Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27654 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 03/12/2020), n.27654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18819-2015 proposto da:

P.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G

MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato RELLEVA PIERO GIUSEPPE,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI TARANTO, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1121/2015 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

TARANTO, depositata il 19/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del PM in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO che ha concluso per

il rigetto del ricorso (inammissibile primo e quarto motivo,

infondati secondo e terzo). Conseguenze di legge.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

P.M.C. propose ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate, perfezionatosi sull’istanza di rimborso della ritenuta di Euro 78.000,00 operata dall’O.S.L. (Organismo Straordinario di Liquidazione) del Comune di Taranto sulla maggior somma, pari ad Euro 390.000,00, corrisposta a transazione della lite insorta tra le parti a seguito di esproprio per pubblica utilità di terreni compresi nel terzo comprensorio P.E.E.P. dell’ente territoriale.

La contribuente sosteneva che l’importo concordato a transazione della lite, ben inferiore allo stesso valore dei cespiti, non fosse assoggettabile ad imposta. La Commissione di primo grado accolse parzialmente il ricorso della P. con sentenza n. 345/7/2009, rilevando che la stessa contribuente aveva indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2008 una plusvalenza tassabile pari ad Euro 11.922,38. Ciascuna delle parti propose appello, l’Agenzia delle entrate insistendo sulla correttezza dell’applicazione della ritenuta del 20% sull’intero importo, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, commi 5, 6 e 7; la P. contestando la legittimità della tassazione delle indennità derivanti da esproprio, peraltro inadeguate rispetto al valore dei beni espropriati, e a tal fine invocando anche pronunce della CEDU.

La Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Taranto, con la sentenza ora al vaglio della Corte, accolse integralmente la prospettazione difensiva dell’Amministrazione finanziaria, rigettando il ricorso introduttivo della contribuente. Il giudice d’appello, invocando anche precedenti di questa Corte, ha ritenuto legittima e conforme a legge la tassazione delle indennità di esproprio, siano esse determinate con cessione volontaria, siano esse quantificate a titolo indennitario o risarcitorio all’esito di una controversia giudiziale, dovendosi peraltro distinguere le questioni afferenti alla congruità dell’indennizzo dagli obblighi fiscali, questi ultimi temporalmente collocati in un momento successivo alla liquidazione e rientranti nell’area di operatività dell’art. 53 Cost..

Avverso la decisione la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi:

con il primo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in particolare per non essersi espressa sulla denunciata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 11 della CEDU;

con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Protocollo n. 11 della CEDU, nonchè per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, e dell’art. 6 del Trattato di Maastricht, in particolare per non aver tenuto conto, secondo l’interpretazione elaborata dalla ricorrente, che il riconoscimento della legittimità della tassazione al 20% della plusvalenza conseguita dall’espropriato è subordinata all’adeguatezza del ristoro economico riconosciutogli;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Protocollo n. 11 della CEDU, nonchè per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, e dell’art. 6 del Trattato di Maastricht, per non aver tenuto conto non solo dell’irrisorietà dell’indennizzo, ma della sua corresponsione a distanza di 26 anni dall’esproprio, con ingiustificato ritardo nel pagamento da parte della P.A., e comunque dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991;

con il quarto per violazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5 e ss., per non aver tenuto conto che l’imposta non era stata applicata solo al valore dei terreni espropriati, ma anche ai fabbricati, che invece non potevano dare luogo a plusvalenze.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni conseguente determinazione.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, contestando l’ammissibilità e il fondamento dei motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

La causa è stata trattata nell’adunanza camerale dell’8 settembre 2020 ed all’esito decisa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il primo motivo va dichiarato inammissibile. Sebbene esso ometta il riferimento al vizio, tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., da cui la sentenza sarebbe affetta, il tenore della censura riconduce la critica nell’alveo del vizio di motivazione.

Occorre premettere che la sentenza è stata depositata il 19 maggio 2015, ossia nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Con esso non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. A tal fine è stato affermato che il riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, ossia che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940; 29/10/2018, n. 27415). Nel caso di specie la ricorrente non denuncia l’omesso esame di un “fatto”, ma denuncia la mancata considerazione della normativa comunitaria e della interpretazione che di essa sarebbe stata data dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E’ palese dunque l’estraneità della denunciata omissione alla fattispecie prevista dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Sono invece infondati il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente perchè tra loro connessi.

La ricorrente sostiene che la tassabilità delle plusvalenze per redditi diversi, realizzate a seguito della percezione di indennità di esproprio o somme comunque percepite nell’ambito di procedure ablative di terreni, disciplinata dalla L. n. 413 del 199, art. 11, commi 5, 6 e 7, (che ha esteso alla suddetta fattispecie il trattamento fiscale regolato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. b), del già art. 81, comma 1, lett. b della medesima normativa -), incontra il limite, secondo la giurisprudenza comunitaria, della corresponsione in favore del privato di un valore indennitario adeguato rispetto al valore di mercato del bene. Sul punto invoca pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che avrebbero ritenuto la disciplina italiana in contrasto con l’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 della CEDU e con l’art. 6 del Trattato di Maasctricht. Ha peraltro denunciato l’illegittima tassazione dell’indennità d’esproprio percepita, corrisposta dall’ente dopo ben 26 anni dall’occupazione dei terreni, e dunque successivamente alla introduzione della L. n. 413 del 1991, sebbene l’attività ablativa fosse di molto anteriore alla legge che ne aveva riconosciuto l’imponibilità.

Pacifico che il momento impositivo segue il criterio di cassa, ancorchè gli atti ablativi siano intervenuti anteriormente all’1 gennaio 1989 (Cass., 09/07/2004, n. 12706; 05/05/2010, n. 10811; 16/02/2012, n. 2194; 07/08/2015, n. 16619), questa Corte è ripetutamente intervenuta in materia, escludendo, sebbene con qualche correzione nei termini che saranno appresso chiariti, una incompatibilità della disciplina introdotta con la L. 413 del 1991 con i principi costituzionali, nonchè una violazione dei parametri Eurounitari a tutela del diritto di proprietà affermati nell’art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e nell’art. 1 del Protocollo Addizionale n. 1 alla CEDU. Sul punto in particolare si è negato il contrasto con l’art. 1 del citato Protocollo Addizionale della disciplina di assoggettamento a tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio, prevista dalla legge del 1991, evidenziando che il “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e il requisito della salvaguardia del diritto fondamentale di proprietà, enunciato dall’art. 1 cit., riguarda la disciplina delle ipotesi di ingerenza dell’ente pubblico sulla proprietà privata e del quantum da corrispondere in tali casi al privato spogliato del suo diritto di proprietà, mentre l’art. 11 cit. attiene al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, cioè ad un ambito, quello fiscale, del tutto distinto dagli aspetti sostanziali – indennitari della vicenda espropriativa (cfr. Cass., 30/06/2011, n. 14362; cfr. anche 18/11/2011, n. 24261, secondo cui la disciplina non si pone in contrasto nè con l’art. 3 Cost., nè con la CEDU, la quale concerne soltanto il profilo della tutela del diritto di proprietà, ma non gli aspetti fiscali della vicenda espropriativa). Il principio è stato ribadito di recente, affermandosi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, in relazione all’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, in ordine alla previsione della tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio. Ciò non solo perchè tale disciplina (come già evidenziato) non incide sul contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, ma sul momento successivo di esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, ma anche perchè, come avvertito dalla stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo, l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario, in quanto la somma da corrispondere non è tale da rendere il pagamento equiparabile ad una confisca (Cass., 19/10/2018, n. 26417). Nello specifico quest’ultima decisione in motivazione ha chiarito che “…. la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito, con due decisioni del 16 gennaio 2018, (ricorsi n. 60633/16 Cacciato v. Italy e n. Guiso and Consiglio v. Italy) che l’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, pur riconoscendo che l’indennità corrisposta dalle amministrazioni dopo un’espropriazione rientra nel diritto di proprietà tutelato dal Protocollo n. 1, ha ribadito il principio secondo cui gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento perchè devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali. E in particolare ha affermato che l’imposta fissata non può essere classificata come un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario anche perchè la cifra da versare, non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando l’entità in relazione al valore di mercato dei terreni. Inoltre, sempre secondo le decisioni sopra citate, “le autorità nazionali hanno offerto ai ricorrenti la possibilità di scegliere tra il pagamento della ritenuta del 20% a titolo di imposta o procedere al pagamento della tassazione in base alle entrate dichiarate nella dichiarazione dei redditi. Di qui la conclusione dell’assenza di violazione da parte dell’Italia che ha raggiunto un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali.”.

Le conclusioni cui da ultimo addiviene la Corte di Strasburgo erano già state espresse dalla giurisprudenza di questa Corte a proposito della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 7 cit., laddove – si denunciava – imponeva l’aliquota del 20 per cento sull’intero indennizzo corrisposto, e non sulla differenza tra quanto corrisposto ed il valore originario del terreno, in ciò solo dovendosi identificare il conseguimento della plusvalenza. Sul punto infatti il giudice di legittimità ha affermato che con riguardo al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla percezione di somme a seguito di procedimenti espropriativi, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., detto art. 11, comma 7, nella parte in cui prevede che la ritenuta del 20 per cento si applichi sull’intera somma percepita e non sulla sola plusvalenza, atteso che la norma stessa attribuisce al contribuente la facoltà di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione ordinaria, in base alla quale l’ammontare dell’imposta dovuta è determinato tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali (Cass., 08/02/2005, n. 2490; 25/11/2011, n. 24908; 17/05/2017, n. 12275).

In particolare significativa è la motivazione della prima delle pronunce citate, secondo cui “…se il contribuente, come nella specie, non chiede di optare per la tassazione ordinaria, vuol dire che la tassazione “secca” realizza un prelievo fiscale inferiore a quello che risulterebbe rispettando il principio della tassazione in base alla capacità contributiva, invocato dal Con la ulteriore conseguenza che, se il prelievo fiscale attuato con il metodo della ritenuta “secca” (accettato dal contribuente) è al di sotto dell’ammontare del prelievo che risulterebbe dovuto tassando soltanto la plusvalenza, allora non si vede come si possa sostenere che il prelievo abbia “eroso” una parte del patrimonio Peraltro, la Corte Costituzionale ha già rilevato come “la facoltà del contribuente di optare per la tassazione ordinarla gli consente di dimostrare la non configurabilità di fatto, di una plusvalenza da esproprio” (Corte Cost. Ord. 395/2002).”.

E’ altrettanto vero che in talune fattispecie l’imponibilità dell’indennizzo (o del risarcimento conseguito) non rispetta i parametri costituzionali nè quelli della Convenzione Europea, come la Corte di Strasburgo ha avuto modo di affermare in alcune pronunce, e tra esse in particolare la decisione 16 marzo 2010, ric. 72638/2001 (Belmonte c/ Italia). A tal fine la giurisprudenza ha avvertito che, se ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11 cit. è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, ed in particolare prima del 1 gennaio 1989, tuttavia qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza (Cass., 22/01/2013, n. 1429; 12/01/2016, n. 265; 09/02/2017, n. 3503).

Illustrata e perimetrata la disciplina, come interpretata dalla Corte di legittimità alla luce dei parametri costituzionali, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e della giurisprudenza CEDU, è manifesta l’infondatezza dei motivi secondo e terzo del ricorso della P..

La lamentata esiguità dell’indennizzo conseguito, a fronte del valore di mercato dei terreni espropriati, a parte le considerazioni sull’autonomia del momento impositivo rispetto a quello sostanziale in cui si è estrinsecato il potere ablativo dell’ente pubblico, non tiene conto che è stato frutto di una transazione raggiunta tra le parti e non tiene conto che l’ente pubblico debitore, dopo il dichiarato dissesto del Comune di Taranto, operava quale Organismo Straordinario di Liquidazione, una situazione cioè non diversa dallo stato fallimentare di un operatore economico rispetto ai propri creditori. Con l’effetto dunque che su ogni rapporto di credito incideva la condizione economica dell’Organismo operante. Nè ai fini della tassabilità o meno dell’indennizzo conseguito può tenersi conto della circostanza che l’attività ablativa si sia perfezionata agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso e che il pagamento sia avvenuto nel 2007, ossia dopo ventisei anni. Come affermato dalla Corte di Strasburgo e come ribadito dalla Corte di legittimità, il discrimine tra le due ipotesi esige l’addebitabilità di un colposo ritardo della Pubblica Amministrazione nella esecuzione del pagamento, laddove nel caso di specie l’indennizzo è stato determinato e liquidato all’esito di un lungo contenzioso, fattispecie che, sotto il profilo giuridico, esula da ritardi ingiustificati dell’ente espropriante.

Inammissibile infine è il quarto motivo, con il quale la ricorrente ha denunciato la violazione della L. n. 413 del 199, art. 11, comma 5 e ss., per non aver tenuto conto che l’imposta non era stata applicata solo al valore dei terreni espropriati, ma anche ai fabbricati, che invece non potevano dare luogo a plusvalenze. Il motivo infatti manca di autosufficienza per non aver indicato la contribuente in quale grado e in quale atto la questione fosse stata sollevata.

In conclusione il ricorso va rigettato e a carico della parte soccombente vanno poste le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso della ricorrente. Condanna la P. alla rifusione in favore dell’Agenzia delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

 

 

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