 proposto da:

PARFINBO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE, 28, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO BUONFIGLIO, rappresentata e difesa

dagli avvocati GIOVANNI CALICETI e MARIO MARTELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1346/2018 della COMM. TRIB. REG. LAZIO,

depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2021 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1 Con ordinanza del Tribunale di Roma del 5 maggio 2020 veniva omologata la proposta di concordato fallimentare della società SOF.I.M. soc. cop. a r.l. avanzata dalla società Par.FIN. BO. S.L.R. in qualità di terzo assuntore, ordinanza che veniva registrata.

In data 23 maggio 2012, l’ufficio notificava avviso di liquidazione dell’imposta ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 54, liquidandola secondo la tariffa allegata, art. 8, lett. b. e lett. g) che veniva impugnato dalla società contribuente, terzo assuntore del concordato, eccependo la decadenza dal potere di emettere l’atto e l’erroneità della somma indicata ai fini della tassazione.

La CTP di Roma dichiarava l’illegittimità della tassazione, ritenendo che il decreto di omologa dovesse essere sottoposto ad imposta fissa.

Proposto appello dall’amministrazione finanziaria, la CTR del Lazio lo accoglieva sul rilievo che erroneamente i giudici di prime cure avevano ritenuto che le somme oggetto di liquidazione fossero destinate alla curatela e quindi attratti nel campo Iva, e dunque da tassare in misura fissa, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 634 del 1972, art. 38 (ora D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40), per gli atti relativi a cessioni di beni soggetti ad iva, l’applicazione del tributo di registro avviene in misura fissa anziché proporzionale; che, tuttavia, nella fattispecie non si versava in ipotesi di cessione di beni nell’esercizio di impresa ovvero di operazione soggetta ad Iva, bensì di crediti iscritti al passivo assoggettabili ad imposta di registro. In particolare, affermava il giudicante che – come emergeva dal concordato – il terzo assuntore si era impegnato ad eseguire il pagamento delle spese relative alla curatela ed il pagamento integrale dei crediti privilegiati.

Trattandosi di crediti di natura bancaria e non bancaria, i primi dovevano essere tassati in misura fissa ex art. 8 cit., mentre gli altri all’imposta di cui all’art. 8 cit., lett. b).

La contribuente ricorre – svolgendo tre motivi – avverso la sentenza della CTR del Lazio n. 1346/2018, depositata il 28.02.2010.

L’Agenzia delle Entrate replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. La società contribuente propone ricorso affidato al primo motivo, adducendo violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, nonché del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 8, in relazione all’art. 360 n. 3), c.p.c.; per avere i giudici regionali violato le norme indicate in rubrica e per non aver considerato l’illegittimità dell’avviso per avere l’Ufficio omesso di esplicitare l’iter logico e giuridico della pretesa.

Sostiene di aver sin dall’introduzione del giudizio lamentato l’erroneità del computo della somma sottoposta a tassazione, in quanto le obbligazioni economiche assunte dalla ricorrente non ammontano all’importo indicato dall’ente finanziario, censurando, in concreto, l’operato dell’ufficio, il quale non avrebbe individuato le operazioni assoggettabili al campo iva e quelle invece da esso escluse.

Elenca, infine, le norme rubricate omettendo di individuare i capi della decisione che avrebbero violato i relativi disposti

3.Con la seconda censura, si lamenta, violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 20, 40 e 52, nonché del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 8, lett. b), e dell’art. 129 L. Fall. ex art. 360, n. 3); per avere il decidente affermato la sottoposizione a imposta di registro del decreto di omologa che, invece, non reca alcuna condanna al pagamento di somme o alla consegna di beni. Sostenendo che trattasi di atto di natura privatistica che si limita a provocare la parziale ablazione del diritto dei creditori (cd. falcidia), il quale non rientra nel novero dei provvedimenti recanti condanna al pagamento di somme di denaro o valori, ad altre prestazioni o alla consegna dei beni di qualsiasi natura.

4. L’ultimo mezzo prospetta la violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 20 e 43, nonché del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 8, lett. b), e dell’art. 129 L.Fall.ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudicante – considerato come base imponibile l’intera somma destinata al soddisfacimento dei creditori senza detrarre la liquidità a disposizione della procedura all’esito delle attività liquidatorie poste in essere negli anni, ammontanti ad Euro 5.048.280,17, somma mai trasferita all’assuntore e rimasta nella disponibilità della procedura e senza considerare l’assunzione dell’obbligo di pagare i creditori. Assume la ricorrente che l’apporto finanziario richiesto all’assuntore era pari ad Euro 700.569,86 di cui 100.000,00 versati a mezzo assegno circolare e la rimanente somma garantita da apposita fideiussione bancaria.

4. La prima censura non supera il vaglio di ammissibilità.

Dalla sentenza impugnata emerge che l’opposizione della contribuente si fondava sulla eccezione di decadenza del termine triennale previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 19, e sul rilievo della infondatezza della liquidazione in quanto l’omologazione del concordato fallimentare doveva essere sottoposta ad imposta fissa di registro.

La stessa amministrazione finanziaria denuncia nel controricorso la novità della questione relativa al difetto di motivazione dell’atto impositivo.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

In materia di ricorso per cassazione, la parte non può mutare – salvo che tale esigenza origini dalla sentenza impugnata – la posizione assunta nel giudizio di appello, attraverso il proprio atto introduttivo o difensivo, per sostenere un motivo di ricorso, giacché, diversamente, si consentirebbe tanto all’appellante di modificare, in un successivo grado di giudizio, il contenuto dell’atto di gravame ed i relativi motivi, con manifesta contraddizione rispetto alla logica che presiede l’esercizio stesso del diritto di impugnazione in appello, le cui ragioni e conclusioni vanno esposte in detta fase processuale, quanto, correlativamente, all’appellato, di mutare le proprie difese rispetto a quelle svolte nell’atto di costituzione (Cass. 2033/2017). La Corte di cassazione, difatti, non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.

5. La seconda doglianza è destituita di fondamento.

Questa Corte ha già avuto modo di rilevare che il decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, deve essere tassato in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 8, lett. a), in ragione degli effetti immediatamente traslativi del provvedimento, con il quale il terzo assuntore acquista i beni fallimentari, senza che assuma conseguentemente rilevanza il generico e nominalistico riferimento agli “atti di omologazione” contenuto nel detto art., lett. g) (Cass., 1 luglio 2020, n. 13352; Cass., 14 marzo 2018, n. 6207; Cass., 12 febbraio 2018, n. 3286). Se, dunque, la disposizione tariffaria, applicabile nella fattispecie (art. 8, lett. a), fa riferimento ai provvedimenti giudiziari “recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti”, – e, quindi, anche alla cessione di crediti, – nella fattispecie, così come si desume dal motivo di ricorso, l’amministrazione ha correlato la base imponibile dell’imposta liquidata a quella disposizione (D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 9) che ha riguardo agli “Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

Vero che un precedente di legittimità diffusamente argomentato giustifica la tassazione fissa in base al “criterio nominalistico” riveniente dall’art. 8, lett. g), cioè per il generico e nominale riferimento di questa disposizione agli atti “di omologazione” (Cass. 11585/2007 Rv. 598633), ma detto precedente concerne un concordato senza immediato effetto traslativo (i.e. concordato con garanzia), del quale pertanto la Corte ha dovuto constatare l’estraneità alla previsione dell’art. 8, lett. a). Definendo il criterio nominalistico in senso residuale, ovvero facendone applicazione solo qualora all’atto nominato come “omologazione” non si correlino effetti traslativi autonomamente inquadrabili, il richiamato precedente getta le basi per escludere dall’ambito applicativo di quel criterio la fattispecie odierna, appunto perché caratterizzata da effetti traslativi propri; in linea, d’altronde, col principio generale che àncora l’imposizione di registro agli “effetti” dell’atto, piuttosto che al relativo “titolo” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, pur dopo la modifica di cui alla L. n. 205 del 2017).

Come rilevato dalla Corte, il concordato fallimentare (R.D. n. 267 del 1942, art. 124) non ha natura contrattuale, posto che i relativi effetti, – anche traslativi (v. ex plurimis, nella giurisprudenza civile della Corte, Cass., 15 marzo 2013, n. 6643; Cass., 1 marzo 2010, n. 4863), – non derivano dalla convenzione delle parti ma dalla legge, che attribuisce alla omologazione l’effetto di sovrapporsi agli accordi tra le parti, che ne costituiscono soltanto il presupposto e che in essa sono trasfusi e rimangono assorbiti (così Cass., 19 gennaio 1984, n. 455; v., altresì, Cass., 5 luglio 2019, n. 18125; Cass., 15 marzo 2013, n. 4 6643; Cass., 17 marzo 2004, n. 5391); e tanto che la stessa disciplina della risoluzione del concordato prescinde dall’accertamento della non imputabilità della causa, il cui esame “e’ precluso dai limitati poteri spettanti al tribunale, il quale, non avendo altro compito che quello di accertare se il concordato sia stato eseguito o meno nei termini e con le modalità stabiliti dalla sentenza di omologazione, non gode di alcun margine di discrezionalità nella valutazione della gravità e dell’imputabilità dell’inadempimento” (Cass., 4 agosto 2017, n. 19604; Cass., 27 dicembre 1996, n. 11503; Cass., 10 gennaio 1996, n. 157).

Per consolidata giurisprudenza di legittimità, il terzo assuntore acquista, dunque, i beni fallimentari, e ciò già con l’omologa del concordato, essendo gli eventuali successivi provvedimenti del giudice delegato atti meramente esecutivi (Cass. 15716/2002 Rv. 558359, Cass. 8832/2007 Rv. 597619, Cass. 4863/2010 Rv. 612336, Cass. 6643/2013 Rv. 625475).

6. Il terzo mezzo è invece fondato.

Questa Corte ha affermato che – in ragione della connessione tra beni ceduti al terzo assuntore ed accollo dei debiti del fallimento – deve trovare applicazione la diversa disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21, comma 3, alla cui stregua (v. già il D.P.R. n. 634 del 1972, art. 20, comma 3, come modificato dal D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 5, conv. in L. 28 gennaio 1984, n. 6) “Non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni”.

Nel concordato fallimentare, – che costituisce modalità di chiusura del fallimento alternativa alla procedura fallimentare, con l’apertura di una fase sostitutiva della liquidazione fallimentare cui si correla la permanenza degli organi fallimentari, in relazione al perdurante interesse dei creditori alla conservazione del patrimonio del fallito, per il buon fine del concordato medesimo, o l’eventualità della sua risoluzione od annullamento (Cass., 9 maggio 2013, n. 11027; Cass., 21 luglio 2011, n. 16040), – gli obblighi del terzo assuntore, corrispondano o meno (per espressa previsione recepita nella omologazione del concordato) ai soli crediti ammessi al passivo, – non possono intendersi alla stregua del prezzo dei beni ceduti (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, coma 2), in quanto l’assunzione di detti debiti costituisce effetto legale naturale, ed imprescindibile, del mezzo di liquidazione alternativo alla procedura fallimentare (mezzo che, come tale, rimane sottoposto al controllo degli organi fallimentari), i debiti in questione, piuttosto, concorrendo a diminuire intrinsecamente lo stesso valore dei beni trasferiti.

Al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, va, pertanto, applicato il criterio di tassazione correlato al D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 8, lett. a), con l’applicazione, così, dell’imposta di registro in misura proporzionale sul valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti, e con esclusione, dalla base imponibile, del contestuale accollo dei debiti collegato a detta cessione dei beni fallimentari (Cass. 11925 del 06/05/2021; n. 3286/2018).

7. Il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo e la sentenza cassata; la necessità di determinare la base imponibile esclude che possa qui decidersi la causa nel merito, sicché occorre officiare il giudice di rinvio per un nuovo esame, che dovrà altresì vagliare l’esattezza quantitativa della pretesa tributaria alla luce dei criteri stabiliti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 21.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, respinto il secondo e dichiarato inammissibile il primo; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Corte di cassazione, tenuta da remoto, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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