Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2765 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. I, 02/02/2017, (ud. 11/11/2016, dep.02/02/2017),  n. 2765

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3122-2012 proposto da:

F.F. O F.F. (c.f. (OMISSIS)), F.A.

FR.AN. (c.f. (OMISSIS)), ELETTIVAMENTE domiciliati in ROMA, VIA

LUDOVISI 35, presso l’avvocato MASSIMO LAURO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DOMENICO BONFANTI, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CASTELLI CALEPIO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,

presso l’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE CALVI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 877/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27.7.2011, la Corte d’Appello di Brescia ha determinato in 467.975,00 oltre interessi legali, l’indennità dovuta a F., An. ed F.A., per l’espropriazione, disposta con decreto del 21.1.2005, dell’area, di cui erano rispettivamente nudo proprietario ed usufruttuarie, facente parte di una maggiore superficie sita nel Comune di (OMISSIS), in catasto a fg. (OMISSIS) mappali (OMISSIS), nonchè di parte del mappale (OMISSIS).

Per quanto d’interesse, la Corte ha ritenuto che: a) il suolo, in base al PRG adottato il 24.4.2004, ricadeva in zona SC4/2 “aree per il gioco e lo sport” e non era legalmente edificabile, potendo essere realizzate, solo, strutture funzionali al fine pubblicistico; b) l’indennità andava determinata in 25/mq, in conformità di quanto stabilito in due lodi prodotti dall’Ente, relativi a terreni ubicati nello stesso Comune e della stessa tipologia, mentre non era dovuto alcun indennizzo riferito alla porzione non espropriata, in assenza di preesistente rapporto di unità funzionale con la parte espropriata, e di apprezzabile deprezzamento di quella residua; c) andava esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di un’obbligazione di valuta; d) l’aumento del 10%, di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, lett. a) non era dovuto, non applicandosi tale norma ai giudizi in corso; e) le spese del giudizio andavano compensate per la metà e seguivano la soccombenza per la restante metà.

Per la cassazione della sentenza, i F. hanno proposto ricorso, affidato a sette mezzi, ai quali il Comune ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si censura la statuizione sub a) della narrativa, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9, 32 e 37; artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2735 c.c. e art. 49 delle NTA del PRG adottato e art. 51 del PRG vigente, della L.R. della Lombardia n. 12 del 2005, art. 11 oltre che per vizio di motivazione. I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale ha affermato la natura non edificatoria dell’area, omettendo di considerare che, sia in base alle NTA del PRG approvato nel 1999, e vigente all’epoca dell’esproprio, sia in base alle NTA del PRG adottato nel 2004, sia in base agli artt. 62 e 68 del regolamento edilizio del Comune era consentita la realizzazione delle previste opere pubbliche, con previsione di limiti massimi di densità fondiaria, anche da soggetti privati e senza necessità di previa ablazione del bene. La motivazione della sentenza è contraddittoria, proseguono i ricorrenti, perchè, da una parte, ammette la realizzazione di nuovi fabbricati con determinati limiti di edificazione, per escludere il carattere di edificabilità in ragione dell’attuazione dello scopo pubblicistico; è inoltre illegittima perchè si è apoditticamente discostata dalle conclusioni del CTU, che aveva concluso per il carattere edificatorio dei suoli ablati, ubicati in zona dotata da infrastrutture, e perchè aveva valutato il parere del tecnico estensore del PRG; ed, infine, è incongrua per non aver tenuto conto del fatto che il Comune aveva espressamente riconosciuto la natura edificabile dell’area.

2. Col secondo motivo, si censura nuovamente la statuizione sub a) della narrativa, e si afferma che, nell’ipotesi in cui si ritenga che gli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’espropriazione riservassero esclusivamente alla pA il diritto di edificare, la sentenza, con motivazione viziata, si pone in contrasto con gli artt. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, 17 della Carta di Nizza, 6 del Trattato di Lisbona del 13.12.2007 e del trattato di Maastricht, che hanno reso vincolanti nella UE i diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione, artt. 42 e 117 Cost., L. n. 2359 del 1865, art. 39, D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37, artt. 834, 1362-1371 c.c., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32. Ed, infatti, secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la pA non può espropriare sulla base del valore agricolo “sol perchè essa stessa abbia previsto unilateralmente a favore di sè la riserva dell’iniziativa edilizia”, sicchè l’area doveva qualificarsi tout court edificabile, ed il vincolo di PRG ad impianti sportivi e gioco doveva ritenersi “preespropriativo” e non conformativo.

3. Col terzo motivo, anch’esso volto a censurare la statuizione sub a) si deduce la violazione e falsa applicazione della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, art. 11, della L.R. della Lombardia n. 3 del 2009, art. 17, artt. 3 e 42 Cost. e dei principi a tutela della proprietà sanciti dalla CEDU, rispettivamente, per non aver tenuto conto della previsione della legislazione regionale, secondo cui: 1) tutte le aree destinate alla realizzazione di opere di interesse pubblico possono essere edificate direttamente dal proprietario, 2) tutte le aree si considerano legalmente edificabili, anche se destinate a servizi. Ove tali disposizioni non dovessero ritenersi applicabili ratione temporis, non potrebbe che ravvisarsi la violazione del principio di eguaglianza distributiva e del diritto di proprietà.

4. Il quarto motivo denuncia la violazione delle disposizioni invocate col secondo ed il terzo mezzo ed inoltre degli artt. 61, 62, 115 e 116 c.p.c. e art. 191 c.p.c. e segg., oltre che il vizio di motivazione, in riferimento alla statuizione sub b) della narrativa. I giudici territoriali, affermano i ricorrenti, hanno attribuito all’area il valore di 25,00/mq (in luogo della somma di 200,00/mq. richiesta) pari al mero valore agricolo senza considerare che, anche nell’ipotesi in cui il suolo dovesse esser qualificato non edificatorio, l’indennità avrebbe dovuto esser determinata, e ciò non era stato fatto, tenendo conto delle possibili utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria; anzi, il valore era stato mutuato da due lodi prodotti dal Comune che erano stati depositati sei anni prima della sentenza n. 181 del 2011 della Consulta e che erano stati preferiti ad altri – maggiormente rappresentativi del valore effettivo – senza motivare in ordine alle ragioni per cui non avevano tenuto conto nè del valore attribuito al suolo dal CTU, che aveva pure valutato una Delib. GM a fini ICI (in seno alla quale era stato riconosciuto un valore di Euro 38,25/mq) e senza disporre la rinnovazione della consulenza. I ricorrenti aggiungono che la Corte ha errato nel non riconoscere l’indennità per l’espropriazione parziale, essendo il fondo residuo rimasto intercluso, circostanza sulla quale la sentenza aveva taciuto.

5. I motivi, che, per la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono infondati i primi tre e solo parzialmente fondato il quarto.

6. Occorre rilevare che, per effetto dell’invocata sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, emessa a completamento del processo di conformazione del diritto interno ai principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il sistema indennitario è, ormai, svincolato dalle formule mediane (dichiarata incostituzionale con sentenze n. 348 e 349 del 2007) e dei parametri tabellari, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4, e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, e risulta, invece, agganciato al valore venale del bene. Il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale, si identifica, dunque, con il giusto prezzo nella libera contrattazione di compravendita, posto che la dichiarazione d’incostituzionalità dei menzionati criteri ha fatto rivivere il criterio base di indennizzo, posto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 riconosciuto applicabile ai casi già soggetti al pregresso regime riduttivo (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40 e art. 37, comma 1, come modificato dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90.

7. Tanto non comporta che sia venuta meno la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare. E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione di un unico criterio discretivo: quello dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37. In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009), soggetta al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503/2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009; 17995/2009).

8. Ai fini dell’anzidetta ricognizione legale va tenuto conto del vincolo conformativo insistente nell’area, e non di quello espropriativo, dovendo evidenziarsi che, al contrario di quanto opinano i ricorrenti, il vincolo d’inedificabilità impresso dagli strumenti urbanistici risulta in sè privo di ruolo discriminante nella summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi, la cui individuazione va invece operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione: ove esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area.

9. A tanto, va aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. funditus Cass. n. 3620 del 2016) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012) ha affermato, in conformità del principio enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179/1999, che fuoriescono dall’anzidetta dicotomia e comunque non appartengono sicuramente alla categoria dei vincoli espropriativi tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione dei previsti interventi anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Cost. n. 179 del 1999). In particolare, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento – viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione onde realizzarli, con conseguente cessazione del pericolo di sostanziale ablazione dei suoli medesimi, per la permanenza del vincolo oltre limiti ragionevoli: ferma rimanendo, anche in tal caso, la destinazione pubblicistica della zona e quindi la natura inedificabile di tutte le aree in essa comprese (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

10. A tale stregua, la destinazione non edificatoria a impianti sportivi e gioco impressa ai suoli espropriati rientra nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”, sicchè in riferimento alla stessa non può predicarsi la scadenza quinquennale, prevista solo relativamente a quelli preordinati all’esproprio e la relativa previsione costituisce, appunto, espressione del potere riconosciuto alla legge urbanistica di imporre limiti al diritto di proprietà riferito allo ius aedificandi, non potendosi dubitare che la funzione sociale della proprietà richieda, tra l’altro, una disciplina dell’assetto dei centri abitati, diviso per zone, del loro incremento edilizio e, in genere, dello sviluppo urbanistico.

11. Nè a conclusioni opposte possono portare:

a) la richiamata legislazione regionale, tenuto conto che la L.R. della Lombardia n. 3 del 2009, art. 17 secondo cui, a fini espropriativi, “tutte le aree oggetto della pianificazione comunale si considerano legalmente edificabili, secondo la disciplina di cui alla L.R. n. 12 del 2005 anche se destinate a servizi”, di indubbia portata innovativa, non è applicabile al caso in esame ratione temporis, nè si prospetta alcuna questione di costituzionalità in riferimento all’art. 3 Cost. (adombrata dai ricorrenti), dato il costante orientamento della Corte Costituzionale in tema di successione di leggi nel tempo (cfr. ordinanze nn. 25/2012, 224/2011, 61/2010, 170/2009, 212/2008 e 77/2008; 254/2014) secondo cui l’applicazione di un trattamento differenziato alle medesime fattispecie, ma in momenti diversi, non contrasta di per sè con il principio di uguaglianza poichè il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche;

b) la previsione dell’indice di fabbricabilità fondiaria, che individua la sede di distribuzione delle strutture pubbliche realizzande, non è rilevante laddove sia assente l’indice di fabbricabilità territoriale, che è quello che definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare su di una zona territoriale omogenea ed è definito al lordo degli spazi pubblici. Questa Corte (Cass. n. 21011 del 2006) ha, appunto, precisato che: “la densità fondiaria di un’area è utilizzabile soltanto per definire il volume massimo consentito su di essa, ed il relativo indice vale ad individuare l’effettiva superficie suscettibile di edificazione; laddove una zona edificabile omogenea deve necessariamente comprendere in base alle disposizioni stabilite dal D.M. 2 aprile 1968, artt. 3 e segg. spazi pubblici nonchè aree aventi le destinazioni previste da questa normativa che li ripartisce per categoria e ne fissa quantità e proporzioni; di modo che il complessivo carico di edificazione che può gravare sull’intera superficie della zona deve tener conto necessariamente di essi ed è espresso da un indice di densità (c.d. territoriale) che comprendendo anche gli spazi assegnabili ai ricordati standards e le decurtazioni da ciascuno di essi imposte, ne definisce l’effettivo valore in comune commercio. Per tale ragione la giurisprudenza di questa Corte e quella dei giudici amministrativi ha ripetutamente affermato che allorquando il valore venale di un fondo debba determinarsi in base al suo valore di trasformazione (c.d. metodo analitico-ricostruttivo) deve essere recepito non l’indice relativo alla densità fondiaria, ma quello che individua la densità territoriale della zona, soltanto questo includendo nel calcolo la percentuale di spazi pubblici gravanti sul fondo espropriato” (Cass. n. 18254/2004; n. 16710/2003; Cons. St. 4, 443/1998; cfr. anche: Cass. n. 1043/2007; n. 19501/2005);

c) la circostanza che il Comune abbia riconosciuto la qualità edificatoria a fini dell’ICI (ma dettando parametri di riduzione rispetto alle aree fabbricabili, come riferiscono i ricorrenti) non consente di invocare il principio della non contestazione (nè l’onere del convenuto di prendere posizione ex art. 167 c.p.c.), principio che riguarda “i fatti posti dall’attore a fondamento della domanda” (nella specie incontroversi in relazione alla individuazione del terreno espropriato ed alla sua ubicazione nell’ambito della zona destinata ad aree per il gioco e lo sport), per cui sulla base di essi sorgeva l’obbligo del giudice adito per la determinazione dell’indennità, di procedere autonomamente alla corretta valutazione delle “possibilità legali ed effettive di edificazione” di detto terreno;

d) i principi della CEDU e dei trattati fondativi dell’Unione Europea, che la hanno recepita, secondo cui l’indennità accordata impone di mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, non impongono affatto di valutare tutti i terreni senza distinguere tra quelli edificatori e quelli che tali non sono, sicchè la relativa violazione, che muove da presupposti diversi, è insussistente.

12. La determinazione del valore venale del suolo espropriato è esente dal vizio motivazionale che le è stato imputato col quarto motivo, in quanto la Corte, dopo aver ritenuto di non poter accedere alle conclusioni del consulente nominato, per la genericità delle fonti cui lo stesso aveva attinto, e di non poter utilizzare nè il valore attribuito alla sentenza (n. 417/2001) invocata dagli espropriati, nè quelli indicati in seno alla comparsa conclusionale, perchè rispettivamente riferiti ad area edificabile ed a suoli “ubicati in zone residenziali e non vincolate”, ha quantificato il dovuto in riferimento a due stime arbitrali, ritenute oggettivamente congrue, le quali “non hanno applicato i VAM, ma hanno espresso il valore di Euro 25 mq. tenuto conto del valore medio di mercato di aree in analoghe condizioni (poco sopra: ampliamento degli impianti sportivi), mediato dall’ubicazione urbanistica isolata dal centro edificato che non consente, nè prevede in un breve termine alcuna possibilità di espansione edilizia a carattere speculativo” (pagg. 10-11). In tal modo la Corte ha dato conto in modo adeguato della scelta operata tra gli elementi valutativi acquisiti al giudizio (anche in riferimento alla distanza dei suoli dal centro abitato, ricadenti in zona definita, appunto, “eccentrica” rispetto ad esso), essendo le ulteriori argomentazioni svolte dai ricorrenti, in parte, giuridicamente erronee (come la circostanza, più volte sottolineata, che la zona fosse urbanizzata id est che sussistesse la c.d. edificabilità di fatto), in parte, volte ad ottenere una diversa valutazione di merito, inammissibile in questa sede di legittimità.

14. La motivazione è, invece, insufficiente in relazione al diniego dell’indennizzo per le parti residue, non avendo, in ispecie, la Corte – aderendo in parte qua alle conclusioni della CTU, che aveva escluso la sussistenza di apprezzabili decrementi di valore – in alcun modo replicato alle osservazioni critiche (trascritte per autosufficienza) mosse all’elaborato peritale dagli espropriati in data 6.10.1998, con le quali costoro avevano dedotto che, per effetto dell’espropriazione, il mappale (OMISSIS) era rimasto intercluso; circostanza che avrebbe dovuto costituire oggetto di esplicita delibazione.

15. Con il quinto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 cc, 1 del protocollo addizionale alla CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, 17 della Carta di Nizza, 6 del Trattato di Lisbona del 13.12.2007 e del trattato di Maastricht, artt. 3, 42 e 117 Cost.; della L. n. 2359 del 1865, art. 39; art. 834 c.c.; D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32 oltre che vizio di motivazione, in riferimento alla statuizione sub c) della narrativa. La rivalutazione monetaria, affermano i ricorrenti, è dovuta per costante giurisprudenza della CEDU, oltre agli interessi legali, anche sulle somme depositate alla Cassa Depositi e Prestiti, e la sentenza non aveva tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte (Cass. SU n. 19499 del 2008) che riconosce in via presuntiva il danno nella differenza, nella specie notoriamente esistente, tra il saggio medio di rendimento netto dei titoli di stato con scadenza non superiore a dodici mesi e gli interessi legali.

16. Il motivo è infondato. E’ costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui l’indennità di espropriazione, in quanto espressa ab origine in valori monetari, ha natura di valuta (cfr. Cass. n. 17786 del 2015; 22923 del 2103; 3738 del 2012; 13456 del 2011; 719 del 2011), natura che non muta per il fatto che i criteri della sua determinazione vadano riferiti al valore del bene al tempo del provvedimento ablativo, in quanto, una volta che sia stato accertato, tale valore costituisce il ristoro, ormai in numerario, di cui all’art. 42 Cost., che si sostituisce al diritto reale.

17. Tale conclusione non contrasta coi principi della CEDU quali enunciati nella giurisprudenza della Corte EDU (cfr. sent. del 14.4.2015 ric. n. 22432/03), tenuto conto che, con l’art. 1224 c.c., comma 2, il diritto interno appresta un efficace rimedio per ovviare agli effetti negativi connessi al ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, tanto che lo stesso è idoneo ad assicurare un risarcimento anche superiore (pari, ad esempio, agli interessi passivi versati alla banca in ipotesi di ricorso al credito) a quello riferito agli effetti dell’inflazione, ma ciò può avvenire, solo, quando sia stata ritualmente avanzata in giudizio la relativa domanda. Ed al riguardo, questa Corte (Cass. SU n. 5743 del 2015) ha precisato che: “il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta”.

19. In assenza di proposizione di siffatta domanda da parte dei ricorrenti, che hanno chiesto la condanna alla rivalutazione quale accessorio del credito indennitario, non può, in conseguenza, operare in loro favore neppure il criterio -richiamato in seno al controricorso e di cui alla sentenza delle SU di questa Corte n. 19499 del 2008 – che indica in via presuntiva il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, nell’eventuale differenza tra tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e saggio degli interessi legali.

20. Con il sesto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 58, 59, e art. 37, comma 2; della L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, e art. 3 Cost. in riferimento alla statuizione sub d) della narrativa, i ricorrenti affermano che la dichiarazione di pubblica utilità è successiva all’entrata in vigore del TU sulle espropriazioni, dovendo, perciò, trovare applicazione la norma intertemporale di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, che prevede la maggiorazione del 10% dell’indennità, in relazione alla quale sollevano il dubbio di costituzionalità per la sua mancata previsione per le aree non edificabili.

21. Il motivo è infondato: lo “ius superveniens” costituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, commi 89 e 90, si applica, secondo la giurisprudenza di questa Corte solo ai procedimenti espropriativi e non anche ai giudizi in corso (Cass. n. 14939 del 2010) considerazione che priva di rilevanza il dubbio di costituzionalità avanzato dai ricorrenti.

22. Il settimo motivo, relativo alla regolamentazione delle spese, resta assorbito.

23. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione, provvederà a all’accertamento di cui al p. 14, ed, anche, a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il quarto motivo, rigetta il primo, il secondo, il terzo, quinto ed il sesto assorbito il settimo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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