Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27658 del 21/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 27658 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA

sul ricorso 26882-2012 proposto da:
LOMBARDI LIBERA LMBLBR74D50E885S, BOCCHINI MARCO
BCCMRC8ORO2I608Z, PIANELLI ELISA PNLLSE8OR41I608Q,
ARLEO PAOLO RLAPLA77C05L0490, tutti elettivamente
domiciliati in RomA,
ln

2017
2685

VIA COSTANTINO MORIN 7, presso

d1 -4’nyyncato WALTER FELICTANT,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIO PINELLI,
giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA – OSPEDALI RIUNITI

Data pubblicazione: 21/11/2017

UMBERTO I – G.M. LANCISI – G. SALESI ANCONA, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente

domiciliata

presso lo studio

rappresentata

e

in ROMA,

VIA

SCIRE’

15,

dell’avvocato LUIGI

CASALE,

dall’avvocato

LORENZO

difesa

– controricorrente

avverso la sentenza n. 341/2012 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 22/05/2012 R.G.N. 308/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

14/06/2017

dal

Consigliere

Dott.

ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato CARLO CARRESE per delega Avvocato
MARIO PINELLI.

GNOCCHINI, giusta delega in atti;

R.G. 26882/2012

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza in data 22/05/2010, in riforma
della sentenza del Tribunale stessa sede n.156/2011, ha rigettato il ricorso
proposto da Libera Lombardi, Sergio Ariano, Elisa Pianelli, Marco Bocchini, Rita

Salesi, e ha dichiarato tempestivamente irrogata la sanzione della sospensione
per tre mesi dal servizio con privazione della retribuzione, inflitta ai dipendenti
per accertata violazione del divieto d’incompatibilità della prestazione, sebbene
il provvedimento fosse stato spedito (e dunque conosciuto dai destinatari)
soltanto una volta spirato il termine di decadenza, previsto dal regolamento di
disciplina, per la conclusione del procedimento. L’esigenza della perentorietà
del termine non sarebbe stata contraddetta, secondo la Corte territoriale,
trattandosi, tra l’altro, non di sanzione generica ma determinata, idonea perciò
a interrompere la decadenza dall’esercizio del potere disciplinare.
Avverso tale decisione interpongono ricorso in Cassazione i dipendenti
Lombardi, Ariano, Pianelli, Bocchini, Pampanini e Arleo con sei censure, cui
resiste con tempestivo controricorso l’Azienda Ospedali Riuniti Umberto I,
Lancisi e Salesi di Ancona.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La prima censura denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6,
co.7, 20 e 24 del regolamento di Disciplina, dell’art. 10 c.c.n.l. per il personale
del comparto sanità 2002-2005, dell’art. 55 bis d.lgs. n.165/2001, in relazione
agli artt. 1362 cod. civ. e 12 delle disposizioni della legge in generale.
Essendo trascorsi quindici giorni in più dei centoventi previsti dal
Regolamento di disciplina, tra la data di contestazione degli addebiti e la
comunicazione della sanzione ai ricorrenti, la sentenza della Corte d’Appello
sarebbe incorsa nella violazione delle norme di cui in epigrafe.

Pampanini, Paolo Arleo, contro l’Azienda Ospedali Riuniti Umberto I, Lancisi e

2. La seconda censura si appunta sull’omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio avendo, la sentenza gravata, ritenuto
concluso il procedimento disciplinare con l’adozione della sanzione e non con la
comunicazione della stessa agli interessati. L’esteriorizzazione della volontà,
rassegnata alla spedizione del provvedimento, non avrebbe, secondo i
ricorrenti, potuto essere surrogata da un eventuale accesso agli atti, peraltro a

La prima e la seconda censura, valutate congiuntamente per la loro intima
connessione, contengono profili d’inammissibilità e al tempo stesso
d’infondatezza.
Quanto al profilo d’inammissibilità, le censure, contrariamente ai canoni di
chiarezza e specificità dell’impugnazione nel giudizio di legittimità, propongono
una pluralità di questioni precedute dall’elencazione delle norme che si
assumono violate, richiedendo un intervento integrativo della Corte, volto a
enucleare l’insieme delle censure, e, per ciascuna delle doglianze sollevate,
deducono sia la violazione di legge sia il vizio di motivazione (Cass.
n.18021/2016).
Le censure sono altresì infondate, in base alla giurisprudenza di questa
Corte, la quale ritiene che l’art. 55

bis, del d.lgs. n.165/2001 configuri la

comunicazione della sanzione disciplinare come mero requisito di efficacia e
non di validità e colloca l’atto di comunicazione della sanzione al di fuori del
procedimento disciplinare (cfr. tra le altre Sez Un. n.8830/2010 e Cass.
n.20566/2010). Quest’ultimo si conclude, infatti, con l’adozione del
provvedimento sanzionatorio, cui è conferita efficacia interruttiva della
decadenza dal potere disciplinare (Cass. n.5637/2009).
3. La terza censura deduce violazione del principio di specificità della
contestazione, di non conformità di quest’ultima alla condotta sanzionata (artt.
7 st.lav. e 2106 cod. civ.), di lesione del diritto di difesa dei dipendenti (art.
112 cod. proc. civ.).
Le contestazioni disciplinari, secondo i ricorrenti, non erano complete e tali
da consentire loro un corretto esercizio del diritto di difesa. Sebbene esse
risalissero al 26/06/2008, infatti, solo il 21/10/2008, l’Ufficio competente per i

2

spese dei dipendenti.

Procedimenti Disciplinari aveva reso noti ai ricorrenti i riferimenti legislativi e
contrattuali dell’addebito. Tale discrasia temporale avrebbe così impedito ai
ricorrenti di ricostruire esattamente gli episodi contestati (in particolare gli
specifici turni e il numero degli stessi, presunto come sovrastimato) così da
poter presentare adeguate discolpe.
4. Con la quarta censura la medesima doglianza è prospettata sotto il

giudizio, consistente nell’aver, la sentenza impugnata, ritenuto specifica la
sanzione in base al semplicistico giudizio secondo cui “…le circostanze oggetto
della contestazione erano ben note ai lavoratori”, e la mancata allegazione di
alcuni documenti del procedimento disciplinare, puntualmente eccepita, non
aveva inciso “…sulla completezza della contestazione iniziale”.
La terza e la quarta censura, valutate congiuntamente per inferenza, sono
inammissibili per difetto di autosufficienza.
In esse parte ricorrente omette di indicare e di trascrivere gli atti e i
documenti contenenti gli addebiti contestati, né specifica in quale sede
processuale questi, genericamente menzionati nel ricorso, siano stati prodotti,
così come prescritto dall’art. 366, co.1 n.6 cod. proc. civ., novellato dal d.lgs.
n.40/2006 (Sez.Un. n. 7161/2010 e n. 28547/2008). Neppure può ritenersi
utile, al fine di superare la predetta censura d’inammissibilità, il rilievo per cui,
la sanzione impugnata sarebbe fondata sui verbali ispettivi dell’Inps, di cui la
datrice si sarebbe limitata a ricopiare acriticamente il contenuto.
Tale assenza di autosufficienza della censura si riverbera altresì sulla
possibilità di un sindacato di legittimità sull’eventuale vizio motivazionale,
essendo il presunto fatto controverso e decisivo per il giudizio prospettato in
modo totalmente generico.
Avuto riguardo al requisito di specificità della sanzione disciplinare, la
sentenza impugnata richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte, motiva
in modo chiaro e completo che in caso di violazione della normativa sulle
incompatibilità trovano applicazione tutti i principi e tutte le regole che
presiedono al corretto esercizio del potere disciplinare e che, pertanto,
nell’instaurare il procedimento, l’amministrazione è tenuta alla contestazione

3

diverso profilo dell’omessa motivazione circa il fatto controverso decisivo per il

degli addebiti, e all’esito dell’accertamento interno, la conclusione non può che
essere la comminazione di una sanzione proporzionata alla gravità in concreto
del fatto commesso.
5. Il quinto motivo si appunta sull’assenza di proporzionalità della sanzione
irrogata, con violazione, da parte della sentenza, degli artt. 7, co. 4 lett. g) e
co. 6 lett. i), del Reg. di Disc., nonché 13 del c.c.n.l. per il personale della

Da un esame comparativo tra gli addebiti contestati e le sanzioni previste
nel codice disciplinare e nel contratto collettivo di settore, i ricorrenti fanno
derivare di aver subito una sanzione superiore a quelle contemplate per
condotte obiettivamente più gravi (es. arbitrario abbandono dal servizio: 10
giorni di sospensione).
La quinta censura è inammissibile, poiché essa si limita a una diversa
ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella sentenza
impugnata, e, censurando l’apprezzamento e il convincimento del Giudice
d’Appello difforme da quello auspicato, mira a un riesame del merito precluso
al giudizio di legittimità (Cass. n.25332/2014; Cass. n.7972/2007).
6. La sesta e ultima censura, contesta l’omessa motivazione circa il fatto
controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’avere la Corte d’Appello
giudicato sussistente un pregiudizio in capo all’amministrazione sebbene fosse
stato provato, da parte dei ricorrenti, l’impegno costante profuso nei confronti
dell’Azienda Ospedaliera e la non interferenza del “secondo lavoro” con le ferie
e i permessi retribuiti.
Anche quest’ultima censura è infondata.
La ricorrenza che il doppio lavoro avvenisse durante ferie e permessi, non è
di per sé idonea a escludere un danno a carico dell’amministrazione datrice.
I periodi di congedo retribuiti, valgono a consentire il ripristino delle
energie lavorative non soltanto nell’interesse del lavoratore, ma anche
dell’efficienza del servizio, nel caso in esame rivolto ad assicurare il bene
pubblico della salute dei cittadini. Oltre a tali finalità incontroverse, deve però
considerarsi l’ulteriore utilità di tali periodi in funzione di una valutazione
completa circa l’affidabilità dei dipendenti all’impresa.

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sanità ratione temporis applicabile.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
6000 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Così deciso all’Udienza del 14/06/2017

Il Consi liere
(Dott. Al

7

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La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento nei confronti

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