Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27650 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/12/2020, (ud. 01/10/2020, dep. 03/12/2020), n.27650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16364/2018 R.G. proposto da:

ROHM AND HAAS ITALIA S.R.L. UNIPERSONALE, (C.F.(OMISSIS)), in persona

del procuratore speciale C.M. (C.F. (OMISSIS)),

rappresentata e difesa dall’Avv. Caumont Caimi Cristiano, dall’Avv.

Pizzonia Giuseppe e dall’Avv. Russo Corvace Giuseppe, elettivamente

domiciliata in Roma, in via della Scrofa 57, presso lo studio

dell’Avv. Caumont Caimi Cristiano;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, già EQUITALIA SERVIZI DI

RISCOSSIONE S.P.A., (C.F.(OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, in via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4833/2017 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia depositata il 22 novembre 2017 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1 ottobre 2020

dal Consigliere Dott.ssa Mancini Laura;

udito per la ricorrente l’Avv. Trimarchi Laura per delega dell’Avv.

Pizzonia Giuseppe;

udito per la controricorrente l’Avv. Fiandaca Lucrezia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Rohm And Haas Italia s.r.l. unipersonale impugnò davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano la cartella di pagamento notificatale il 9 agosto 2013 per la riscossione di importi a titolo di IRES e IRAP relative all’anno di imposta 2006, oltre interessi, sanzioni, aggi di riscossione e diritti di notifica, emessa a seguito della decisione con la quale la stessa Commissione tributaria provinciale di Milano aveva rigettato pressochè totalmente l’impugnazione proposta dalla società avverso l’avviso di accertamento relativo alle imposte suddette.

A sostegno del ricorso la contribuente dedusse l’illegittimità della cartella nella sola parte in cui veniva richiesto il pagamento di compensi di riscossione, evidenziando come non potesse trovare applicazione il D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, come modificato dapprima dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, conv. con L. 24 novembre 2006, n. 286, e successivamente dall’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con L. 28 gennaio 2009, n. 2, in ragione dell’assenza dello svolgimento di una qualsiasi attività, diversa dalla notifica della medesima cartella di pagamento, da parte dell’Agente della riscossione, nonchè della mancanza di un inadempimento imputabile alla contribuente. In subordine, la società ricorrente sollevò la questione di legittimità costituzionale del citato D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 per violazione degli artt. 3,53 e 97 Cost..

Nelle more del giudizio di primo grado l’Agente della riscossione, con provvedimento del 12 maggio 2014, effettuò lo sgravio parziale della cartella di pagamento riducendo gli aggi esattoriali alla luce della sentenza n. 2013/11/2014, con la quale la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva accolto parzialmente il gravame proposto dalla contribuente, e di tale riduzione proporzionale quest’ultima diede atto nel giudizio di impugnazione della cartella esattoriale.

2. Con sentenza n. 2528 depositata il 15 marzo 2016 la Commissione tributaria provinciale di Milano respinse il ricorso della Rohm And Haas Italia s.r.l.

La decisione fu impugnata dalla contribuente davanti alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 4833 del 2017, respinse il gravame.

3. Avverso tale pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. L’Agenzia delle entrate Riscossione ha resistito con controricorso. La contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Con ordinanza interlocutoria n. 12353 depositata il 9 maggio 2019 la Sezione Sesta civile, reputando non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale reiterata dalla ricorrente, ha rimesso la causa alla Sezione Quinta civile.

In prossimità dell’udienza pubblica del 1 ottobre 2020 il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico articolato motivo la Rohm And Haas Italia s.r.l. unipersonale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, come modificato dapprima dall’art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla L. 24 novembre 2006, n. 286 e, successivamente, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 32, convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2. Lamenta, innanzitutto, la ricorrente che i giudici di appello hanno erroneamente ritenuto operante nella fattispecie oggetto di causa il testo dell’art. 17 cit., riformato dal D.Lgs. n. 159 del 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015, laddove, essendo la cartella esattoriale impugnata stata notificata il 9 agosto 2013, ad essa deve applicarsi la versione della suddetta disposizione risultante dalle modifiche apportate dai citati decreti del 2006 e del 2008.

Ad avviso della ricorrente, tale disposizione, nel prevedere che “l’attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio”, ha inteso attribuire a tale compenso la funzione di corrispettivo della specifica attività svolta dall’esattore nei confronti del singolo contribuente, di guisa che la misura stabilita dal legislatore nelle percentuali del 4,65%, per il caso di pagamento entro il termine di 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, ovvero dell’8% in ipotesi di versamento successivo, si palesa irragionevole in quanto eccessiva rispetto al fine remunerativo proprio dell’aggio.

Un’interpretazione della disposizione conforme a Costituzione soggiunge la contribuente – consente di attribuire ai predetti parametri la valenza di limiti massimi della remunerazione dell’attività di riscossione, da modularsi in funzione delle concrete prestazioni effettuate dall’Agente della riscossione, con la conseguenza che nel caso di specie, in cui quest’ultimo si è limitato alla notifica della cartella esattoriale, alcun aggio sarebbe dovuto.

In via subordinata, la società Rohm And Haas Italia s.r.l. ha reiterato la questione – sollevata nei gradi di merito – di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 per violazione dell’art. 3 Cost., essendo contrario al principio di ragionevolezza un compenso determinato nella misura fissa del 4,65% ovvero dell’8% delle somme iscritte a ruolo, a prescindere dalla considerazione dell’attività effettivamente svolta dall’Agente della riscossione nel caso concreto; dell’art. 24 Cost., giacchè, prima dell’introduzione degli avvisi di accertamento esecutivi ad opera del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. dalla L. n. 122 del 2010, l’iscrizione a ruolo costituiva l’unica modalità di recupero delle somme dovute a titolo di riscossione frazionata in pendenza di giudizio, somme che, essendo l’adempimento condizionato all’emissione della cartella esattoriale, non potevano essere spontaneamente pagate dal contribuente, con la conseguenza che la previsione di un unico aggio anche per tali ipotesi si traduceva in un onere eccessivo, irrazionale e punitivo, oltre che in un ostacolo all’accesso alla tutela giurisdizionale; all’art. 97 Cost., imponendo l’aggio esattoriale alla collettività la sopportazione di oneri eccessivamente gravosi e non proporzionati all’attività in concreto svolta dalla Pubblica Amministrazione.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Secondo un orientamento ampiamente condiviso da questa Corte, l’aggio esattoriale ha natura retributiva, e non tributaria, integrando il compenso spettante all’agente della riscossione, senza che tale connotazione muti in ragione del soggetto – contribuente, ente impositore od entrambi pro quota – a carico del quale è posto il pagamento nelle varie circostanze (Cass., Sez. 5, 11/5/2020, n. 8714; Cass. Sez. 5, ord. 3/1/2019, n. 41; Cass. Sez. 5, ord. 19/1/2018, n. 1311; Cass. 28/2/2017, n. 5154; Cass. Sez. 5, 14/2/2018, n. 3524; Cass. Sez. 5, 24/11/2016, n. 24020; Cass. Sez. 1, 10/5/2013, n. 11230).

La valenza non tributaria, nè sanzionatoria, ma accessoria al tributo, dell’aggio esattoriale è stata confermata anche dalla giurisprudenza fallimentare, la quale a più riprese ha affermato che tale compenso altro non è che la remunerazione per un servizio reso all’ente impositore e, pertanto, non può ritenersi in alcun modo inerente al tributo oggetto di riscossione (Cass. Sez. 1, 10/5/2013, n. 11230; Cass. Sez. 1, 15/3/2013, n. 6646; Cass. Sez. 1, 3/4/2014, n. 7868; Cass. Sez. 1, 23/12/2015, n. 25932).

In ragione di tale portata puramente remuneratoria la determinazione del compenso per la riscossione è sottratta ai limiti imposti dal principio della capacità contributiva, rientrando nella discrezionalità del legislatore la fissazione, nel rispetto dei canoni di non arbitrarietà e non irrazionalità della scelta legislativa, tanto dei criteri di quantificazione, quanto dei presupposti di erogazione degli importi a tale titolo dovuti.

Ritiene il Collegio, anche nella prospettiva di un’esegesi conforme a Costituzione, che a tali parametri risponda il D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 (recante disposizioni sul “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337”), nella versione applicabile ratione temporis correttamente individuata dalla ricorrente nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 262 del 2006, conv. dalla L. n. 286 del 2006 e dal D.L. n. 185 del 2008, conv. dalla L. n. 2 del 2009, venendo in rilievo l’impugnazione di una cartella esattoriale notificata il 9 agosto 2013 (sulla determinabilità dell’aggio secondo la disciplina vigente al tempo dell’attività di riscossione, v. Cass. Sez. 5, 11/5/2020, n. 8714, cit. e la giurisprudenza ivi richiamata).

Tale disposizione, dopo aver tratteggiato la connotazione funzionale dell’aggio in termini di compensazione pecuniaria dell’attività esattoriale (“L’attività dei concessionari viene remunerata con un aggio sulle somme iscritte a ruolo riscosse”), ne delinea minuziosamente il procedimento di determinazione, demandandone la quantificazione in termini percentuali ad un decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sulla base di precisi criteri (“a) costo normalizzato, pari al costo medio unitario del sistema, rapportato al carico dei ruoli calcolato senza tener conto del venti per cento dei concessionari aventi i più alti costi e del cinque per cento di quelli aventi i più bassi costi; b) situazione sociale ed economica di ciascun ambito, valutata sulla base di indici di sviluppo economico elaborati da organismi istituzionali; c) tempo intercorso tra l’anno di riferimento dell’entrata iscritta a ruolo e quello in cui il concessionario può porla in riscossione”) e stabilendo condizioni per la sua eventuale maggiorazione (“L’aggio, al netto dell’eventuale ribasso, è aumentato, per i singoli concessionari, in misura pari ad una percentuale delle maggiori riscossioni conseguite rispetto alla media dell’ultimo biennio rilevabile per lo stesso ambito o, in caso esso sia variato, per ambito corrispondente. Tale percentuale è determinata, anche in modo differenziato per settori, sulla base di fasce di incremento degli importi riscossi nel decreto previsto dal comma 1”).

Tale articolato sistema di quantificazione persegue l’interesse pubblicistico al corretto, effettivo ed efficace funzionamento del servizio di riscossione dei tributi in ossequio al principio di cui

all’art. 97 Cost. e contempera in maniera non irragionevole, nè

arbitraria l’interesse suddetto con quello imprenditoriale dei soggetti incaricati della riscossione ad ottenere il giusto compenso per il servizio espletato (v. Cons. Stato Sez. IV, 29/1/2008, n. 272).

In particolare, la previsione legale di un aggio risponde alla finalità della copertura finanziaria del servizio di riscossione e tale connotazione funzionale è rimasta invariata nel tempo, nonostante i mutamenti che hanno interessato la configurazione del sistema di gestione della riscossione dei tributi.

2.2. L’imposizione di un corrispettivo esattoriale è storicamente correlata all’esigenza di compensare la traslazione del rischio connessa all’affidamento del servizio di riscossione a soggetti privati nelle forme della concessione di pubblico servizio.

Invero, l’elemento che vale a connotare tale modulo provvedimentale, differenziandolo dalla contigua figura dell’appalto pubblico di servizi, risiede proprio nell’assunzione, da parte del concessionario, del rischio gestorio (Cons. Stato, Sez. V, 6/6/2011, n. 3377; Cons. Stato, Sez. VI, 15/5/2002, n. 2634; Corte di Giust. Sez. III, 15/10/2009, C-196/2008), il quale è compensato dal diritto del medesimo concessionario di compartecipare ai proventi del servizio, rivalendosi sull’utenza mediante la riscossione di un corrispettivo nelle forme della tariffa, del canone o dell’aggio.

Per quanto riguarda il servizio di riscossione dei tributi, la previsione di un meccanismo di tal fatta risultò particolarmente congeniale al sistema di riscossione delineato dalla prima normativa organica dell’unificato Regno d’Italia posta dalla L. 20 aprile 1871, n. 192, in cui l’esattore privato assumeva il rischio dell’eventuale mancata riscossione ed era tenuto a rispondere del “non riscosso come riscosso”, anticipando allo Stato, alle scadenze previste, le imposte iscritte a ruolo anche se, di fatto, non le avesse ancora riscosse.

L’imposizione di un compenso per l’attività dell’esattore ha, tuttavia, conservato una propria ragion d’essere anche nel mutato quadro ordinamentale delineato dai decreti attuativi della legge delega L. 9 ottobre 1971, n. 825, allorquando, con il D.P.R. n. 25 gennaio 1988, n. 43, il servizio di riscossione è stato avocato al Ministero delle finanze e, quindi, affidato in concessione amministrativa a terzi, sia pure con la soppressione, disposta dal D.Lgs. 22 febbraio 1999, n. 37l, art. 2, recante riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo sulla base della legge delega L. 28 settembre 1998, n. 337, art. 1, comma 1, lett. a) e c), dell’onere per il concessionario di anticipare all’Erario le relative somme.

Infatti, la riforma del sistema di riscossione completata attraverso tali ultime fonti normative configurava il concessionario come soggetto altamente specializzato nella riscossione coattiva, la cui attività doveva essere intesa al recupero dei carichi affidati secondo criteri di efficienza ed effettività, così da coprire i costi della gestione e ottenere utili.

In tale assetto normativo il rapporto scaturente dalla concessione di riscossione, pur continuando ad essere “articolato sulle scansioni delle potestà di diritto pubblico perchè finalizzato a riscuotere i tributi, con l’obbligo di riversarli all’ente impositore, detratto l’aggio convenuto” (Cass. Sez. 1, n. 3449/2016, cit.), essendo diretto ad assicurare allo Stato un flusso regolare e stabile di entrate, perseguiva, al contempo, lo scopo di garantire l’interesse dell’esattore al conseguimento di un lucro.

Nel nuovo modello concessorio la persistente previsione di un

aggio di riscossione trovava, pertanto, giustificazione nel rischio correlato alla responsabilità d’esercizio del concessionario e all’onere, sullo stesso gravante, di predisporre capitali e prestazione d’opera adeguati al soddisfacimento delle suindicate finalità pubblicistiche.

Nè la ragionevolezza di tale forma di corrispettivo è venuta meno con la riforma del sistema di riscossione introdotta dall’art. 3, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, recante “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” – sotto il cui regime ricade temporalmente la fattispecie oggetto di causa -, con la quale, a far data dal 1 ottobre 2006, è stato soppresso il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione e la titolarità della funzione di riscossione del credito tributario è stata assunta dall’Agenzia delle entrate, ancorchè esercitata per mezzo di Equitalia s.p.a., società a base azionaria prevalentemente pubblica costituita ex lege.

La sottoposizione di tale ente ad un regime giuridico derogatorio rispetto alle regole codicistiche sulle società di capitali, non ne ha, tuttavia, la causa lucrativa, giacchè nelle società pubbliche tale funzione trova attuazione per lo meno attraverso l’adozione di un metodo di gestione oggettivamente economico.

D’altronde, come osservato in dottrina, nelle società a partecipazione pubblica il perseguimento di finalità di carattere generale non è in astratto incompatibile con la finalità lucrativa, ma può in concreto coesistere con questa, pur ponendo all’interprete il delicato compito di identificare i limiti entro i quali le due finalità siano conciliabili.

Tale ricostruzione si pone in linea con l’assunto, accolto da una parte degli interpreti, secondo il quale la nozione di lucro ha perso la sua originaria connotazione soggettiva, per essere definito come ricerca tendenziale della massimizzazione del risultato positivo di gestione. Di conseguenza, anche le società pubbliche devono perseguire l’obiettivo di un equilibrio economico-finanziario che permetta, insieme ad un’efficace ed efficiente erogazione dei servizi di interesse generale, un’adeguata remunerazione del capitale investito dal socio pubblico.

In coerenza con tale approccio ermeneutico, questa Corte, ha, infatti, precisato che tutte le società commerciali a totale o parziale partecipazione pubblica, quale che sia la composizione del loro capitale sociale, le attività in concreto esercitate, ovvero le forme di controllo cui risultano effettivamente sottoposte, restano assoggettate al fallimento (v., ex aliis, Cass. Sez. 1, 2/7/2018, n. 17279).

2.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene che la sostituzione del modello della concessione esattoriale con quello dell’attribuzione ex lege del servizio di riscossione dei tributi ad una società a prevalente partecipazione pubblica strumentale all’Agenzia delle entrate non ha privato del proprio fondamento giustificativo la perdurante imposizione normativa di un corrispettivo per lo svolgimento dell’attività esattoriale.

Va, inoltre, precisato, che, contrariamente a quanto auspicato dalla ricorrente, la formulazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 – che ancora la quantificazione della remunerazione del servizio esattoriale a percentuali dell’importo iscritto a ruolo normativamente predeterminate – non consente di attribuire, in via interpretativa, all’aggio la portata di compenso modulabile proporzionalmente all’entità dell’attività di volta in volta espletata dall’esattore, di guisa che la percentuale fissata ope legis – nella specie nella misura del 4,65%, ovvero dell’8%, stabilita dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 5, comma 1, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 135, per gli importi iscritti a ruolo a partire dal 1 gennaio 2013 – non può essere intesa alla stregua di un limite quantitativo massimo.

D’altronde, come condivisibilmente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, il sistema così delineato è precipuamente volto ad “orientare” e “limitare” la discrezionalità dell’Amministrazione nella concreta determinazione del compenso, sottraendole il potere di individuare unilateralmente i criteri e gli elementi di fatto a tal fine rilevanti, così consentendo un puntuale controllo sull’esercizio concreto di tale potere da parte del destinatario della cartella di pagamento e, al contempo, circoscrivendo il sindacato giurisdizionale al riscontro del puntuale rispetto dei criteri legali di determinazione (Cons. Stato Sez. IV, 29/1/2008, n. 272, cit.).

3. La società Rohm And Haas Italia s.r.l. unipersonale ripropone altresì la questione – già sollevata nel giudizio di merito ma disattesa dal giudice a quo – di legittimità costituzionale del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17, nel testo vigente ratione temporis, per violazione degli artt. 3,24 e 97 Cost..

Occorre preliminarmente rilevare che analoghe questioni di incostituzionalità, sollevate da giudici di merito, sono state dichiarate inammissibili (Corte Cost. 21 giugno 2013, n. 158; Corte Cost. 9 luglio 2015, n. 147; Corte Cost. 26 maggio 2017, n. 129; Corte Cost. 29 marzo 2018, n. 65).

Anche questa Corte ha già avuto modo di delibare la conformità delle disposizioni sull’aggio esattoriale ai suindicati parametri costituzionali, pervenendo alla conclusione della manifesta infondatezza dei dubbi di incostituzionalità prospettati (Cass. Sez. 5, 11/5/2020, n. 8714; Cass., Sez. 5, 19/1/2018, n. 1311; Cass. Sez. 5, 28/2/2017, n. 5154; Cass. 14/2/2018, n. 3524).

3.1. Tanto premesso, gli argomenti svolti dalla società ricorrente a sostegno dell’incostituzionalità del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 non consentono di mutare orientamento.

Circa la conformità del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 al parametro della ragionevolezza si è già argomentato scrutinando, attraverso un approccio ermeneutico in chiave costituzionale, la denunciata violazione di legge.

Deve, in ogni, caso aggiungersi, che questa Corte è già pervenuta ad analoghe conclusioni affermando che la natura retributiva e non tributaria dell’aggio lascia alla discrezionalità del legislatore la fissazione dei criteri di quantificazione del compenso, non essendo irragionevole che una parte di esso sia comunque posta a carico del contribuente, anche nel caso in cui questi abbia osservato il termine di pagamento della cartella (Cass., Sez. 5, 28/2/2017, n. 5154, cit.; Cass. Sez. 5, 19/1/2018, n. 1311, cit.; Cass. Sez. 5, 14/2/2018, n. 3524, cit.).

3.2. Appare, invece, manifestamente inammissibile la questione di illegittimità costituzionale per contrarietà della disposizione in esame all’art. 24 Cost..

Il dubbio di costituzionalità prospettato dalla ricorrente riguarda, invero, solo indirettamente la disposizione (D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17) la cui violazione è stata dedotta a fondamento del ricorso per cassazione, attingendo, in realtà, l’insieme delle norme – inconferenti rispetto al thema decidendum del presente giudizio di legittimità – relative alle modalità di recupero delle somme dovute a titolo di riscossione frazionata in pendenza di giudizio previste dalla disciplina anteriore all’introduzione degli avvisi di accertamento esecutivi ad opera del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. dalla L. n. 122 del 2010.

Invero, la società contribuente lamenta che prima dell’entrata in vigore di tale regime giuridico – nella specie inapplicabile ratione temporis – l’iscrizione a ruolo costituiva l’unica modalità di recupero delle somme dovute a titolo di riscossione parziale in pendenza di giudizio e che tali importi non potevano essere spontaneamente pagati dal contribuente essendo l’adempimento condizionato all’emissione della cartella esattoriale, con la conseguenza che la previsione di un unico aggio anche per tali ipotesi si traduceva in un onere eccessivo, irrazionale e punitivo, oltre che in un ostacolo all’accesso alla tutela giurisdizionale.

3.3. Anche il dubbio di costituzionalità prospettato in relazione all’art. 97 Cost. appare manifestamente infondato.

Come chiarito da questa Corte, la violazione del principio del buon andamento non può farsi discendere dall’imposizione di un aggio anche in assenza di attività dell’ente riscossore diverse dalla mera notifica della cartella (Cass. Sez. 5, 14/2/2018, n. 3524, cit.), non ravvisandosi, per quanto già esposto, un vincolo di correlazione biunivoca tra il quantum del corrispettivo dovuto e l’attività esattoriale specificamente prestata, ed essendo l’aggio finalizzato non tanto a remunerare le singole attività compiute dal soggetto incaricato della riscossione, ma a coprire i costi complessivi del servizio, nell’ottica di una gestione dello stesso secondo criteri di economicità e di efficienza.

4. In conclusione, il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

Deve darsi atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.200,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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