Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27653 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 30/10/2018, (ud. 21/02/2018, dep. 30/10/2018), n.27653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6828/2013 proposto da:

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, c.f. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA VIA IV

NOVEMBRE 144 presso lo degli avvocati DONATELLA MORAGGI, LAURA

DAMIANI, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO CONTI

ROSSINI 26, presso lo studio dell’avvocato PAOLO D’URBANO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4347/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/09/2012, R.G.N. 3319/09.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia del Tribunale, ha accertato il diritto di B.F., dipendente Ispesi (ora Inail), addetto al compito di eseguire radiografie e raggi X presso la “12^ l’Unità – Controlli non Distruttivi” del Dipartimento Tecnologie di Sicurezza dell’Ente, a vedersi riconosciuta l’indennità di rischio da esposizione a radiazioni ionizzanti a far data dal 2/7/1998, ai sensi dell’art. 47 c.c.n.l. per il personale del comparto istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione, per rientrare lo stesso nella categoria A) di cui al D.Lgs. n. 230 del 1995. La Corte territoriale ha accertato che, non essendo stata contestata nel corso del giudizio l’appartenenza alla categoria A) dell’appellato, essa spiegasse i suoi effetti fin dal 1998, e non dal 2008, data in cui la Commissione tecnica nominata dall’Ente ai sensi del D.P.R. n. 171 del 1991, art. 26 e richiamata anche dai successivi contratti collettivi nazionali per il personale delle Istituzioni e degli Enti di Ricerca e Sperimentazione (1994/1997 e 1998/2001), aveva operato la verifica della categoria di appartenenza del lavoratore. A tanto era giunta la Corte di merito ritenendo che la predetta classificazione derivasse da classificazioni oggettive del personale e non necessitasse, quindi, di una verifica ex post ad opera dell’organismo di valutazione;

avverso tale pronuncia ricorre per cassazione l’Inail con un’unica censura, cui resiste con tempestivo controricorso, illustrato da memoria, B.F..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente Istituto contesta “Violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 54 del c.c.n.l. 1994/1997, all’art. 47 del c.c.n.l. 1998/2001 ed all’art. 42 del c.c.n.l. 2002/2005 del comparto della ricerca; violazione del D.P.R. n. 171 del 1991, art. 26 e della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 230 del 1995”. Che l’interpretazione della Corte territoriale non sarebbe coerente con l’impianto normativo e giurisprudenziale consolidato in materia di indennità di rischio da radiazioni, nel tempo oggetto di una serie di interventi non sempre facilmente ricostruibili. Sebbene con l’emanazione del D.Lgs. n. 230 del 1995, il legislatore abbia introdotto puntuali definizioni degli indicatori da esposizione professionale al rischio di radiazioni, ciò non sarebbe sufficiente a far ritenere il diritto all’indennità sorto automaticamente, in quanto il richiamo da parte dei contratti collettivi sia al D.P.R. n. 171 del 1991, art. 26, sia al D.Lgs. n. 230 del 1995, confermerebbe che le parti sociali abbiano voluto mantenere inalterato il meccanismo previsto dal D.P.R. n. 171 del 1991, art. 26, che subordina la corresponsione dell’indennità di rischio alla verifica da parte dell’apposita Commissione di valutazione. Pertanto, poichè la Commissione tecnica nominata dall’Ispesl (Delib. dir. 17 aprile 2008, n. A0015/0001424) aveva accertato l’appartenenza alla categoria A) dell’appellato solo nella seduta del 6/10/2008, nessuna indennità avrebbe dovuto essere riconosciuta per il periodo precedente, dovendo escludersi che la valutazione potesse essere ricondotta – come erroneamente ha ritenuto la Corte d’Appello – a “classificazioni assolutamente oggettive del personale” (p. 5 sent.);

la censura presenta profili di inammissibilità e di infondatezza;

gotto il primo aspetto, questa Corte in controversia sovrapponibile ha già evidenziato come la difesa dell’Inail si limiti a censurare genericamente la ratio decidendi riguardante l’affermato diritto dell’appellato a vedersi riconoscere l’indennità di rischio ex tunc, affermando in modo apodittico che nessuna indennità potrebbe essere riconosciuta per il periodo antecedente al 6 ottobre 2008 (p. 12 sent.) (Cass. n. 31081/2017);

l’inammissibilità della censura consegue anche dal non avere, parte ricorrente, formulato specifiche doglianze rispetto all’altra ratio decidendi concernente l’accertamento della natura dichiarativa dell’attività della Commissione tecnica di valutazione da cui viene fatta discendere la decorrenza ex tunc del beneficio in capo all’appellato. La difesa di parte ricorrente lascia presumere di propendere per la tesi della natura costitutiva dell’accertamento dell’organo di valutazione e dell’efficacia ex nunc della classificazione in categoria A), ai fini dell’attribuzione dell’indennità nella misura prevista per la fascia più alta di valutazione del rischio da radiazioni ionizzanti, secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 230 del 1995, ma non contesta, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione, la conclusione raggiunta dal Giudice dell’Appello. (Sez. Un. n. 7931/2013);

trova applicazione, di conseguenza, il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, quando una sentenza è sorretta da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali da una pluralità di ragioni distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (da ultimo Cass. n. 9752/2017, richiamata anche da Cass. n. 31081/2017 cit.);

la censura è, altresì infondata nel merito, avendo la giurisprudenza di questa Corte già ritenuto che l’interpretazione delle norme in materia di indennità di rischio operata dai giudici del merito non solo non viola alcun canone interpretativo, così come vorrebbe la difesa dell’Inail, ma produce l’effetto di valorizzare interamente il sistema scaturito dalle progressive riforme che hanno interessato la materia. Quanto alla misura dell’indennità, essa risulta sempre disciplinata dal D.P.R. n. 171 del 1991, art. 26, mentre, quanto all’individuazione dei beneficiari vale la nuova classificazione operata dal successivo D.Lgs. n. 230 del 1995, così che, per effetto della lettura combinata delle due normative, nel nuovo sistema, ai lavoratori maggiormente esposti (Categoria A) spetta l’indennità di rischio nella misura massima, mentre ai lavoratori esposti in misura inferiore (Categoria B) spetta l’indennità in misura minore (in tal senso, da ultimo cfr. Cass. n. 21666/2017);

siffatta conclusione legittima, pertanto, l’affermazione della Corte

territoriale circa la natura dichiarativa dell’accertamento tecnico, in quanto la legge ha inteso affidare il nuovo sistema di classificazione “…a criteri assolutamente oggettivi” e, pertanto, esso spiega effetti anche per il periodo antecedente all’accertamento tecnico di natura di dichiarativa;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 4.000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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