Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27664 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4380-2018 proposto da:

T.M., G.A., elettivamente domiciliati in

ROMA CORSO DEL RINASCIMENTO N. 19, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI GIRELLI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1934/2017 della COMM. TRIB. REG. di Calabria,

depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

G.A. e T.M. impugnarono l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS), notificato il (OMISSIS), dell’imposta di successione da D.L.S. di (OMISSIS), deceduta il (OMISSIS), deducendo l’illegittimità dell’atto in quanto privo di sottoscrizione, per mancata instaurazione del contraddittorio endoprocessuale, per mancato riconoscimento delle passività ereditarie dichiarate e di quelle ulteriori emerse dopo l’apertura della successione, per avvenuta dimostrazione nei termine di legge di tutte le passività ereditarie.

L’impugnativa fu accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza che ritenne effettivamente sussistenti e documentate le passività oggetto di causa, ma la decisione venne riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Calabria che, in accoglimento dell’appello erariale, con sentenza depositata col n. 1934/17 il 26/6/2017, confermò la legittimità dell’operato dell’Ente impositore.

Secondo il giudice del gravame, le passività dell’asse ereditario non sono state documentate così come richiesto dal D.Lgs. n. 643 del 1990, artt. 21 e 23, occorrendo all’uopo produrre, entro tre anni dall’apertura della successione, il titolo del debito, nonchè la dichiarazione degli eredi e del creditore del de cuius circa l’attualità del debito.

Per la cassazione ricorrono i contribuenti, articolando tre motivi, illustrati con memoria; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia sui due motivi dell’appello incidentale condizionato vertenti sul fatto che l’Agenzia delle entrate non aveva depositato alcuna delega alla sottoscrizione dell’impugnato avviso di liquidazione, e sul fatto che l’Ufficio non aveva invitato i contribuenti a fornire chiarimenti prima di procedere all’emissione dell’atte impositivo, in quanto il rispetto del contraddittorio endoprocessuale avrebbe consentito loro di documentare tutte le passività della eredità.

Con il secondo motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non avendo la CTR esaminato la documentazione prodotta in sede processuale, già in prime cure, a dimostrazione della sussistenza di tutte le passività ereditarie, rispettando il termine triennale di cui al D.Lgs. n. 643 del 1990, art. 23, essendosi la successione aperta in data (OMISSIS).

Con il terzo motivo denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., non avendo la CTR tenuto conto della regola del riparto dell’onere della prova.

Il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto la sentenza impugnata, oggetto anche di revocazione, è stata revocata dalla CTR della Calabria la con sentenza depositata col n. 915 del 2020 il 18 maggio 2020, come documentato in atti.

La revoca della sentenza d’appello impugnata con ricorso per cassazione determina, infatti, la cessazione della materia del contendere, che dà luogo all’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche l’interesse ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione (o l’impugnazione), ma anche al momento della decisione, perchè è in relazione quest’ultimo – e alla domanda originariamente formulata – che l’interesse va valutato, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione possa essere a sua volta impugnata per cassazione, giacchè la suddetta revocazione costituisce una mera possibilità mentre la carenza di interesse del ricorrente a coltivare il ricorso è attuale, per essere venuta meno la pronuncia che ne costituiva l’oggetto (tra le altre, Cass. n. 10553/2017).

La sopravvenienza della ragione di inammissibilità del ricorso consente la compensazione delle spese del giudizio e determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di finte esse. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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