Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27653 del 11/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27653 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 19565-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3187

contro

ARENA MARIANGELA, BORRIELLO ANTONIETTA, CELLA MARIA,
DI MEGLIO VINCENZO, GRIMALDI ANTONELLA, GRIMALDI
GIUSEPPINA, IACONO FILOMENA ROSARIA, MAZZELLA

Data pubblicazione: 11/12/2013

FRANCESCA,

MORMILE

VENERANDA,

PETRACCIA LUCIA,

TASSIELLO CONSINiA, VITALE CONCETTA, tutti
elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 185,
presso lo studio dell’avvocato VERSACE RAFFAELE,
rappresentati e difesi dall’avvocato DI PALMA

– controri correnti nonchè contro

POROLISI GIUSEPPINA, MARASCO ROSA, MATTERA CONCETTA,
TREMATERRA MARIA, DI MEGLIO ANTONIETTA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 5904/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 13/07/2007 r.g.n. 5297/05.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per: inammissibilità per nove resistenti e rigetto per
gli altri.

VINCENZO, giusta delega in atti;

R.G. 19565/2008 .
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 27-10-2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli
rigettava le domande proposte, nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, da

Trematerra, Consiglia Tassiello, Antonietta Borriello, Maria Cella, Francesca
Mazzella, Filomena Rosaria Iacono, Giuseppina Parolisi, Concetta Vitale,
Mariangela Arena, Vincenzo Di Meglio, Antonietta Di Meglio, Rosa Marasco,
Maria Concetta Mattera e Lucia Petraccia, dirette ad ottenere la declaratoria di
nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con la società, per
“esigenze eccezionali” ex art. 8 ceni 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e
succ. (con decorrenza, rispettivamente, dalle seguenti date: 4-6-1999, 26-101998, 5-10-2000, 5-5-1999, 21-12-1998, 1-2-2000, 1-12-2000, 4-6-1999, 6-72000, 2-11-1998, 23-9-1999, 3-7-1999, 11-11-1999, 1-12-1999, 26-10-1998, 56-1999, 7-10-2000) ,con le pronunce consequenziali.
I lavoratori proponevano appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma con l’accoglimento della domanda.
La società appellata si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 13-7-2007, in
accoglimento dell’appello dichiarava la nullità del termine finale apposto ai
contratti de quibus e condannava la società a corrispondere agli appellanti le
retribuzioni spettanti con decorrenza dalla data di notifica dei ricorsi
introduttivi di primo grado oltre rivalutazione e interessi dalla maturazione di
ciascun credito fino al saldo.

1

Giuseppina Grimaldi, Antonella Grimaldi, Veneranda Mormile, Maria

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
I lavoratori Giuseppina Grimaldi, Antonella Grimaldi, Mormile, Tassiello,
Borriello, Cella, Mazzella, Iacono, Vitale, Arena, Di Meglio Vincenzo e

intimati.
Successivamente sono stati depositate copie di verbali di conciliazione in
sede sindacale relativi a Giuseppina Grimaldi, Tramaterra, Tassiello, Cella,
Mazzella, Iacono, Arena, Di Meglio Vincenzo, Di Meglio Antonietta, Marasco
e Mattera, conclusi rispettivamente il 27-11-2008, 9-7-2008, 30-7-2008, 24-92009, 27-11-2008, 20-1-2009, 25-11-2008, 23-3-2009, 9-7-2008, 8-6-2006, 97-2008.
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, in primo luogo il ricorso va dichiarato inammissibile nei
confronti dei detti lavoratori che hanno conciliato la lite.
Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta che le parti hanno
raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi
atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di
legge e dichiarando che — in caso di fasi giudiziali ancora aperte — le stesse
saranno definite in coerenza con il presente verbale.
Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano
idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di
cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a
proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue
pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad
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Petraccia hanno resistito con controricorso, mentre gli altri sono rimasti

agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in

,

cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della
decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda
originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29

n. 302).
In considerazione, poi, dell’accordo conciliativo complessivo intervenuto,
le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensate tra le parti
costituite, mentre non si provvede per le spese nei confronti delle lavoratrici
(Trematerra, Di Meglio Antonietta, Marasco e Mattera) che non hanno svolto
attività difensiva.
Il ricorso va, poi, respinto nei confronti dei lavoratori intimati che non
hanno conciliato la lite (Grimaldi Antonella, Mormile, Borriello, Parolisi,
Vitale e Petraccia).
Con i primi due motivi la società, sotto i diversi profili di violazioni di
legge e degli accordi collettivi e di vizi di motivazione, censura l’impugnata
sentenza nella parte in cui ha affermato la nullità del termine apposto ai
contratti de quibus. In particolare la ricorrente deduce la insussistenza di un
limite temporale alla stipula di contratti a termine per la causale indicata,
sostenendo la natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi intercorsi.
I motivi sono infondati in base all’indirizzo ormai consolidato in materia
dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al
ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del
3

novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341, Cass. S.U. Ord. 9-1-2013

1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli
previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di
considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato
del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro

lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v.
anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale
in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre,
Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto
collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745,
Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e
come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti
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diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di

postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,
sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la
sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica

assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998;
ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962
n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450;
Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio vanno quindi respinti i detti primi due
motivi.
Con il terzo motivo la società, denunciando violazione degli artt. 1217 e
1233 c.c., lamenta che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in
ordine alla effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe tenuto
“conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la
società resistente”, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di
esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto:

“Dica la

Suprema Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il
lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni
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dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli

soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in
mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel
rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ. “. Tale quesito
risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie concreta, in

materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-12011 n. 80).
Del resto, anche la esposizione del motivo risulta del tutto generica e priva
di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di
una verifica effettiva della messa in mora, senza considerare che la sentenza
impugnata ha espressamente accertato che i lavoratori con i ricorsi introduttivi
hanno “offerto la propria prestazione lavorativa, determinando la situazione di
mora in capo alla società” e senza riportare minimamente il contenuto, in parte
qua, dei detti ricorsi, che, secondo il suo assunto, sarebbero stati inidonei.
Del pari, per quanto concerne l’aliunde perceptum (in relazione al quale
manca del tutto il quesito), alcunché di specifico viene poi indicato dalla
ricorrente, laddove al riguardo era pur sempre necessaria una rituale
acquisizione della allegazione e della prova (pur non necessariamente
proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n.
17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).
Così risultato inammissibile il terzo motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

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quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di

una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 272-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad
essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v.
fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso va pertanto respinto nei confronti dei lavoratori intimati che non
hanno conciliato la lite e la società va condannata a pagare le spese ai
controricorrenti Grimaldi Antonella, Mormile, Borriello, Vitale e Petraccia.
Nulla per le spese nei confronti di Parolisi che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Grimaldi
Giuseppina, Trematerra, Tassiello, Cella, Mazzella, Iacono, Arena, Di Meglio
Vincenzo, Di Meglio Antonietta, Marasco e Mattera, compensando le spese fra
le parti costituite; rigetta il ricorso nei confronti degli altri intimati e condanna
la società a pagare a Grimaldi Antonella, Mormile, Borriello, Vitale e
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legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva,

Petraccia, le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00 per
compensi, oltre accessori di legge.

Roma 7 novembre 2013

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