Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27666 del 21/11/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 27666 Anno 2017
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 27238-2012 proposto da:
DE MONTE ARIELLA C.F. DMNRLL67C50E125T, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 474, presso lo
studio dell’avvocato GUIDO ORLANDO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLA
GINALDI, giusta delega in atti;
– ricorrentecontro
2017
2955

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI
TRIESTE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO
VACIRCA, che la rappresenta e difende unitamente

Data pubblicazione: 21/11/2017

all’avvocato EMILIO TERPIN, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 248/2012 della CORTE D’APPELLO

di TRIESTE, depositata il 19/09/2012 R.G.N. 49/2010.

R.G. n. 27238 del 2012
Rilevato
1. che la Corte d’Appello di Trieste con la sentenza n. 248/12,
depositata il 10 settembre 2012, pronunciando sull’impugnazione proposta
da Ariella De Monte nei confronti di Centro Azienda Ospedaliero
Universitaria “Ospedali riuniti di Trieste”, avverso la sentenza emessa tra le
parti dal Tribunale di Trieste, rigettava l’appello;
2. che la Corte d’Appello espone nella sentenza che la lavoratrice

di specializzazione in medicina interna e cardiologia, di aver lavorato con
contratti a termine alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera di Trieste dal
1998 al marzo 2001 come dirigente medico di I livello in medicina interna
presso il servizio di pronto soccorso, di avere stipulato contratto di lavoro a
tempo indeterminato con l’Azienda stessa essendo risultata vincitrice di un
concorso per un posto di ruolo presso il Pronto soccorso dell’Ospedale
Maggiore di Trieste.
Da quando era stata assunta a tempo indeterminato aveva operato
con orari di lavoro superiori a quelli tabellari e con servizio di notte
ininterrotto e senza riposi compensativi adeguati e con esposizione a rischi
per la sua stessa incolumità essendo i locali di lavoro accessibili al pubblico
senza barriere di sorta ed in ogni orario in una situazione di grave carenza
di organico, sicchè si trovava più volte di notte ad essere l’unico medico in
servizio. Vane erano state le proteste sollevate, cosi che nel mese di
ottobre 2002 aveva cominciato a lamentare sintomi di malattia. Era poi
accaduto che dal febbraio 2003 al maggio 2004 la De Monte aveva
accettato altro incarico, a tempo determinato, presso il centro diabetologico
e poi, in tempo, aveva richiesto il trasferimento per mobilità ad un reparto
diverso del Pronto soccorso, ma senza esito.
La ricorrente allora si era posta in aspettativa senza assegni e senza
maturazione dell’anzianità di servizio per sei mesi dal giugno 2004, e aveva
poi prolungato detto periodo per altri sei mesi. Era seguito poi un periodo di
malattia dal maggio 2005 all’aprile 2006 e poi un periodo di astensione
obbligatoria per gravidanza a rischio, altro periodo di astensione
obbligatoria per maternità e di astensione facoltativa post partum sino a
tutto il marzo 2008.

aveva adito il Tribunale esponendo di essere un medico chirurgo in possesso

R.G. n. 27238 del 2012
Notava la ricorrente di aver contratto malattia per le illegittime
condizioni di lavoro subite presso il pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore
di Trieste, di esser stata pregiudicata nel corso della carriera dal fatto di
avere dovuto chiedere un periodo di aspettativa non retribuita, di non avere
visto accogliere la domanda di trasferimento ad altro reparto.
Poiché nelle more del giudizio alla De Monte veniva assegnato altro
incarico di suo gradimento rinunciava alla domanda correlata al mancato

trasferimento;

3. che il Tribunale rigettava la domanda;
4. che la Corte d’Appello, rilevava che l’appellante deduceva di aver
subito un danno alla salute derivato dalle condizioni di lavoro nel periodo in
cui aveva lavorato presso l’Ospedale Maggiore di Trieste dal marzo 2001 al
febbraio 2003 come dirigente medico con contratto a tempo indeterminato,
ed agiva ex art. 2087 cod. civ.
OsserNava, quindi; che le risultanze della prova per testi avevano
K Til(eVo
posto in es:Sgre) che la suddivisione dei turni era paritaria, come era
paritetica la fruizione di ferie e riposi; che vi era stata una valutazione
negativa da parte delle autorità di Polizia in merito all’esigenza di
conservare anche di notte un presidio, sussistendo la possibilità per il
personale addetto alle volanti di intervenire sul posto in pochi minuti; che vi
era la possibilità di ricorrere all’ausilio, anche di notte, dei medici
specialisti in servizio presso altri reparti dell’Ospedale stesso; che sussisteva
la presenza in loco di infermieri e barellieri che erano i primi a venire in
contatto con l’utenza ed ad affrontare i casi più complessi in prima battuta;
che era reperibile il superiore Quaranta.
Negli anni interessati (2001/2003), rispetto al passato, non vi erano
)(
stati mutamenti o peggioramenti e e_. t nel turno notturno vi era un solo
medico addetto al pronto soccorso; ciò rilevava perchè la De Monte fino al
1999 aveva lavorato presso il pronto soccorso dell’Ospedale maggiore di
Trieste e quindi era consapevole delle condizioni di lavoro ivi in essere
quando aveva fatto domanda per un posto di ruolo, affrontando il relativo
concorso.
Pertanto,

la Corte d’Appello rigettava i primi due motivi di

impugnazione basati su una diversa valutazione delle prove assunte.

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Affermava anche l’infondatezza del terzo e del quarto motivo di
appello riferiti alle condizioni di salute della De Monte e all’esigenza di
svolgere CTU.
In relazione all’ultimo motivo di appello ed al danno ex art. 2043
cod. civ., assumeva la Corte d’Appello che non vi era prova, né allegazione
di sorta in merito al danno subito dalla ricorrente a seguito della
contestazione di addebito e della richiesta di indicare la sua assicurazione

fatte da parte dell’azienda datrice di lavoro;
5. che per la cassazione della sentenza resa in grado di appello
ricorre Ariella De Monte, prospettando due motivi di ricorso;
6.

che

resiste con controricorso l’Azienda, eccependo in via

preliminare l’inammissibilità del ricorso;
7. che entrambe le parti hanno depositato memoria. La ricorrente,
tra l’altro, nella memoria, si duole del tono del controricorso.
Considerato
1. che

preliminarmente, si osserva che la ricorrente, pur dolendosi

nella memoria del tono del controricorso, a proprio avviso poco rispettoso
della propria professionalità, non ha proposto istanza di cancellazione

ex

art. 89 cod. proc. civ.;
2. che

le eccezioni di inammissibilità del ricorso verranno vagliate

nell’esame dei singoli motivi;
3.

che con il primo motivo di ricorso, rubricato violazione/falsa

applicazione di norme di diritto, sono articolate tre censure.
Con la prima si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. La
Corte avrebbe travisato la domanda fatta valere dalla ricorrente risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’art. 2087 cod. civ. e
dell’art. 2043 cod. civ. perpetrata dalla datrice di lavoro – identificandola in
rivendicazioni dovute a disparità di trattamento, mentre si era prospettato
inadempimento dell’Azienda a garantire idonee condizioni di sicurezza
nell’ambiente di lavoro.
La seconda attiene alla violazione dell’art. 277 cod. proc. civ. La
Corte d’Appello non si pronunciava sull’istanza istruttoria di esperimento di
CTU medica, richiesta sin dal primo grado di giudizio.
Con la terza censura si deduce la violazione dell’art. 115 cod. proc.
civ., atteso che la Corte d’Appello non avrebbe valutato le prove
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documentali messe a disposizione dalla ricorrente – tabulati da cui
emergevano turni effettuati e giornate di malattia – che attestavano come
la ricorrente avesse sostenuto turni in misura superiore a quanto previsto
dal CCNL e a quanto sostenibile, con conseguente aumento dei giorni di
riposo non goduti, con picco in corrispondenza dell’insorgere della malattia;
3. che il motivo non è fondato;
3.1. che nella specie non è ravvisabile il vizio di violazione dell’art.

112 cod. proc. civ., atteso che la Corte d’Appello, dopo avere qualificato la
domanda come proposta ex art. 2087 cod. civ. in relazione al danno alla
salute subito in ragione delle condizioni di lavoro (pag. 9 della sentenza) e

ex art. 2043 cod. civ. (pagg.13 e 14 della sentenza), ha preso in
considerazione le condizioni di lavoro della ricorrente sotto una pluralità di
profili, anche relativi alla sicurezza sui luoghi di lavoro, così vagliando in
modo articolato e complessivo le stesse alla luce delle disposizioni invocate:
sicurezza sul luogo di lavoro, presenza sul luogo di lavoro di altro personale
barellieri ed infermieri, possibilità di avvalersi della collaborazione di altri
medici specialisti, equa distribuzione dei turni di servizio e fruizione delle
ferie;
3.2. che come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità l’art.
2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto
la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli
obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle
conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe
al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa
svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno,
come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e
l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze
sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le
cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del
dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (cfr., Cass.,
n. 2038 del 2013);
3.3. che la Corte d’Appello non ammetteva CTU, con espressa
statuizione (pag. 12 della sentenza di appello, ove l’esame del terzo e del
quarto motivo di appello è riferito anche alla prospettata esigenza di
svolgere CTU), in ragione di articolata motivazione che ha preso in
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considerazione in modo circostanziato le prove per testi (testi Quaranta,
Minutillo, Negro, Triolo), i periodi di malattia limitati nel tempo nel periodo
2001/2003. In particolare la Corte d’Appello riferisce che il teste Negro
aveva esposto che nel corso del 2005, e dunque oltre due anni dai fatti per
cui è causa, si era presentata da lui, medico del lavoro, la De Monte senza
esami clinici rilevanti ai fini di valutare il suo caso e di non avere anzi
raccolto segnalazioni antecedenti della ricorrente riferite al disagio sul

lavoro presso il Pronto soccorso. Il teste Minutillo nel riferire di dolori
addominali, mancamenti e malori di cui soffriva la De Monte, del fatto che
un tanto si verifica sul lavoro e non, affermava di avere ricevuto lamentele
dalla stessa non in merito alle condizioni di lavoro presso il Pronto
soccorso, ma con riguardo al tipo di approccio alle problematiche mediche in
essere in detto servizio, poco consono al tipo di studi e di preparazione della
ricorrente.
Con riguardo alla terza censura si osserva che la Corte d’Appello ha
preso in esame il carico di lavoro nel considerare la suddivisione dello stesso
e nel rilevare come non fossero intervenute modifiche, in particolare con
riguardo al turno notturno, rispetto al periodo in cui la ricorrente aveva
prestato servizio presso il pronto soccorso, in ragione di contratti a termine,
prima di esservi assegnata a domanda a seguito di concorso;
4. che con il secondo motivo di ricorso è prospettato omesso esame
circa fatti decisivi per il giudizio che sono oggetto di discussione tra le parti.
La Corte d’Appello non solo non avrebbe esaminato le prove offerte in
giudizio, ma anche i fatti che da tali prove si desumono. La ricorrente
lamentava l’illegittima imposizione di turni in eccesso e non la mancanza di
equa distribuzione e tale questione non veniva affrontata dal giudice di
secondo grado.
In secondo luogo, la Corte d’Appello ometteva di esaminare il fatto
pacifico della malattia come attestata dai documenti (in particolare perizie
dr. Gilioli, dott.ssa Cotroneo) prodotti in giudizio.
In terzo luogo la Corte d’Appello non aveva tenuto conto del fatto che
nel corso del giudizio fosse intervenuta la destinazione ad altro posto, ai fini
della liquidazione delle spese di giudizio;
4.1. che il motivo è inammissibile.

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4.2. che occorre \ rilevare che il motivo di ricorso per cassazione,
con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della
motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso
convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre
con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici
dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della

discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento
dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi
del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della
disposizione di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.; in caso
contrario, questo motivo di ricorso, come nella fattispecie in esame, si
risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla
natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., n. 9233 del 2006).
4.3. che inoltre, la ricorrente richiama documentazione – tabulatiche assume aver depositato nel giudizio di primo grado, ma rispetto ai quali
non deduce la produzione nel giudizio di appello, e perizie mediche che
assume aver prodotto in giudizio senza indicare tuttavia né la fase
processuale né il luogo.
Tale deduzione, quindi, non soddisfa i requisiti di cui all’art. 366, n. 6,
cod. proc. civ.;
5. che quanto alla censura relativa alle spese di giudizio, si osserva
che la mancata riproduzione del capo della domanda che il giudice di
secondo grado ha dichiarato rinunciato, in uno alle testuali ragioni della
rinuncia, prospettata come adesione da parte dell’Azienda nella deduzione
della ricorrente, non consente di effettuare il giudizio di rilevanza sulla
censura in relazione alla sussistenza di ragioni che ai sensi della disciplina
sulle spese di giudizio avrebbe dovuto far derogare al principio della
soccombenza applicato dal giudice di appello;
6.

che

il ricorso deve essere rigettato e le spese seguono la

soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM

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La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 %, e accessori
di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 27 giugno 2017.

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