Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27657 del 21/11/2017

Civile Sent. Sez. L Num. 27657 Anno 2017
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 12657-2012 proposto da:
A.A., B.B., C.C.,
D.D., E.E., F.F., G.G., tutte elettivamente
2017
2672

domiciliate, presso lo studio
dell’avvocato ANTONIO PILEGGI, che le rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 21/11/2017

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE DI CIRCOLO DI BUSTO

ARSIZIO, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO
POMA 4, presso lo studio dell’avvocato CARLO DE
MARCHIS, che la rappresenta e difende unitamente

– controricorrente

avverso la sentenza n. 329/2011 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 06/05/2011 R.G.N. 1951/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/06/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ANTONIO PILEGGI;
udito l’Avvocato CARLO CAVALIERI.

all’avvocato CARLO CAVALIERI, giusta delega in atti;

R.G. 12657/2012

FATTI DI CAUSA
1.

La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 329 del 6 maggio 2011, pronunciando

sull’appello proposto dall’Azienda ospedaliera Ospedale di Circolo di Busto Arsizio e sull’appello
incidentale proposto da A.A. e altri litisconsorti, in parziale riforma delle sentenze
non definitiva e definitiva rese tra le parti dal Giudice del lavoro di Busto Arsizio, riduceva nel
limite del 25% il risarcimento quantificato in primo grado per il titolo dei mancati riposi
giornalieri relativi al servizio di pronta disponibilità e rigettava nel resto le domande formulate

2. Le lavoratrici ricorrenti, quali ostetriche in servizio presso l’Ospedale di Busto Arsizio,
avevano lamentato di avere subito pregiudizi in conseguenza di una modifica del sistema
organizzativo relativo ai turni lavorativi attuata dall’Azienda ospedaliera, la quale aveva
sostituito al turno notturno con due ostetriche quello con una sola ostetrica e un’altra in
servizio di pronta disponibilità. Le dipendenti avevano allegato pregiudizi sia di natura non
patrimoniale (alla salute) sia di natura economica, in quanto il nuovo sistema di turnazione,
comportando un orario inferiore a quello contrattuale, aveva determinato l’azzeramento da
parte dell’Azienda ospedaliera delle ore prestate come straordinario e depositate nella banca
ore; le lavoratrici avevano quindi chiesto il ripristino della turnazione precedente,
l’azzeramento del debito orario ovvero il pagamento degli straordinari accantonati e comunque
il risarcimento dei danni.
3. Il Giudice di primo grado, con sentenza non definitiva, aveva accertato la violazione da parte
dell’Azienda ospedaliera della norma che prevede il diritto a undici ore di riposo consecutive
ogni ventiquattro ore di lavoro (art. 7 d.lgs. n. 66/2003), in occasione delle chiamate in
disponibilità delle lavoratrici; aveva inoltre condannato l’Azienda al pagamento delle ore
depositate nella banca-ore al momento della modifica del turno, ritenendo illegittima ogni
forma di compensazione. In sede di sentenza definitiva, aveva condannato l’Azienda a
corrispondere alle ricorrenti, escluse quelle per le quali era intervenuta rinuncia al giudizio, le
somme relative alla violazione della normativa in materia di riposi e alle ore straordinarie
accantonate nella banca-ore alla data del 29 luglio 2005.
4.La Corte di appello riteneva che il primo capo di domanda fosse infondato e che quindi
dovesse essere accolta l’impugnazione sul punto proposta dall’Azienda ospedaliera. Premesso
che la turnazione istituita con la delibera n. 477 del 2005, vigente nel periodo 1° agosto 2005 30 settembre 2006, poteva presentare “qualche profilo di illegittimità, non essendo stata
oggetto di concertazione e avendo ridotto l’orario lavorativo di sotto delle 36 ore contrattuali “,
– ed infatti ” riducendo l’orario, la datrice di lavoro ha in sostanza obbligato le lavoratrici a
utilizzare in tempi brevi le ore di straordinario accantonate nella banca ore così da esaurirle ”
dalla condotta datoriale non era conseguito alcun danno. Non vi era stato alcun pregiudizio

dalle lavoratrici in primo grado.

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economico, poiché lavoratrici avevano continuato a percepire la retribuzione ragguagliata al
normale orario di trentasei ore e, ove chiamate in servizio durante il turno di disponibilità,
avevano percepito lo straordinario; in merito agli straordinari accantonati, la maggiorazione
era stata già pagata con le competenze del mese successivo all’espletamento, mentre per la
retribuzione ordinaria era stata operata la compensazione con le ore lavorate in meno per
effetto del nuovo orario. Pertanto, l’unica differenza era consistita nell’iniziativa, adottata
dall’Azienda, circa l’utilizzo delle ore accantonate: nel sistema originario l’utilizzo era rimesso

dall’Azienda mediante la riduzione dell’orario. Un danno avrebbe potuto ipotizzarsi rispetto alle
esigenze familiari e della vita privata delle singole lavoratrici, ma non era sotto questo profilo
che la ricorrenti avevano formulato le loro domande. Le stesse dipendenti non avevano
neppure distinto, nell’ambito del loro conto-ore, quelle compensate su loro richiesta da quelle
compensate d’ufficio dalla datrice di lavoro per effetto della riduzione dell’orario.
5. Quanto al secondo capo di domanda, relativo alla violazione della normativa sui riposi,
prospettata con riferimento ai casi in cui le lavoratrici, in turno di reperibilità, erano state
chiamate a rendere effettivamente la loro prestazione, così da non fruire di un riposo di undici
ore consecutive ogni ventiquattro, la Corte d’appello riformava in parte la sentenza di primo
grado. Rilevava che il C.t.u. nominato aveva opportunamente distinto i mancati riposi per
servizio di pronta disponibilità, rientranti nella causa petendi originaria, da quelli c.d. “in
turno”, dovendo il risarcimento essere riconosciuto limitatamente alla prima voce, oggetto
della domanda giudiziale. Benché il primo Giudice avesse accennato ad una valutazione
equitativa, le somme oggetto della condanna corrispondevano in realtà più o meno
esattamente alla sommatoria degli importi indicati per ogni lavoratrice cumulativamente per
entrambe le voci. Dovendo essere considerata solo la prima tabella elaborata dal CTU, dalla
stessa era possibile desumere che, per ogni lavoratrice, il risarcimento era stato quantificato
moltiplicando il numero dei mancati riposi per la retribuzione giornaliera. Considerato che le
lavoratrici avevano osservato nel periodo dedotto in giudizio un orario inferiore a quello
contrattuale e che la chiamata in disponibilità non comportava una giornata piena di lavoro,
ma una prestazione che poteva anche essere limitata ad alcune ore, la maggiorazione dovuta
per tale prestazione poteva essere quantificata in via equitativa in ragione del 25% della
retribuzione.
6. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso A.A. e le litisconsorti
sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l’Azienda ospedaliera Ospedale di circolo di
Busto Arsizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

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alla volontà della lavoratrice; con la nuova turnistica l’utilizzo era stato di fatto imposto

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1. Il primo motivo denuncia motivazione contraddittoria e insufficiente in ordine al rigetto del
capo di domanda avente oggetto il risarcimento del danno conseguente alla modifica della
turnazione istituita dall’Azienda con delibera n. 477/2005. La Corte d’appello, pur confermando
l’illegittimità delle modifiche di turnazione, quantomeno con riferimento alla riduzione
dell’orario di lavoro e alla conseguente contabilizzazione a debito delle ore lavorate in meno
rispetto alle trentasei ore settimanali contrattualmente previste, con conseguente
compensazione con le ore di straordinario già accumulate “a credito” nella banca-ore, ha

considerare che le lavoratrici erano state private della facoltà, prevista dall’art. 40 C.C.N.L.
comparto Sanità, di poter fruire in natura delle ore accumulate sotto forma di permesso
compensativo ovvero di chiederne la monetizzazione. La scelta dell’Azienda, che con iniziativa
unilaterale aveva modificato l’organizzazione del lavoro in modo da imporre ai propri
dipendenti un orario di lavoro inferiore a quello contrattualmente previsto, era tale da arrecare
un danno, da ritenere insito nella privazione di tale facoltà. Il valore effettivo delle retribuzione
mensilmente percepita dal dipendente non è quello, solo formale ed apparente, pari alle
trentasei ore settimanali contrattualmente previste, ma in realtà quello corrispondente al
numero minore di ore effettivamente lavorate, con addebito della differenza in conto
straordinario.
2. Con il secondo motivo si lamenta motivazione contraddittoria e insufficiente in merito ai
criteri utilizzati per la quantificazione del danno subito dalle lavoratrici ricorrenti a causa della
violazione da parte dell’Azienda datrice di lavoro della normativa in materia di riposi. Il Giudice
di appello ha ritenuto che i mancati riposi c.d. “in turno” fossero estranei alla causa petendi, ha
poi ritenuto di quantificare il danno relativo ai mancati riposi durante il servizio di pronta
disponibilità in ragione del 25% della corrispondente retribuzione dovuta per la relativa
prestazione. Quanto al primo punto, il danno subito dalle lavoratrici concerneva l’intero periodo
di vigenza del servizio di pronta disponibilità, dal 1° agosto 2005 al 30 settembre 2006, in
quanto tutte le ore di lavoro comunque svolte in violazione del loro diritto a riposo, sia in turno
che in servizio di pronta disponibilità, erano diretta conseguenza della nuova turnazione
connessa all’introduzione del medesimo servizio con la delibera aziendale impugnata. Quanto
alla commisurazione del risarcimento per le ore di lavoro rese in violazione e perdita del riposo,
la percentuale del 25% della retribuzione dovuta è del tutto inidonea allo scopo ove si consideri
che l’impegno richiesto alle ricorrenti è stato maggiormente gravoso, considerate le specifiche
mansioni svolte dalle ostetriche, il notevole carico di lavoro con riferimento al numero elevato
di parti e al numero cospicuo di consulenze ostetriche e di patologie ostetriche (come da
comunicazione del primario) che ha richiesto l’intervento spesso in situazioni di particolare
emergenza.

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ritenuto di non ravvisare alcun pregiudizio di natura economica. In tal modo ha omesso di

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3. Il terzo motivo denuncia omessa motivazione in ordine al rigetto dell’appello incidentale
proposto dalle lavoratrici, con cui era stato chiesto di condannare l’Azienda ospedaliera ad
azzerare il debito orario creato dalla stessa successivamente alla delibera impugnata, stante
l’illegittimità dell’addebito sul monte-ore a partire dal

10 agosto 2005 delle ore di lavoro non

prestate rispetto all’orario contrattuale di 36 ore settimanali. I giudici di appello non hanno in
alcun modo motivato il rigetto di tale domanda, limitandosi ad osservare che di un eventuale
pregiudizio si sarebbe potuto parlare solo ove, già azzerato il credito orario, l’Azienda avesse

4. Il ricorso è infondato.
5. Il primo motivo difetta di specificità rispetto al decisum (art. 366 n. 4 c.p.c-.9– La Corte
territoriale ha bene evidenziato che dal comportamento dell’Azienda non era derivato alcun
danno economico riguardo alla retribuzione. La sentenza ha dato atto, con accertamento
neppure specificamente censurato, che la compensazione non ha riguardato la maggiorazione
dovuta per lo straordinario, regolarmente erogata, ma la retribuzione per lavoro ordinario,
portata in compensazione per effetto del minor numero di ore effettivamente lavorate dalle
ricorrenti. Quindi, contrariamente a quanto prospettato nel primo motivo di ricorso, le
ricorrenti hanno sempre percepito una retribuzione corrispondente alle trentasei ore
settimanali contrattualmente previste e non vi è stata alcuna mancata corresponsione di
maggiorazioni spettati a titolo di lavoro straordinario.
5.1. Quanto alla privazione della facoltà di scelta tra fruizione in natura e monetizzazione del
surplus orario accumulato nella banca-ore, la sentenza impugnata ha escluso che le ricorrenti
avessero prospettato di avere subito danni di natura personale o familiare indotti dalla
privazione di tale facoltà ed anzi è stato argomentato che la domanda originaria non
riguardava tale aspetto e che nessun danno riconducibile alla privazione della facoltà era stato
allegato. Nessun vizio logico né contraddittorieta della sentenza è dato ravvisare, atteso che in
difetto di danno alcuna domanda risarcitoria poteva dirsi fondata per il mero dato costituito dal
provvedimento di riorganizzazione dei turni di lavoro adottata dall’Azienda per una più
efficiente organizzazione del servizio. L’unico danno effettivamente subito dalla lavoratrici è
quello relativo alla mancata fruizione del riposo di undici ore continuative ogni ventiquattro in
caso di effettiva prestazione lavorativa durante il turno di disponibilità, ossia il danno relativo
al capo di domanda che ha trovato accoglimento.
6. Anche il secondo motivo è inammissibile. La Corte di appello ha escluso che la domanda
originaria includesse una pretesa risarcitoria per i mancati riposi “in turno”. Il motivo di ricorso
tende a contestare tale assunto senza formulare una specifica censura di ordine processuale
che abbia ad oggetto l’interpretazione della domanda originaria. Invero, la censura sembra
volere accreditare la correttezza della quantificazione operata dal C.t.u. che aveva incluso, in

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preteso di considerare in debito le lavoratrici.

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apposita tabella, anche detta voce di danno; tuttavia, il presunto danno prospettato in via
indiretta, quale riflesso della diversa articolazione oraria, implica anch’esso la necessità delle
opportune allegazioni sin dall’atto introduttivo del giudizio, mentre l’assenza di una censura
specifica di ordine processuale sul punto, preclude in radice la valorizzazione dell’accertamento
peritale sul punto.
7. Infine, il terzo motivo denuncia un’omessa pronuncia su un capo di domanda che si assume
riproposto in appello. In realtà, contraddittoriamente rispetto alla formulazione del motivo, la

pronunciato sulla stessa, ritenendo che la stessa avrebbe potuto essere accolta solo nell’ipotesi
(che tuttavia nella specie non ricorreva) che l’Azienda, oltre a compensare il credito orario,
realizzando una forzosa fruizione del monte-ore accumulato (peraltro senza danni economici
per le dipendenti, come si è detto) avesse proceduto a operare detrazioni a debito. Sussiste
quindi una pronuncia su tale capo di domanda e l’assunto di omessa pronuncia è infondato.
8. In conclusione il ricorso va respinto con condanna di parte ricorrente al pagamento delle
spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in C 4.500,00 per compensi e in C 200,00 per esborsi, oltre spese generali
nella misura del 15% e accessori di legge.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 14 giugno 2017

stessa parte ricorrente ha dato atto che la Corte di appello ha respinto la domanda, ossia ha

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