Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27662 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 30/10/2018), n.27662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9545/2013 proposto da:

SILA S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIER LUIGI DA

PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAOLO IOSSA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO SIBONA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale

mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione dei

crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, EMANUELE DE

ROSE, CARLA D’ALOISIO e LELIO MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1042/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/10/2012, R.G.N. 913/2011.

Fatto

RITENUTO

che: la Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1042/2012, in riforma della sentenza di primo grado, confermava la pretesa dell’Inps e respingeva le domande proposte da Sila Srl avverso il verbale di accertamento e la successiva cartella esattoriale con la quale le era stato ingiunto il pagamento di Euro 63.443,82 a titolo di contributi e somme aggiuntive dovuti all’Inps per il periodo luglio 2007-agosto 2008 in relazione alla posizione lavorativa del signor C.S., ritenuta di lavoro subordinato e non di collaborazione autonoma, sulla scorta della analitica disamina delle prove acquisite in giudizio ed in particolare a seguito della ritenuta maggiore attendibilità delle dichiarazioni rese, spontaneamente e di sorpresa, dai lavoratori in sede ispettiva rispetto alle successive deposizioni testimoniali; ha proposto ricorso per cassazione Sila s.r.l. con due motivi, denunciando: 1) violazione dell’ articolo 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte attribuito valore di piena prova alle dichiarazioni acquisite dall’INPS in sede ispettiva laddove per poter elevare a fini probatori tali dichiarazioni devono essere confermati in giudizio dalle persone che le hanno rese non essendo sufficiente a tal effetto la conferma del verbale da parte del pubblico ufficiale; 2) violazione dell’art. 2094 c.c. e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non avendo la corte spiegato compiutamente le ragioni in forza delle quali le dichiarazioni rese in sede ispettiva fossero da intendersi più genuine rispetto a quelle assunte in sede giurisdizionale; l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che i motivi di ricorso sono privi di fondamento in quanto, anzitutto, è ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta fra le risultanze istruttorie di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; inoltre è pure affermato che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata; per risalente orientamento tale criterio si applica anche in relazione alle dichiarazioni raccolte in sede ispettiva, le quali possono costituire elementi probatori sufficienti ai fini della decisione della causa; mentre neppure è vero che nel caso in esame la Corte d’appello abbia riconosciuto valore di piena prova al verbale di accertamento, essendosi limitata, appunto, ad attribuire efficacia probatoria alle dichiarazioni rese in sede ispettiva in quanto ritenute più attendibili, secondo la tipica valutazione discrezionale spettante al giudice di merito; d’altra parte è pure errata la censura afferente alla violazione dell’onere della prova perchè la Corte d’Appello non ha applicato la regola di giudizio discendente dallo stesso principio, ma ha accertato nel merito l’esistenza di un normale rapporto di lavoro subordinato in capo al lavoratore, sulla base delle prove assunte al processo e del principio di acquisizione della prova; infine risulta inammissibile la censura riferita al vizio di motivazione senza dedurre alcun fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, come impone l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis; il ricorso va pertanto rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; deve darsi atto inoltre che sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 giugno 2018. Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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